mercoledì 21 ottobre 2015

Coscienza e misericordia Così le vedeva Giovanni Paolo II




Molti dei temi caldi toccati nel Sinodo ed oggetto di dibattito dai media erano stati affrontati e chiariti in modo magistrale da san Giovanni Paolo II, di cui domani 22 ottobre si fa memoria liturgica. Spigoliamo allora tra i suoi scritti per rintracciare alcune riflessioni del Papa santo su argomenti oggi messi in discussione come il ruolo della coscienza, il rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia e il tema della legge della gradualità, riflessioni la cui validità rimane immutata. Essi peraltro dimostrano che certe deviazioni sono tutt'altro che nuove.
La coscienza.
«Alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un'ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. […] Mentre però la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene morale, la coscienza è l'applicazione della legge al caso particolare, la quale diventa così per l'uomo un interiore dettame, una chiamata a compiere nella concretezza della situazione il bene. La coscienza formula così l'obbligo morale alla luce dalla legge naturale: è l'obbligo di fare ciò che l'uomo, mediante l'atto della sua coscienza, conosce come un bene che gli è assegnato qui e ora. Il carattere universale della legge e dell'obbligazione non è cancellato, ma piuttosto riconosciuto, quando la ragione ne determina le applicazioni nell'attualità concreta. Il giudizio della coscienza afferma «ultimamente» la conformità di un certo comportamento concreto rispetto alla legge; esso formula la norma prossima della moralità di un atto volontario, realizzando «l'applicazione della legge oggettiva a un caso particolare». […] Nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare».
(Veritatis splendor, nn. 56, 59, 62).

«Persa l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza».
(Fides et ratio, n. 98)
Rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia.
«Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo».
(Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale, 10 aprile 1986, n. 2).
«La dottrina della Chiesa e in particolare la sua fermezza nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente cattivi è giudicata non poche volte come il segno di un'intransigenza intollerabile, soprattutto nelle situazioni enormemente complesse e conflittuali della vita morale dell'uomo e della società d'oggi: un'intransigenza che contrasterebbe col senso materno della Chiesa. Questa, si dice, manca di comprensione e di compassione. Ma, in realtà, la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona. […] In realtà, la vera comprensione e la genuina compassione devono significare amore alla persona, al suo vero bene, alla sua libertà autentica. E questo non avviene, certo, nascondendo o indebolendo la verità morale, bensì proponendola nel suo intimo significato di irradiazione della Sapienza eterna di Dio, giunta a noi in Cristo, e di servizio all'uomo, alla crescita della sua libertà e al perseguimento della sua felicità. Nello stesso tempo la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l'uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose. La Chiesa che non può mai rinunciare al «principio della verità e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene», deve essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (cf Is 42,3). […] La fermezza della Chiesa, nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell'uomo: dal momento che non c'è libertà al di fuori o contro la verità, la difesa categorica, ossia senza cedimenti e compromessi, delle esigenze assolutamente irrinunciabili della dignità personale dell'uomo, deve dirsi via e condizione per l'esistere stesso della libertà. […] La dottrina morale cristiana deve costituire, oggi soprattutto, uno degli ambiti privilegiati della nostra vigilanza pastorale, dell'esercizio del nostro munus regale. È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche».
(Veritatis splendor, nn. 95-96, 114-115)
«Lo stesso Concilio ha invitato i teologi, "nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo"»
(Ibidem, n. 29 in cui si cita Gaudium et spes, n. 62)
Legge della gradualità contro gradualità della legge.
«È richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l'interiore distacco da ogni male e l'adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell'intera vita personale e sociale dell'uomo. È perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita»
(Familiaris consortio, n. 9).

«La cosiddetta ‘legge della gradualità’, o cammino graduale, non può identificarsi con la ‘gradualità della legge’, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse»
(Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 25 Ottobre 1980, n. 8).

«Rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma».
(Familiaris consortio, n. 34).

