giovedì 22 ottobre 2015

10 grandi citazioni dalla Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II




Nel giorno in cui ricorre la memoria liturgica di san Giovanni Paolo II...

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di Constance Hull
Se volete fare un grande regalo al/la vostro/a futuro/a sposo/a, suggerirei di studiare un po’ la Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II.
Imparare il progetto di Dio per mio marito e me, come uomo e donna, così come la chiamata di Dio alla comunione con lui ha cambiato il corso del nostro rapporto prima che ci sposassimo. Quando contraete matrimonio, ricordate che il vostro sacramento è in comunione con la Santissima Trinità e che Dio vi sta chiamando a un incontro più profondo con Lui attraverso il/la vostro/a sposo/a.
La Teologia del Corpo è una raccolta di 129 discorsi che San Giovanni Paolo II ha pronunciato nelle sue udienze del mercoledì dal 1979 al 1984. Sono un tesoro di profondità teologica su ciò che significa essere maschio e femmina in relazione l’uno all’altra e con Dio. Ecco 10 citazioni stupende per farvi partire nel percorso:

1. Gli uomini e le donne sono creati a immagine di Dio


L’uomo, che Dio ha creato “maschio e femmina”, reca l’immagine divina impressa nel corpo “da principio”; uomo e donna costituiscono quasi due diversi modi dell’umano “esser corpo” nell’unità di quell’immagine (2 gennaio 1980)

2. L’uomo e la donna sono stati fatti l’uno per l’altra

Da “solo” l’uomo non realizza totalmente questa essenza [di essere una persona]. La realizza soltanto esistendo “con qualcuno” – e ancor più profondamente e più completamente: esistendo “per qualcuno”… Comunione delle persone significa esistere in un reciproco “per”, in una relazione di reciproco dono (9 gennaio 1980)

3. Il nostro corpo ci permette di diventare un dono per gli altri nell’amore

Il corpo umano… racchiude fin “dal principio”… la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere ed esistere (16 gennaio 1980)

4. Il corpo rivela il mistero dell’amore di Dio per gli esseri umani


Il corpo, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio [l’amore di Dio per l’uomo], e così esserne segno (20 febbraio 1980)

5. Il matrimonio è la più antica rivelazione del progetto di Dio

Il matrimonio [è] la più antica rivelazione (e “manifestazione”) di quel piano [di Dio] nel mondo creato, con la rivelazione e “manifestazione” definitiva, la rivelazione cioè che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25), conferendo al suo amore redentore indole e senso sponsale (8 settembre 1982)

6. Il matrimonio è l’unione in un’unica carne

Il matrimonio… [è] sacramento in cui l’uomo e la donna, chiamati a diventare “una sola carne”, partecipano all’amore creatore di Dio stesso. E vi partecipano, sia per il fatto che, creati ad immagine di Dio, sono stati chiamati in virtù di questa immagine ad una particolare unione (“communio personarum”), sia perché questa stessa unione è stata fin dal principio benedetta con la benedizione della fecondità (15 dicembre 1982)

7. I mariti sono chiamati ad amare le proprie mogli come ama Cristo, e le mogli a sottomettersi perché amano Cristo


Il marito è soprattutto colui che ama e la moglie invece colei che è amata. Si potrebbe perfino arrischiare l’idea che la “sottomissione” della moglie al marito, intesa nel contesto dell’intero brano (Ef 5, 22-23) della lettera agli Efesini, significhi soprattutto il “provare l’amore”. Tanto più che questa “sottomissione” si riferisce all’immagine della sottomissione della Chiesa a Cristo, che certamente consiste nel provare il suo amore (1° settembre 1982)

8. La vocazione al matrimonio richiede una comprensione della Teologia del Corpo

Coloro che cercano il compimento della propria vocazione umana e cristiana nel matrimonio, prima di tutto sono chiamati a fare di questa “teologia del corpo”, di cui troviamo il “principio” nei primi capitoli del Libro della Genesi, il contenuto della loro vita e del loro comportamento. Infatti, quanto è indispensabile, sulla strada di questa vocazione, la coscienza approfondita del significato del corpo, nella sua mascolinità e femminilità! Quanto è necessaria una precisa coscienza del significato sponsale del corpo, del suo significato generatore! (2 aprile 1980)

9. La sessualità umana è un dono di sé nel matrimonio ed è procreativa

Poiché ad un tempo “l’atto coniugale unisce profondamente gli sposi . . . e li rende atti alla generazione di nuove vite”, e l’una cosa e l’altra avvengono “per la sua intima struttura”, ne consegue che la persona umana (con la necessità propria della ragione, la necessità logica) “deve” leggere contemporaneamente i “due significati dell’atto coniugale” e anche la “connessione inscindibile tra i due significati dell’atto coniugale”. Di null’altro qui si tratta che di leggere nella verità il “linguaggio del corpo” (11 luglio 1984)

