domenica 15 dicembre 2013

L'essere umano è uno spirito incarnato


 Prima parte

L'antropologia di San Tommaso d'Aquino

di Maurizio Moscone, docente di Antropologia Teologica presso i Seminari Redemptoris Mater

L’antropologia di San Tommasocostituisce l’apice della riflessione filosofica medioevale sulla persona, ispirata dalla rivelazione cristiana e iniziata con Boezio[1].
Nel Medio Evo la meditazione della Sacra Scrittura ha alimentato l’approfondimento razionale della natura umana, senza limitare l’autonomia della ricerca filosofica, ma stimolando l’intelletto a indagare le dimensioni antropologiche ontologicamente più profonde.
La filosofia post-medioevale si è sempre più allontanata dall’antropologia di San Tommaso, che concepiva l’essere umano come “persona”, cioè come unione sostanziale di spirito immortale e di corpo materiale, fino a pervenire al pensiero moderno, caratterizzato dal “dualismo di coscienza e essere”[2], il cui “padre” Cartesio, come è stato evidenziato nei precedenti articoli[3], scindeva l’essere umano in due sostanze giustapposte: res cogitans eres extensa.
L’anima, come è stato mostrato prima[4], è il  principio vitale delle piante , degli animali e degli esseri umani. L’anima umana, però,  è spirituale a differenza da  quella materiale  delle piante e degli animali[5].
L’anima, essendo spirituale,  è la causa di tutte le attività di carattere spirituale, come ad esempio, dei ragionamenti filosofici, delle scelte di vita, della creazione di opere d’arte, ecc. Come si spiegano allora nell’uomo le funzioni di carattere sensitivo che sono proprie degli animali e quelle vegetative specifiche delle piante?
Esistono nell’essere umano tre anime? Una spirituale, una animale e una vegetale?
Questo problema era dibattuto nel Medio Evo, quando ancora i filosofi argomentavano e mettevano in discussione le loro tesi.
San Tommaso risolse la questione movendo dalla constatazione dell’unità profonda che sussiste nell’uomo tra l’anima e il corpo. Infatti per il filosofo “è chiaro  che il principio immediato della vita del corpo è l’anima. E poiché la vita si rivela mediante diverse operazioni che variano nei diversi gradi degli esseri viventi, il principio immediato che è l’origine di tutte le operazioni in noi è l’anima: l’anima, infatti, è il principio che ci fa sentire, muovere nello spazio e, anche, comprendere. Questo principio che si chiama intelletto o anima intellettiva è, dunque, la forma del corpo”[6].
Dire che l’anima è la “forma” del corpo significa affermare che essa è il programma interno della corporeità umana, che abilità  l’essere umano a compiere tutte le operazioni di tipo spirituale e materiale di cui è capace. Questo programma è unico, quindi l’anima spirituale può esercitare anche le funzioni sensitive  proprie degli animali e quelle vegetative proprie delle piante, perché ciò che è superiore può svolgere anche funzioni di ciò che è inferiore, come, analogamente, avviene nella vita militare nella quale “il generale può benissimo svolgere le mansioni del colonnello, o del maggiore, o del capitano, o del tenente, o anche del soldato semplice. Mentre non è vero il contrario: un soldato semplice non è capace di fare il generale”[7].
