lunedì 23 dicembre 2013

Il Natale dei separati, genitori e bambini

natale

"Stay calm": Babbo Natale non esiste!

Non distruggiamo la vita dei nostri figli se demitizziamo la magia natalizia, ma se li cresciamo "senza speranza e senza Dio"


Questo articolo fa parte di una rubrica dell’edizione araba di ZENIT che rispondere ad alcune domande poste dai nostri lettori. Non di rado la risposta gioca sul filo dell’ironia per rivelare il «caso serio della fede».
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Distruggo l’infanzia di mio figlio se gli dico che Babbo Natale non esiste?
La risposta alla domanda posta non richiede una specializzazione in teologia. Come potete immaginare, non può essere dogmatica perché non è una questione di categorica morte e vita (per la fede). Ma merita la considerazione per invitarci a riflettere più da vicino sul senso del santo Natale, per mettere in questione alcuni infondati scrupoli che ci facciamo e per ri-guardare e magari salva-guardare l’Essenziale.
Sic
La mia risposta è , rivelare che Babbo Natale non esiste distruggerà la magia dell’infanzia se il Natale per te è solo questione di regali e di racconti leggendari. Sì, distruggerai l’infanzia dei tuoi figli se Babbo Natale è «l’unico mediatore» dell’affetto in famiglia, l’unico elemento di sorpresa e l’unica novità che apre (anzi, chiude) l’anno. Sì, distruggerai l’infanzia dei tuoi figli se li cresci con l’idea di un dio giustiziere, poliziotto, ispettore, onniveggente (o meglio veggente – che iella! – solo dei misfatti). Un Gesù che se sbagli ti viene a castigare di notte, che te la fa pagare, ecc. In tal caso, se uccidi il buono e “morbidoso” babbo Natale, hai rovinato l’ultimo totem.
Et non
Ma la mia risposta è noassolutamente no, se vuoi «una via migliore». E permettimi – accanto alla raffica di film natalizi (meglio detti babbo-natalizi) – di invitarti a fare da regista e di immaginare qualche scenario alternativo. Ad esempio, ingegnarti per raccontare in un linguaggio semplice, accattivante e comprensibile ai tuoi figli la bellezza di un Dio che ha tanto amato il mondo da farci come regalo non solo cose, ma il nostro stesso essere e soprattutto Se stesso. I vangeli dell’infanzia si prestano così bene ad essere un sequel di racconti serali!
C’è tanta magia nel raccontare la verità dell’Amore e la sua gratuità che non è un mito surreale né una tecnica commerciale, ma che è la «verità del mondo» e il «cuore del mondo». È questo «L'Amor che move il sole e l'altre stelle». E perché non spiegare piuttosto che i regali davanti al presepe e sotto l’albero sono un simbolo, così minuscolo, rispetto al grande regalo di Dio all’umanità, suo Figlio, Gesù Cristo?
Perché non spiegare che, malgrado la crisi, adesso come genitori, zii e zie, nonni e nonne, ci prodighiamo a farci regali, non tanto per i regali, ma perché da Gesù abbiamo imparato che c’è più gioia nel «donare che nel ricevere» e perché la fede ci insegna la bellezza di stare insieme sotto un solo tetto?
Perché non aiutare a capire che Babbo Natale è un «falso d’autore» utile per ricordarci una realtà ancora più bella della finzione, quella dei santi (e in questo caso di san Nicola) che spalancano i cuori alla generosità e all’attenzione verso gli altri perché sono stati visitati e toccati dall’amore di Gesù che «ci ha amati per primi»? Il santo vescovo Nicola amava i bambini «a gratis», non come l’annuncio del Babbo Natale del mio quartiere che recitava così: «Il giorno tot, è possibile prenotare la distribuzione sotto il gazebo del parco comunale dei vostri regali ai vostri bambini con Babbo Natale». E in caratteri più piccoli: «a partire da 3 euro a regalo». Ho cercato di fare un po’ di ermeneutica dell’a partire da pensando a cosa potrebbe essere il criterio: il peso? Le dimensioni? Il colore della carta regalo? O il valore assicurato?
Certo che no!
Non distruggerai l’infanzia dei tuoi figli se al posto del buonista sconosciuto e immaginario saprai sintonizzare l’immagine di Dio a immagine del Bambino del presepe, buttando fuori dalla finestra l’immagine del Grande Inquisitore. Ricordandoti che chi vede Gesù vede il Padre. Sì, quel Bambino è ciò che meglio possiamo dire per capire Dio, è la Parola.
Non distruggerai il Natale se riesci ad aiutare i tuoi figli ad avere i sentimenti di una Thérèse di Lisieux che scrisse prima di ricongiungersi con l’Amore: «Non posso temere un Dio che si è fatto così piccolo per me… Io lo amo… perché non è altro che amore e tenerezza».
La questione di Babbo Natale è molto opinabile e personale. Per questo vorrei alludere a un’esperienza personale. L’anno scorso, ero con mio figlio che aveva tre anni e stavamo facendo le ultime spese del Natale. Il bimbo ha notato che in giro c’erano tanti babbi Natale (umani intendo) di varie taglie e diete. Lui stesso ha avuto i suoi dubbi ed è stata una bella occasione spiegargli, in modo adeguato alla sua età, le varie cose che ho accennato sopra… Per rassicurarvi: finora non mi sono sentito costretto a inviarlo dallo psicologo o a sottoporlo a rehab.
Non distruggiamo la vita dei nostri figli se demitizziamo Babbo Natale. Non sono i miti che danno vita, gioia e serenità. Distruggiamo i nostri figli se li facciamo vivere una realtà senza amore, se li cresciamo etsi Deus non daretur, come se Cristo fosse soltanto un accessorio secondario per la festa che è sua. Distruggiamo i nostri figli se li cresciamo «senza speranza e senza Dio in questo mondo».
Un canto spirituale libanese finisce così: «Senza di Te non si compie la mia letizia. Senza di Te la mia mensa è deserta». Il Pane del Cielo sceso nella «casa del pane» (questo è il significato letterale di Betlemme) è il centro e il senso dell’attuale festa. E quanto è azzeccato lo slogan: «Keep Christ in CHRISTmas». Senza di Lui tutti i contorni non saziano. Lui Desiderio di tutti i nostri desideri. Ricordiamo la sua importanza con queste parole traboccanti di desiderio di Isaia 9 «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete.[…] Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, […] principe della pace».

