venerdì 30 ottobre 2015

Capaci di compassione




Il perdono di Dio non è una sentenza del tribunale che può mandare assolti «per insufficienza di prove». Nasce invece dalla compassione del Padre per ogni persona. E questa è precisamente la missione di ogni sacerdote, che deve avere la capacità di commuoversi per entrare veramente nella vita della sua gente. Lo ha riaffermato Francesco nella messa celebrata venerdì mattina, 30 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. 
La compassione, ha fatto subito notare il Papa nell’omelia tenuta in lingua spagnola, è «una delle virtù, per così dire, un attributo che Dio ha». E ce lo racconta Luca nel passo evangelico (14, 1-6) proposto dalla liturgia. Dio, ha affermato Francesco, «ha compassione; ha compassione di ognuno di noi; ha compassione dell’umanità e ha mandato suo Figlio per guarirla, per rigenerarla, per ricrearla, per rinnovarla». Per questo, ha proseguito, «è interessante che nella parabola del figliol prodigo, che tutti conosciamo, si dice che quando il padre — immagine di Dio che perdona — vede arrivare suo figlio, prova compassione».
«La compassione di Dio non è sentire pena: le due cose non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra», ha messo in guardia il Papa. Difatti, «io posso provare pena per un cagnolino che sta morendo o per una situazione». E «provo pena anche per una persona: mi fa pena, mi dispiace che le stia accadendo questo». Invece «la compassione di Dio è mettersi nel problema, mettersi nella situazione dell’altro, con il suo cuore di Padre». E «per questo ha mandato suo Figlio».
«La compassione di Gesù appare nel Vangelo» ha proseguito Francesco, ricordando che «Gesù curava la gente, però non è un guaritore». Piuttosto Gesù «curava la gente come segno, come segno — oltre a curarla sul serio — della compassione di Dio, per salvare, per rimettere al suo posto nel recinto la pecorella smarrita, le dramme perse dalla donna nel portamonete» ha aggiunto riferendosi alle parabole evangeliche.
«Dio prova compassione» ha rimarcato ancora il Pontefice. E «ci mette il suo cuore di Padre, ci mette il suo cuore per ciascuno di noi». In effetti, «quando Dio perdona, perdona come Padre, non come un officiale giudiziario che legge un incartamento e dice: “sì, in realtà può essere assolto per insufficienza di prove...”». Dio «ci perdona dal di dentro, perdona perché si è messo nel cuore di quella persona».
Francesco ha quindi ricordato che «quando Gesù deve presentarsi nella sinagoga, a Nazareth, per la prima volta, e gli danno da leggere il libro, gli capita proprio l’annuncio del profeta Isaia: “Io sono stato inviato per portare la lieta novella, per liberare colui che si sente oppresso”». Queste parole significano, ha spiegato, «che Gesù è inviato dal Padre per mettersi in ciascuno di noi, liberandoci dei nostri peccati, dei nostri mali e per portare “la lieta novella”». L’«annuncio di Dio» infatti «è lieto».
E questa è anche la missione di ogni sacerdote: «Commuoversi, impegnarsi nella vita della gente, perché un prete è un sacerdote, come Gesù è sacerdote». Ma, ha aggiunto il Pontefice, «quante volte — e poi ci siamo dovuti andare a confessare — abbiamo criticato quei preti ai quali non interessa ciò che accade ai loro parrocchiani, che non se ne preoccupano: “no, non è un buon sacerdote” abbiamo detto». Perché «un buon prete è quello che si impegna». Proprio come sta facendo, da sessant’anni, il cardinale messicano Javier Lozano Barragán, arcivescovo-vescovo emerito di Zacatecas e presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, nonostante i suoi problemi di salute. A lui — presente alla messa insieme a novanta fedeli messicani — Francesco si è rivolto direttamente con particolare affetto nell’anniversario della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 20 ottobre 1955.
Nel fare gli auguri al cardinale, rendendo grazie a Dio per il suo servizio specialmente alle persone sofferenti, il Papa ha colto l’occasione per rilanciare ancora una volta il profilo essenziale del sacerdotale, che si riconosce anzitutto dalla sua capacità di prendersi cura della gente, prima in parrocchia e poi anche da vescovo, impegnato in un dicastero della curia romana. Sessant’anni di vita sacerdotale, ha affermato il Papa, racchiudono certamente una grande ricchezza di incontri, di problemi umani, di ascolto e di perdono. Sempre al servizio della Chiesa.
L'Osservatore Romano