Questo esempio riportato da Coggi esprime bene il pensiero di San Tommaso, il quale sostiene giustamente che l’anima sensitiva degli animali svolge oltre alle funzioni sensitive anche quelle vegetative delle piante (non è vero il contrario), ma ciò non significa affermare l’esistenza di due anime, così come l’anima spirituale  svolge tutte le operazioni specificamente umane, sia spirituali che sensitive e vegetative. Afferma in proposito San Tommaso che “l’anima sensitiva, intellettiva e vegetativa non formano […] nell’uomo che una sola e identica anima”[8].
L’anima spirituale è unica ed è così intimamente unita al corpo da farlo vivere. Essa è l’unica responsabile di tutte le attività vitali dell’uomo[9]. Noi sperimentiamo questa profonda unione spirituale e corporea e di ciò è consapevole anche Cartesio, nonostante la sua antropologia dualistica, scrive infatti:
“Non basta che [l’anima] sia posta nel corpo umano, come un nocchiere sulla
propria imbarcazione, giusto per muoverne le membra, ma è necessario che essa
sia congiunta e unita più strettamente col corpo per poter avere, oltre a ciò,
sentimenti e appetiti simili ai nostri, e in tal modo costituire un uomo reale”[10] .
L’uomo reale, afferma San Tommaso, “non è soltanto l’anima ma un essere composto di anima e corpo”[11], quindi l’essere umano, pur essendo una realtà sostanziale unitaria, è duale e  la persona umana non si identifica  né soltanto con l’anima né soltanto con il corpo, perché essa è l’unione sostanziale di entrambi.
San Tommaso scrive in proposito:
“La persona in qualunque natura significa ciò che ha una sussistenza. Nella natura umana la persona significa questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i principi che individuano l’uomo”[12].
(La seconda parte sarà pubblicata sabato 14 dicembre)
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NOTE
[1] La speculazione filosofica di Boezio, come di Agostino, si situa nel contesto della riflessione teologica. Il filosofo vive nel V secolo, dopo il Concilio di Calcedonia del 451 che condanna il monofisismo e afferma il dogma di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, un’unica persona con due nature. Questo dogma cristologico suscita un problema filosofico: come è possibile una duplicità di natura in un singolo essere umano? Boezio, nel De consolatione philosophiae, dimostra filosoficamente che i concetti di natura e di persona sono tra loro diversi ed applicabili incontraddittoriamente all’essere umano. Di conseguenza, pone le basi metafisiche per risolvere un problema teologico.
[2] E. Nicoletti, Problematicismo e Metafisica, Garigliano, Cassino 1971, p. 123.
[3] Vedi i precedenti articoli pubblicati da Zenit, con il titolo: L’anima esiste ed è immortale. L’antropologia di Cartesio.
[4] Vedi i precedenti articoli pubblicati da Zenit, con il titolo: Esiste l’anima?
[5] Ibidem.
[6] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, 1, LXXVI, 1.
[7] R. Coggi, Dio creatore, gli angeli e l’uomo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2002, p. 193.
[8] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, 1, LXXVI, 3.
[9] Cfr. R. Coggi, Dio creatore, gli angeli e l’uomo, cit., pp. 193-194.
[10] Cartesio, Discorso sul metodo,  Feltrinelli, Milano 2007, pag. 106.
[11] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, 1, LXXV, 4.
[12] Ibidem, 1, XXIX, 4.

