mercoledì 4 dicembre 2013

Dialogo interreligioso: l'esperienza dei Focolari in rapporto alle comunità musulmane nel mondo




“Il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa” è “una condizione necessaria per la pace”. Lo scrive Papa Francesco nell’Esortazione “Evangelii Gaudium”. Il Papa sottolinea in particolare l’importanza della relazione con i credenti dell’islam invitando, di fronte a episodi “di fondamentalismo violento”, a “evitare odiose generalizzazioni perché, scrive, il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza”. A coltivare da tempo rapporti improntati al dialogo con persone e comunità musulmane, in diverse parti del mondo, è il Movimento dei Focolari. Ma di quale dialogo si tratta? Roberto Catalano, responsabile del Centro per il Dialogo interreligioso dei Focolari:

R. – Il movimento è impegnato nel dialogo, perché ha come sua finalità principale quella di costruire un mondo unito e quindi di credere alla possibilità della famiglia universale. Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, il dialogo è naturalmente più profondo con le religioni principali, in particolare con l’ebraismo, con l’islam, con il buddismo e con l’induismo. Quello che è importante sottolineare è che si tratta sempre di un’esperienza vitale, cioè della vita, quella da cui nasce il dialogo. Si passa poi ad un dialogo di collaborazione con attività varie, per arrivare anche ad un dialogo di riflessione accademica e teologica. 

D. – Quando si parla delle altre religioni, il dialogo con la religione musulmana sembra quello più difficile da intraprendere. Che esperienze ci sono su questo nel Movimento?

R. – Ci sono tante esperienze. Ci sono esperienze in Algeria, dove il Movimento dei Focolari è per la maggior parte composto di persone di fede e tradizione islamica, che vivono l’idea della fraternità universale come musulmani e che cercano di trasmetterla ad altri musulmani. C’è un dialogo negli Stati Uniti con musulmani afro-americani, seguaci dell’imam W.D. Mohammed, con i quali ci si incontra in diverse parti del Paese un paio di volte l’anno e sono comunità musulmane e comunità cristiane che si raccontano come vivono da musulmani e da cristiani. C’è un dialogo dell’esperienza pedagogica nei Balcani, dove ci sono degli asili che sono interreligiosi e interetnici, dove si cerca di costruire il futuro di queste nazioni, formando dei bambini alla loro identità, ma allo stesso tempo all’interazione e quindi all’integrazione. Poi c’è un dialogo all’interno dell’Europa, con l’islam, attraverso i musulmani che arrivano per via delle migrazioni. Si tratta di creare un dialogo dell’accoglienza, una cultura che non escluda nessuno, come Papa Francesco continua a ripetere. Ci sono, quindi, diversi progetti proprio sul territorio, progetti concreti. E questi sono in Italia, sono in Austria, sono in Svizzera, in Francia, in Spagna e anche in altri Paesi.

D. – Prospettive si sono aperte anche in Giordania?

R. – In Giordania abbiamo un gruppo di musulmani, fra cui tra l’altro un accademico di grande valore e di alto profilo. Lì, questo tipo di dialogo assume anche una valenza accademica, proprio grazie a questo professore e ad alcuni amici e colleghi, che hanno conosciuto la nostra spiritualità e che cercano di parteciparla a livello teologico, proprio all’interno del loro pensiero nell’Università di Amman e in altri centri teologici.

D. – Guardiamo un momento all’Italia, dove non mancano anche attriti tra le comunità islamiche di immigrati, per lo più, e gli italiani...

R. – In Italia si cerca di portare avanti un discorso comune con diverse comunità di musulmani nella zona del Veneto, anche in alcune parti della Toscana, poi nel centro Italia e anche recentemente in Sicilia. Si cerca di lavorare insieme con esperienze, nel quotidiano, di integrazione, ma anche di collaborazione fra famiglie musulmane e famiglie cristiane, per cercare di recuperare i valori della famiglia o di non perderli, per quanto riguarda la cultura musulmana, perché è una cosa cui loro tengono molto. Evidentemente c’è paura, c’è scetticismo, ma c’è anche molta buona volontà. Come diceva Giovanni Paolo II il dialogo è un cantiere, quindi si sta costruendo, e nel dialogo bisogna avere molta pazienza.

D. – Tante esperienze in atto, dunque. Da tutto questo che cosa si può evincere: maggiori speranze in questa possibilità di incontro?

R. – Senz’altro! Forse noi non ci rendiamo conto di che cos’era il mondo 30, 40 anni fa, quando non si dialogava fra persone di diverse religioni, se non minimamente. C’è molta strada da fare ancora. Ma se non si fa niente, si rischia veramente la catastrofe. E, come dicono molti, il dialogo è l’unica soluzione. Naturalmente si costruisce giorno per giorno e i protagonisti siamo noi in prima persona.
Radio Vaticana