10. Cristo è il modello per il matrimonio cristiano

Cristo, manifesta l’amore di cui l’ha amata [la Chiesa] dando se stesso per lei. Quell’amore è immagine e soprattutto modello dell’amore che il marito deve manifestare alla moglie nel matrimonio, quando ambedue sono sottomessi l’un l’altro “nel timore di Cristo” (25 agosto 1982)
Aleteia

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Le profezie di Fatima e la nascita del Pontificio Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia


di Francesco Agnoli
Ricorre oggi il ricordo di Giovanni Paolo II, il papa polacco, il papa che proveniva dall’est ateo e comunista.
Le sue catechesi sul matrimonio, la sua teologia del corpo, le encicliche Familiaris Consortio ed Evangelium vitaefanno del papa polacco un grande apostolo della famiglia, il “luogo” intorno a cui, secondo le rivelazioni di suor Lucia di Fatima al cardinal Caffarra,
si svolge la grande e decisiva battaglia tra la Madonna e il demonio.
Alla luce di queste considerazioni è interessante notare, come fa il cardinal Robert Sarah in Africa. La nuova patria di Cristo (Cantagalli, un libro da non perdere), che il 13 maggio 1981, anniversario delle apparizioni di Fatima, giorno in cui Giovanni Paolo II fu colpito da un proiettile in piazza san Pietro, fu anche “il giorno dell’annuncio della creazione del Pontificio Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia e del nuovo Pontificio Consiglio per la Famiglia”.
Speriamo che il fatto che autorevoli membri del Pontificio istituto, insieme al presidente emerito del Pontificio Consiglio, cardinal Ennio Antonelli (autore di un libro molto chiaro riguardo alle tesi dei protestatari tedeschi, Crisi del matrimonio & Eucaristia, Ares) , non siano stati invitati al Sinodo, non sia un brutto segno, per la Chiesa.
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Mons. Melina in un incontro pubblico con cardinali e vescovi americani o di lingua inglese

