sabato 7 dicembre 2013

La vita morale secondo Bergoglio

Fedeli

L'Evangelii Gaudium manda in archivio tanti stereotipi dominanti intorno a Chiesa e moral issues

GIANNI VALENTE



L'Evangelii Gaudium non è un trattato di teologia morale. L'Esortazione apostolica tratta degli insegnamenti morali della Chiesa di rimbalzo, nell'orizzonte aperto della «conversione pastorale» suggerita da Papa Francesco a tutto il corpo ecclesiale. Eppure i pochi accenni alla dinamica della vita morale disseminati in maniera anche implicita nel testo di Papa Bergoglio risultano destabilizzanti per certi stereotipi dominanti in tante estenuate dispute cultural-mediatiche intorno a Chiesa e moral issues.


Con scelta eloquente, Papa Francesco accosta il tema dal versante della comunicazione. Secondo Papa Francesco, nei processi comunicativi alcune questioni che fanno parte dell’insegnamento morale della Chiesa vengono spesso estrapolate «fuori del contesto che dà loro senso». L’effetto è che «il messaggio che annunciamo sembra allora identificato con tali aspetti secondari che, pur essendo rilevanti, per sé soli non manifestano il cuore del messaggio di Gesù Cristo». Per di più, secondo Papa Francesco, occorre «essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo, o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (34).

Alcuni insegnamenti e precetti morali richiamati dalla Chiesa – aggiunge il Papa - si comprendono e si apprezzano solo vivendo l’esperienza della fede e dell’appartenenza ecclesiale, «al di là della chiarezza con cui se ne possano cogliere le ragioni e gli argomenti» (42). Per questo la pastorale «in chiave missionaria» prefigurata per tutta la Chiesa dall'attuale successore di Pietro non indulge all’ossessione di trasmettere «una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (35).

L'annuncio cristiano in quanto tale  – accenna Bergoglio – ha tutt’altro passo: per arrivare a tutti senza eccezioni né esclusioni, esso «si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario». Così la proposta «si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità», e diventa «più convincente e radiosa». (35).


Il rinvio a ciò «che è più attraente e allo stesso tempo più necessario» non sottende un oscuramento degli insegnamenti morali della Chiesa. Papa Francesco cita san Tommaso d’Aquino e il Concilio Vaticano II: alcune verità esprimono «più direttamente il cuore del Vangelo», e a risplendere su tutto è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto». Per questo tra le verità espresse nella dottrina cattolica, comprese quelle morali, esiste una gerarchia, «essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (36). Ma proprio il rapporto delle singole verità con il cuore dell’annuncio cristiano fa sì che nessuna di esse sia destinata all’archivio. Piuttosto, ogni verità «si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano», dove «tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente». (39).

Del resto, già San Tommaso d’Aquino – scrive Papa Francesco - «sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio “sono pochissimi”». Il santo domenicano, citando sant’Agostino, notava anche  che «i precetti aggiunti dalla Chiesa posteriormente si devono esigere con moderazione “per non appesantire la vita ai fedeli e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”». (43). 


Liberare la comunicazione ecclesiale da un eccessivo martellamento sulle questioni morali non è una trovata tattica per apparire più moderni. Per Papa Bergoglio, anche in tale orientamento si esprime lo sguardo proprio della fede cristiana sull’agire morale. «La predicazione morale cristiana» scrive Papa Francesco «non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori». (39). Il suo obiettivo non è sponsorizzare un “dover essere”, insegnare uno sforzo d'adesione a un codice di comportamento.


Lo sguardo cristiano sull'agire morale ha sempre riconosciuto che nella condizione storica concreta, segnata dal peccato originale, tutti gli uomini sono feriti in naturalibus, nelle proprie facoltà naturali. Anche i pronunciamenti dottrinali della Chiesa, dal Concilio di Cartagine del 418 d.C. al Concilio di Trento, dal secondo Concilio di Orange (529 d.C.) fino al Credo del Popolo di Dio di Paolo VI, hanno ripetuto che negli uomini non solo la volontà è debilitata, ma anche l'intelligenza è offuscata in quanto tale. E quindi, alla lunga e nel vissuto concreto, con tutti i suoi condizionamenti, può annebbiarsi – e di fatto si annebbia -  anche il riconoscimento di ciò che è naturalmente evidente. Come - ad esempio - la vocazione creaturale a proteggere la vita di chi sta per nascere. 
Davanti alla condizione umana così com’è, l'annuncio cristiano non è mai partito dallo sforzo di inculcare nelle menti degli uomini insegnamenti morali auto-evidenti. Già San Paolo e Sant'Agostino riconoscevano che perfino la dottrina cristiana, che è vera, diventa lettera che uccide se non c’è la delectatio e la dilectio, cioè l'attrattiva amorosa della grazia. Tanti secoli dopo, Papa Francesco, citando il suo predecessore, ripete che «la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (n.14).

Nell'avventura cristiana, all’inizio e poi in ogni nuovo passo, si procede e si cresce per attrattiva operata dalla grazia. E anche nella vita morale, la grazia fiorisce e si manifesta nel dono gratuito della misericordia. San Tommaso d’Aquino – scrive Papa Bergoglio nella Evangelii Gaudium – insegnava che riguardo all’agire morale «la misericordia in se stessa è la più grande delle virtù». Perché «l’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo», e le opere di amore al prossimo «sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito». La misericordia, il «sollevare le miserie altrui», è propria di Dio: «ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza» (37).

Nella sua esperienza di pastore in cura d’anime e di confessore, Papa Bergoglio ha sperimentato tante volte che proprio l’esperienza di essere abbracciati dalla misericordia e dal perdono può ridestare nelle coscienze degli uomini e delle donne di oggi la percezione del proprio limite, del male, del peccato che indurisce il cuore, del bene che attrae e rende felici. Come spiegava Joseph Ratzinger nel marzo del 2000, presentando ai giornalisti i pronunciamenti giubilari sui “mea culpa” della Chiesa, «mi sembra che solo il perdono, il fatto del perdono, permetta la franchezza di riconoscere il peccato. Inoltre, la certezza che Dio ci perdona, ci rinnova, fa parte essenziale del Vangelo». Oggi, Papa Francesco esprime la stessa fiducia nella “medicina” della misericordia, l’unica che può guarire e cambiare anche le vite che sembrano perdute. Per questo invita i pastori e tutti i cristiani a «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno». Occorre rispettare i tempi del lavoro della grazia, che si incarna nelle circostanze concrete e non procede per astrazioni rigoriste. Un cuore davvero missionario – scrive il vescovo di Roma - non rinuncia mai al «bene possibile», è «consapevole di questi limiti e si fa “debole con i deboli, tutto per tutti”» (1 Cor 9,22).

Tiene sempre in conto che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». E anche che l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici o sociali» (44).

Lo sguardo cristiano sulla vita morale fiorisce dall’esperienza gratuita della misericordia. I discorsi sulle questioni etiche e morali che non tengono conto di questo, o che addirittura maltrattano la misericordia sbeffeggiandola come “buonismo”, sono estranei alle dinamiche proprie innescate nel mondo dall’avvenimento cristiano. Anche quando abusano di parole cristiane e magari servono a far carriera ecclesiastica. In quei discorsi – avverte Papa Francesco nella Evangelii Gaudium - «non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche». È proprio per questa via che «l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo». (39).