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Il Natale dei separati, genitori e bambini
Natale, festa della famiglia. «Qual è, la mia famiglia?» chiedono oggi molti bambini.
Non è facile rispondere, se là c’è un genitore solo. O c’è là il papà, magari con altri bambini, qua la mamma, forse con altri bimbi.
In questi casi, i figli del primo matrimonio sono quasi sempre a disagio,perché dovunque c’è un figlio di tutti e due. E ci sono i nonni, spesso nemici di genero o nuora, corredati da zii e cugini. Tutti accomunati dal preciso intento di passare il Natale col bambino.
Il bimbo va ad orari come un trenino: si sente più amato, più conteso, più confuso o semplicemente assai indaffarato? I piccoli non spiegano queste cose, tesi a non far restar male nessuno, talora a far restar male tutti.
Genitori e nonni di solito danno molta importanza a questa festa, che spezza cuori e giorni di vacanza, e sovente è anche una gara fra chi ha più diritti.
Come passare serenamente il Natale in tali situazioni?
Anche se pare un paradosso, l’unica possibilità è sentire e agire al massimo la missione di genitori. Che è rendere certi dell’amore dei due genitori perché i bimbi partendo dalla sicurezza affettiva possano volare via, forti, autonomi, capaci di distinguere i segnali dell’amore.
Che non sono quelli del possesso, e delle contese per accaparrarselo. Non sono quelli dell’odio per chi pure hanno amato. E neppure quelli della rinuncia imposta dall’egoismo degli adulti.
Vedo bambini che devono rinunciare a feste di amici, a giorni di vacanza, perché il calendario dichiara che devono essere presenti da papà, mamma, nonni.
Alcuni genitori separati invece si riuniscono a Natale, per regali e cena. Non sempre è opportuno: i bambini troppo spesso sperano in riunioni che non ci saranno, e il pranzo tutti insieme rinnova l’illusione.
Quando il bambino piglia la valigia per andare nell’altra casa, mostriamogli che siamo contenti se là saranno felici: non lasciamo aloni di ingiusto senso di colpa, o di preoccupazione per il genitore.
Alcuni separati in casa passano il Natale con lo stesso gelo degli altri giorni, e anche questo è triste. Meglio invitare amici, andare a uno spettacolo… I cocci rotti non possono far lo stesso vaso di prima: il segreto è l’accettazione, la presa d’atto della situazione reale, sia da parte dei genitori, che non è sano si illudano che va benone  per i loro figli, sia da parte dei figli, che non devono sognare riconciliazioni.
Anche dal Natale di famiglie divise si può imparare: rendiamolo comunque bello, la gioia è anche un gesto di volontà.
Evitiamo le liti, pensando, se la tentazione  di essere tristi è molto forte, a dedicare la giornata proprio al Natale, come se il regalo di serenità ad ogni costo lo volessimo fare a lui!
F. Mormando - Corriere della Sera

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Natale come incontro e avvenimento