Da Matteo Carletti
Il Sinodo è ormai in dirittura d’arrivo e non mancano incertezze, polemiche e scontri su questioni delicate come il rapporto con le coppie “irregolari” o la Comunione ai divorziati risposati. Il 12 ottobre scorso, a Sinodo ampiamente avviato, mons. Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, è intervenuto ad un incontro pubblico con cardinali e vescovi americani o di lingua inglese al Roof Garden della Residenza Paolo VI per una conversazione sul Sinodo.
Il sito Cultura Cattolica ha pubblicato il testo dell’intervento di mons. Melina, che vale la pena ricordare, è stato uno degli “esclusi” dal Sinodo. Aveva fatto molto discutere, infatti, la scelta del Vaticano di non includere alcun rappresentante dell’organismo voluto da Karol Wojtyla, proprio per studiare in maniera sempre più attenta le questioni del matrimonio e della famiglia, tra i partecipanti al Sinodo straordinario. Né il preside, mons. Livio Melina,
né i docenti (italiani e stranieri) che ai temi del Sinodo dedicano da anni energie, studi e pubblicazioni. Durante i lavori del Sinodo nell’ottobre 2014, proprio mons. Melina fu invitato in una tavola rotonda, il cui asse portante da cui era nato l’incontro, era stato il libro-intervista al card. Müller intitolato “La speranza della famiglia”. Già in quell’occasione ebbe a dire che “la Chiesa non inventa la sua dottrina ma ne è interprete e custode. A chi ci sollecita a rivedere i capisaldi della Fede per renderla adattabile ai nostri tempi, la Chiesa non può che rispondere: «Non possumus!». Non possiamo!”
Parole forti e chiare cui fanno eco quelle pronunciato pochi giorni fa alla Residenza Paolo VI. Nell’incontro voluto dal dott. George Weigel, mons. Melina ha espresso non solo preoccupazione per il modus operandi del Sinodo, ma anche per i contenuti dell’Instrumentum laboris che presenta “gravi insufficienze ed ambiguità su almeno tre punti concreti e temo, prosegue il presule, che se lasciato con queste insufficienze porterà alla rovina non solo della pastorale familiare, ma anche ad una gravissima crisi ecclesiale, molto peggiore e più radicale di quella suscitata dal rifiuto dell’enciclica Humanae vitae”. Quali sono questi tre insufficiente, che a dire di mons. Melina, minerebbero l’unita ecclesiale e dottrinale della Chiesa? Innanzitutto la definizione ambigua di “gradualità” presente al n. 57 dell’Instrumentum laboris, nella quale, se da un lato si elogia “il tono comprensivo verso i peccatori”, dall’altro si sott’intende l’idea che in fondo la convivenza sia una positiva tappa verso il matrimonio. Si rischia, così, di trarre “l’erronea conclusione di non voler condannare il peccato. […] La convivenza, ad esempio, non è una tappa verso il matrimonio, ma il contrario: essa indebolisce un futuro matrimonio, come mostrano gli studi sociali, perché è una coppia aggregativa, e non generativa; non solo è priva dei beni del matrimonio (come il vincolo pubblico, la fedeltà, l’apertura alla procreazione), ma rientra in una logica che li nega”. Se poi si estende il discorso alle unioni omosessuali, il richiamo della Chiesa deve esser ancora più forte e “non merita una lode per gli aspetti positivi che vi si riscontrano”.
Altro punto controverso è quello riguardante l’Eucarestia, secondo Melina, “ricondotta ad una logica di sociologia dell’accoglienza di tutti nella Chiesa”. Ma l’Eucarestia è “il tesoro della Chiesa: il sacramento del vero corpo e sangue di Cristo, segno dell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa, legato intrinsecamente al sacramento dell’alleanza nuziale tra uomo e donna”. Il pericolo grave però non è solo quello, per dirla con le parole di San Tommaso d’Aquino, di “falsità del segno sacramentale”, ma di far si, come in realtà si sta prospettando, che ogni singola comunità nazionale o locale possa decidere in autonomia, “quasi si trattasse di materia puramente disciplinare”. Il grave rischio, sottolinea Melina, è che si possano aprire “le porte al relativismo e, questo, distruggerebbe l’unità sacramentale della Chiesa Cattolica”. Sul tema del “decentramento” della figura del Papa (dopo le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia tenuta a Santa Marta lo scorso 17 ottobre) anche il prof. De Mattei ha voluto sottolineare il rischio che si possa creare “una diversità di dottrina e di prassi tra conferenze episcopali e tra diocesi e diocesi. Ciò che in una diocesi sarà proibito sarà ammesso in un’altra e viceversa. Il convivente more uxorio potrà accostarsi al sacramento dell’Eucarestia in una diocesi e non in un’altra. Ma il peccato è o non è, la legge morale è uguale per tutti o non è.
La terza questione, infine, riguarda il concetto di coscienza e di discernimento morale. Seguendo la Gaudium et spes, al n. 16, dove si ricorda che “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire […] una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato”, mons. Melina, mette in contrapposizione il n. 137 dell’Instrumentum, dove si introduce l’idea “di coscienza individualistica, contraria alla Tradizione della Chiesa. […] Se si accettasse la formulazione attuale del testo, prosegue, si cadrebbe in un soggettivismo, che nega tanto il magistero di Humanae vitae nel suo valore normativo specifico, quanto quello di Veritatis splendor sulle norme morali assolute come espressione e difesa di una verità sul bene. E quando un testo magisteriale nega un altro testo magisteriale precedente con ciò evidentemente mina l’autorità stessa della Chiesa come tale”.
Nella conclusione del suo intervento, mons. Melina, ha tenuto poi a fare chiarezza anche su un’altra questione assolutamente attuale, ovvero il rapporto fra Misericordia e Verità. La separazione di questi due termini può generare una falsa idea di Misericordia, un vero proprio inganno della coscienza. La misericordia, in effetti, “da sola non offre criteri per agire: essa spinge ad agire per il bene dell’altro, ma non può indicare il contenuto dell’azione. Sono le virtù morali e le norme che offrono questi contenuti e questi criteri”. Il rischio maggiore è di guardare la realtà attraverso le spesse lenti del sentimentalismo, la cui deriva antirealista impedisce di cogliere i problemi nella loro vera essenza. “Una pastorale staccata dalla verità e dalla dottrina si trasforma in una strategia per guadagnarsi il consenso, cioè in una strategia per il potere. La Chiesa non dovrebbe arrossire di proporre il Vangelo nella sua integralità perché esso è forza di salvezza per l’uomo”.
La speranza di mons. Melina è che si riparta “dalla famiglia come da un Vangelo e non come da un problema. E quindi partire dalla luce della fede e non dalla sociologia”. L’unica ricetta possibile è proseguire e crescere sotto la guida del Magistero della Chiesa che su questi temi ha espresso, soprattutto negli ultimi decenni, con chiarezza e fermezza la sua verità. Non ci si deve, d’altra parte, trincerare dietro facili moralismi o giuridicismi. Non è quello di cui la Chiesa ha bisogno. “Dobbiamo proclamare la famiglia come la via della Chiesa”, ritrovando “il coraggio di un annuncio positivo e integrale della verità”.