mercoledì 4 dicembre 2013

Sesso e celibato



di Bill Keller
in “www.nytimes.com” del 1° dicembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Tra le suore che insegnavano alla St. Matthew’s Catholic School, suor Mary Robert era la mia
preferita. Era giovane, non aveva ancora 30 anni, con un viso dolce incorniciato dal soggolo bianco
inamidato. Domava una classe di ragazzi di terza media frastornati dagli ormoni facendo in modo
che desiderassimo farle piacere. Le offrivamo le nostre composizioni e le nostre rischiose imprese
in pentametri giambici, ed eravamo ricompensati con un incoraggiamento che, almeno nel mio caso,
non cadevano mai nel vuoto.
Lasciai la chiesa pochi anni dopo aver lasciato la scuola di St. Matthew. Lasciare la propria chiesa
non è tanto come lasciare un club, quanto come emigrare dal paese in cui si è cresciuti. Si rinuncia
alla cittadinanza e non ci si considera più soggetti alle sue leggi, ma si seguono le notizie di quella
che è stata la propria patria e ci si augura che le cose vadano bene a quella gente, perché in un certo
senso è ancora la propria gente. E se una persona si guadagna da vivere scrivendo, capita che
talvolta scriva di quel mondo, da una certa distanza.
L'anno scorso, 50 anni dopo l'esame di terza media, suor Mary Robert vide qualcosa scritto da me
sul cattolicesimo e mi inviò una lettera. Solo che non era più suor Mary Robert. Aveva incontrato un
prete, padre John Hydar. Si erano innamorati e, dopo essere riusciti a liberarsi dai rispettivi voti
religiosi, si erano sposati. Quando mi scrisse la lettera, il matrimonio di Roberta (il nome di
battesimo che aveva ripreso) e di John era al 41° anno, e sembrava un matrimonio felice.
Se io sono un “emigrato” dal paese del cattolicesimo, gli Hydar potrebbero essere meglio descritti
come dissidenti rimasti in patria. Finirono in una di quelle numerose piccole comunità di cattolici
delusi, dove le donne vengono ordinate, i matrimoni gay vengono benedetti e ai membri del clero
non viene richiesto di sopportare la solitudine del celibato. Alla fine John cominciò a svolgere
funzioni di ministro del culto per quei cattolici emarginati. Era uno dei quattro preti sposati della St.
Anthony's Community a Santa Barbara, California, battezzava i bambini e presiedeva matrimoni e
funerali. Talvolta veniva invitato a supplire alla mancanza di preti in parrocchie cattoliche
tradizionali, mentre l'arcidiocesi chiudeva un occhio. Secondo la visione della chiesa ufficiale erano
dei “pendolari”, se non proprio dei “reietti”, ma personalmente si consideravano veri cattolici, in
attesa che Roma rinsavisse. “Mio marito ed io non riusciremo a vedere i frutti del nostro lavoro”, mi
scrisse Roberta, “ma intanto troviamo nuovi modi di essere cattolici, credendo che “la Spirito” è
sempre in movimento e non c'è chiesa istituzionale che possa fermarla”. Quel “la” mi fece
sorridere.
Fa il suo ingresso il nuovo papa, Francesco, che ha rincuorato molti cattolici progressisti e ha fatto
infuriare molti cattolici conservatori, insinuando che Gesù non aveva intenzione di istituire una
legione di bisbetici. Gli sforzi del papa per promuovere un tono più tollerante e ri-orientare le
priorità della chiesa dall'inquisizione alla compassione sono quasi solo parole. Non intendo questo
come un'offesa. La gentilezza del suo linguaggio, la sua empatia per i più piccoli tra noi, e l'umiltà
del suo esempio sono innegabilmente una ventata d'aria fresca. Eppure, ad un certo punto Francesco
sarà, e dovrebbe essere, giudicato per la sostanza della sua leadership. Che cosa ci dobbiamo
aspettare?
Molti dei punti che i riformatori della chiesa come gli Hydar sollecitano – ordinazione delle donne,
piena uguaglianza per i gay, fine della – ampiamente ignorata – proibizione del controllo delle
nascite – sono così impigliati nei proclami dei papi del passato e in precedenti storici, che io dubito
che Francesco si faccia carico del problema. Un'esortazione apostolica che il papa ha reso pubblica
la settimana scorsa era un appello sentito all'inclusione – ma nei termini tradizionali del Vaticano.