Una riflessione sui regali fatti ai bambini

Natale è periodo di feste e regali. Bambini e regali, in epoca di natale: questo ci induce a qualche riflessione. Cosa infatti ha senso regalare, e cosa impariamo osservando i bambini nell’interagire con i nostri regali? Il natale non è solo regali, certo; ma dall’osservazione regalo bambino campiamo qualcosa di più su come abbracciare questo avvenimento.
Il mondo infantile è un mondo di esperienza in cui il bambino tocca tutto, mette in bocca tutto, immagina tutto, apre tutto; il bambino ha un’idea di quello che vuole basata sulla potenzialità della cosa, cioè il valore della cosa lo genera lui, non è determinato dalla forma o dal significato apparente dell’oggetto che può trasformare con le mani o con la fantasia a suo piacimento. Il mondo dell’adulto invece è basato sulla forma e sull’essere in atto, si limita a quello che vede per trarne profitto e che non si azzarda a trasformare, dominato dalla forza della produzione industriale che riesce ad imporre forme e limitare le pretese di cosa ci aspettiamo da un oggetto.
Il mondo degli adulti dunque è finito su un pianeta lontano da quello dei bambini, sembra essere di una pasta diversa, parlare un linguaggio diverso: si esprime in forme e non in potenzialità; e al bambino regala proprio queste “forme”, cioè oggetti già costituiti, con cui si gioca in un modo solo, che magari si trasformano ma solo nel modo determinato dal produttore.
Questo tipo di giocattolo finisce per essere una cosa che in pratica non gli serve o almeno non intende usarla come vorrebbe l’adulto e l’accantona; ma non solo: si sente incompreso e diventa l’enfant-roi (bambino-re) ben descritto dalla sociologa Françoise Dolto nel suo libro Lorsque l’enfant parait, il piccolo despota della casa che reagisce con l’ira (o con la depressione) all’inadeguatezza affettiva dei genitori che pensano che il suo bisogno sia “l’atto” e non la potenzialità, l’aeroplano che vola davvero piuttosto che il gessetto, un videogioco ultima moda invece che la carezza e l’abbraccio.
In Toxic Childhood, Sue Palmer scrive: “In un mondo sempre più ricco e sano, i bambini sembrano sempre più tristi. Soffrono: c’è un’esplosione di condizioni come il deficit di attenzione e la dislessia, mentre la depressione e i problemi emotivi sono in crescita”. Forse perché sono più soli. Brian Sutton-Smith in Nel paese dei balocchi le fa eco: “Gli si regalano giocattoli proprio per tenerlo occupato, perché non sottraggano troppo tempo ai genitori. Il genitore che si siede per terra a giocare con suo figlio il giorno di Natale compie un atto davvero eccezionale che difficilmente si ripete nel resto dell’anno”.
Il giocattolo è sempre esistito, in forme diverse in tutte le culture ma ha sempre avuto la caratteristica della potenzialità: una scopa che diventa un cavallo, un cavallo a dondolo che trasforma in condottiero, una trottola, un caleidoscopio, un barattolo di colori, una fionda, le bambole. In tante scuole italiane i bambini giocano con questi mezzi, ma è in agguato il giocattolo postmoderno, quello in cui si gioca in un modo solo, da soli; e che spesso è anche costoso e che inevitabilmente delude.
Il giocattolo postmoderno è privo di potenzialità, vince quando scompare il gioco, cioè quando il bambino perde padronanza degli spazi e del tempo e contatto con gli amici, con i fratellini: il giocattolo postmoderno è un surrogato di tutto quello che faceva prima correndo, nascondendosi, sporcandosi, strillando nelle campagne e nelle strade, ora scomparsi o vietati. Oggi al bambino è vietato tutto questo, è sparito il suo habitat naturale sostituito con cemento e soprattutto è sparito il vero gioco: gli altri bambini.
E il giocattolo senza potenzialità è simbolo dell’omologazione della società postmoderna, in cui il bambino è parte precoce di un processo di consumo, di apprendimento standardizzato e di soddisfazione immediata. Proprio in questi giorni uno studio dell’associazione inglese Girlguiding mostra le adolescenti britanniche già angosciantemente insoddisfatte della loro immagine fisica e alla ricerca di correzioni immediate e spicce.
La parola d’ordine per i regali di Natale è allora rendere ai bambini l’uso della loro potenzialità, cioè della loro infanzia. La società li vuole incanalare in un percorso di utilità e “professionalità” sin dall’asilo, ma la ricorrenza del Natale può essere un punto di svolta per chi lo vuole.

Che il Natale allora sia la memoria del nostro desiderio di essere anche noi, come i bambini, sempre più aperti alla “potenzialità”, alla vita e all’incontro con un Avvenimento. Che impariamo a stupirci della vita, ad abbracciare l’imprevisto non come un ostacolo ma come una possibilità. Che sia davvero la memoria di un Evento, e che il cambiamento sia sottolineato da un fatto nuovo: che i grandi finalmente riprendano - o imparino - a giocare con i figli. A Natale riflettiamo sui giochi che regaliamo ai bambini, su cosa “di noi” davvero offriamo loro, e su come una notte speciale ci chiede di cambiare.
C. Bellieni