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Seconda parte

L'antropologia personalista di San Tommaso d'Aquino

La persona, secondo San Tommaso, è principium quod, è il principio che agisce. Colui  che agisce è la persona e agisce secondo la propria natura umana; in ogni sua azione non si può quindi separare ciò che è spirituale da ciò che è corporeo perché   compositum est quid quod agit, è il “composto  di anima e corpo” ciò che agisce.
Il fatto che non ci sia separazione non significa che non si debbano distinguere nell’essere umano operazioni di carattere materiale, come ad esempio mangiare, camminare, ecc. da altre di tipo spirituale come riflettere, pregare ecc.
La presenza di attività spirituali presuppone, come è stato evidenziato precedentemente[1], l’esistenza dell’anima spirituale e della sua causa efficiente, cioè di Dio, inteso come Spirito assoluto.
L’anima umana essendo immateriale non può corrompersi come avviene necessariamente per ogni sostanza corporea. Infatti, filosofi come Pitagora, Platone, Cartesio,  che sostengono la spiritualità dell’anima, affermano anche la sua immortalità e la sua origine divina, ma, come abbiamo visto[2], secondo loro il rapporto dell’anima con il corpo è superficiale e esteriore e non è intrinseco come nell’antropologia tommasiana.
San Tommaso, in continuità con Aristotele, afferma che l’anima è forma corporis e, essendo  la forma del corpo,  lo informa tutto, cioè è presente intimamente in tutto il corpo umano, facendo vivere ogni sua parte.
L’anima umana, essendo forma del corpo, anche se è spirituale  dovrebbe seguire il destino del corpo e morire nel momento in cui quest’ultimo si corrompe, così come la distruzione delmarmo (corpo) di una statua comporta la distruzione della statua (forma).
San Tommaso, accettando l’insegnamento di Aristotele, dovrebbe pervenire a queste conclusioni.
Fuček scrive in proposito:
“L’ilemorfismo aristotelico vede l’anima come la forma del corpo. Quindi i due sono i principi sostanziali dell’unità dell’uomo: materiale  (corpo) e formale (anima). Con ciò si salva bene l’unità dell’uomo, la quale è sostanziale e non accidentale,  però si mette in pericolo l’immortalità dell’anima, giacché l’anima è […] la forma. Ma […] la forma non è realtà sostanziale, bensì appartiene ai principi dell’essere. Quindi […] la forma cessa di esistere con la morte dell’uomo. In altre parole: la forma del corpo umano dura finché non finisce l’unione tra anima e corpo”[3].
San Tommaso risolve genialmente la questione evidenziando come l’anima sia non soltantoforma materiae (forma del corpo) ma anche forma immaterialis, cioè una forma spirituale sussistente, che possiede due facoltà spirituali specifiche: l’intelletto e la volontà[4]. Se l’anima è una forma sussistente significa che essa esiste in sé, quindi indipendentemente dal corpo, conseguentemente quando esso si corrompe e muore l’anima spirituale continua a esistere.
E’ necessario però chiedersi perché l’anima è una realtà sussistente.
“La natura di una realtà - scrive il Filosofo – è rivelata dal suo operare”[5] e nell’essere umano sono presenti attività di carattere spirituale indipendenti dal corpo,  che presuppongono come loro causa una realtà che deve essere indipendente da esso, cioè una realtà spirituale sussistente: l’anima.
La filosofia scolastica insegnava che agere sequitur esse, l’agire segue l’essere (l’esistere): se una realtà agisce  indipendentemente dal corpo,  è, cioè esiste, indipendentemente dal corpo. Le attività spirituali dell’anima umana, attestando la loro autonomia dal corpo, testimoniano l’indipendenza dell’anima dalla materia e quindi la sua immortalità[6]. Al contrario “l’anima delle bestie – scrive San Tommaso – non avendo un’attività propria, non può essere sussistente, perché ogni essere esiste nello stesso modo in cui agisce”[7].
L’anima umana, a differenza da quella animale, sopravvive alla  corruzione del corpo essendo immortale.
Scrive in proposito Giacon:
“Quando […] il corpo umano si disgrega, l’anima umana cessa di esercitare quelle funzioni che esercitava nel corpo, in quanto era anche vita del medesimo. Come nel caso dell’amputazione di un membro, l’anima cessa di esercitare in esso le funzioni della vita, e quel membro rimane morto, mentre l’anima continua a vivificare il rimanente del corpo, così, quando tutto il corpo si disgrega, l’anima spirituale cessa di esercitare totalmente le funzioni vivificatrici della materia, e si ritrae, per così dire, tutta in se stessa, poiché avendo altre funzioni, continua ad esistere esercitando queste altre. Soltanto un’azione opposta a quella che l’ha fatta esistere, potrebbe farla morire. Ma di natura sua non è soggetta alla corruzione e alla morte; l’anima umana è naturalmente immortale”[8].
L’anima umana continua dunque ad esistere dopo la morte del corpo, il quale subisce una trasformazione sostanziale e da corpo umano diventa cadavere. La persona umana, dopo la morte, è incompleta perché sopravvive soltanto come io spirituale con tutte le attività propriamente spirituali, ma è priva di ogni dimensione corporea. L’anima sarà per sempre separata dal corpo al quale era intimamente unita durante la vita terrena o ci sarà una riunificazione? La filosofia  è impossibilitata a rispondere a queste domande, ma può affermare con assoluta certezza che l’essere umano è essenzialmente persona, cioè, come afferma San Tommaso: “questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i principi che individuano l’uomo”.

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NOTE
[1] Vedi i precedenti articoli pubblicati su Zenit con il titolo: L’anima esiste ed è immortale.
[2] Ibidem.
[3] I. Fuček, La sessualità al servizio dell’amore. Antropologia e criteri teologici, Edizioni Dehoniane, Roma 1993, p. 83.
[4] Cfr,F. Van Steenberghen, Le Thomisme, cit. , p. 91.
[5] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, 1, LXXVI, 1.
[6] Cfr. ibidem, 1, LXXV, 2.
[7] Ibidem, 1, LXXV, 3.
[8] C. Giacon, Le grandi tesi del tomismo, cit., p. 190.