Tuttavia c'è un problema per il quale le politiche interne, per quanto difficili, sono meno difficili,
dove la causa della riforma preme e dove ci sono indizi che fanno pensare che Francesco possa
essere incline al cambiamento. Ed è il celibato dei preti.
Gli argomenti per abolire l'obbligo per i preti di rinunciare al sesso e al matrimonio non sono nuovi,
ma sono diventati più urgenti. Il celibato obbligatorio ha allontanato molti buoni preti e potenziali
preti in un periodo in cui le parrocchie in Europa e negli Stati Uniti stanno chiudendo per mancanza
di clero. Tale obbligo priva i preti di un'esperienza che li renderebbe più competenti nella
consulenza alle famiglie loro affidate. Il celibato – coltivando una cultura di eccezioni e negazioni
del sesso – ha sicuramente avuto un ruolo nel vergognoso primato della chiesa nella pedofilia e nel
relativo occultamento.
“Molte persone non considerano (il celibato) come un atto di straordinaria testimonianza”, ha detto
Thomas Groome, che è a capo del dipartimento di istruzione religiosa e ministro pastorale al Boston
College. Lo considerano come uno stile di vita peculiare, e non lo ritengono affidabile. Groome è
stato prete per 17 anni, ma ha lasciato, per diventare marito e padre. “Credo che la solitudine del
celibato, mi ha detto, possa far impazzire le persone”. “Ho conosciuto centinaia di preti nella mia
vita, dai giorni in cui studiavo nel seminario irlandese, poi nel periodo del mio presbiterato e per
decenni come teologo... Non conosco molti preti diocesani, forse tre o quattro, che hanno vissuto un
celibato ricco e vivificante”.
Il requisito del celibato per i preti non è dottrina, ma un'aberrazione culturale e storica. I primi
apostoli avevano moglie. Il clero cattolico era libero di sposarsi per tutto il primo millennio, finché
una serie di concili nel XII secolo cambiò le regole, motivate in parte da dispute finanziarie (vi
erano preti che cercavano di trasmettere le proprietà della chiesa ai loro figli; il crudele rimedio fu
di negare loro i figli).
In realtà, nella Chiesa cattolica ci sono molti preti sposati, preti che sono stati ordinati nelle
tradizioni del cattolicesimo orientale, o anglicani, e altri preti sposati le cui famiglie sono state
accolte quando si sono convertiti alla Chiesa di Roma. In alcune parti dell'America Latina e
dell'Africa, i preti si sposano e hanno moglie secondo la legge civile, e la chiesa guarda dall'altra
parte. Francesco lo sa molto bene. Come arcivescovo di Buenos Aires, il futuro papa divenne amico
di un vescovo radicale e notoriamente non celibe, Jeronimo Podesta, lo assistette sul letto di morte e
successivamente rimase per anni vicino alla vedova di Podesta, che ricorda di aver spesso discusso
con lui del problema del celibato.
Le intenzioni di Francesco sono state oggetto di intense speculazioni nei circoli ecclesiastici da
settembre, quando l'arcivescovo Pietro Parolin, confidente di Francesco e numero due del Vaticano,
disse in un'intervista che il celibato “non è un dogma e può essere discusso perché si tratta di una
tradizione della chiesa”. Parolin specificò le sue osservazioni (“Non possiamo semplicemente dire
che è parte del passato”), ma la sua dichiarazione che l'argomento “può essere discusso” garantiva
che lo sarebbe stato.
Un luogo dove è stato a lungo discusso è tra i preti sposati nella parrocchia dissidente dove John e
Roberta avevano trovato rifugio. John mi disse che se il celibato fosse stato opzionale negli anni 60
“molti di noi sarebbero rimasti ministri attivi” (benché “molti di noi si sarebbero forse scottati” su
altre divergenze con la politica vaticana). Ha ammesso di aver provato un piccolo piacere perverso
per il disagio che Francesco ha causato ai sostenitori della linea dura: “Ora le parti si sono
rovesciate”. E ha detto che può persino immaginare che Francesco, se gli sono concessi 10 o 15
anni di buona salute, potrebbe cambiare la chiesa abbastanza – non per vincere battaglie perse come
me - ma per permettere ai cattolici come la mia vecchia insegnante e sua moglie di sentirsi di nuovo
a casa. John Hydar starà a guardare, con ansiosa speranza, ma senza sua moglie. Roberta Hydar è
morta di cancro il 18 ottobre. Aveva 79 anni.