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Voci dal Sinodo: «Schiacciante maggioranza contro la comunione ai divorziati risposati»
di Lorenzo Bertocchi

Le relatio dei circoli minori sulla terza parte dell’Instrumentum laboris dovevano essere presentate ieri, invece, lo saranno oggi. I lavori si sono protratti oltre il previsto, ma una cosa la possiamo affermare: dopo gli oltre 700 modi, cioè emendamenti e precisazioni, piovuti sulle prime due parti dell’Instrumentum, ce ne sono tantissimi anche sulla discussa terza parte, quella che contiene gli elementi più dibattuti dentro e fuori l’Aula del Sinodo.
Ieri, dopo il consueto briefing con la stampa, il giornalista francese Sebastien Maillard (lavora alquotidiano cattolico La Croix) ha twittato 85 caratteri di fuoco. «Schiacciante maggioranza contro la comunione ai divorziati risposati, secondo un osservatore nell’aula del Sinodo», così ha buttato il sasso nel mare social. Visto il numero ingente di modi presentati dai circoli anche sulla terza parte dell’Instrumentum laboris, è probabile che ci sia davvero una maggioranza dei padri che esclude il cambiamento dell’attuale prassi per l’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati. Questo, ovviamente, sarà tutto da verificare. Una certa garanzia che i vari modi presentati verranno ben tenuti in considerazione in sede di stesura del documento finale è data dal fatto che gli stessi relatori dei vari circoli, tra cui anche monsignor Chaput, monsignor Kurtz, i cardinali Coleridge e Piacenza, hanno lavorato fino a tardi per lo “scrutinio” di tutti i modi presentati. 
Un'altra voce piuttosto insistente riguarda la possibile soluzione dei nodi del Sinodo con una sorta di “devolution” verso le Chiese locali. Appare significativo quanto ricordato ieri in sala stampa dal cardinale Wilfried Napier, uno dei quattro presidenti delegati. «Il Sinodo darà grande impulso alle Chiese locali per garantire buoni matrimoni attraverso una buona preparazione, ma anche un chiaro insegnamento». Questa, senza lanciarci in improbabili pronostici, potrebbe essere la via definitiva che imboccherà il Sinodo. E cioè, per dirla con uno slogan, «devoluzione pastorale, ma non dottrinale», una via che non manca di sollevare forti perplessità anche in molti padri sinodali, una via che sarà tutta da decifrare. Soprattutto rispetto alle questioni più complesse e delicate per la fede. 
Significativo a questo proposito è quanto ha dichiarato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. «La Dottrina», ha detto a Radio Vaticana, «riguarda l’indissolubilità del matrimonio, ma la parte pastorale è quella che vive e si relativizza anche alle situazioni, naturalmente con un principio, come diceva anche Papa Benedetto XVI quando parlava del Concilio: “C’è una continuità, non c’è una contraddittorietà all’interno della Dottrina». A questo dobbiamo aggiungere che ancora ieri pomeriggio dentro l’Aula non si aveva totale certezza di come sarà votato il documento finale sabato prossimo. É di qualche giorno fa la voce che il Papa potrebbe anche istituire una commissione per approfondire ancora sui temi più controversi, per arrivare poi alla sua decisione finale durante l’Anno giubilare che è ormai alle porte. Su questo, ci dicono dall’Aula, «le dicerie vanno e vengono». Comunque, il segretario generale, cardinale Lorenzo Baldisseri, ha recentemente dichiarato che si andranno a votare i singoli paragrafi, così come fu nel 2014.
Un'altra questione di cui si discute molto riguarda l’interpretazione mediatica del Sinodo. La voce più forte l’hanno sollevata coloro che ritenevano i cardinali “conservatori”, e ambienti a loro legati, come i veri responsabili di indebite pressioni mediatiche. L’apice si è toccato con la vicenda della lettera dei 13 cardinali, una lettera che, invece, sembra aver dato i suoi effetti positivi. Almeno a sentire il cardinale Napier, uno dei firmatari della lettera, che innanzitutto ribadisce che non c’è stato nessun tentativo di condizionare il Sinodo, ma i firmatari hanno agito «nello spirito che ha chiesto il Papa», vale a dire quello di «parlare con sincerità e ascoltare con umiltà». 
Questo, ha detto ancora Napier, ha determinato la risposta del Papa in aula che ha sgomberato il campo da ogni ambiguità, soprattutto ha marcato la differenza rispetto al Sinodo del 2014. «Io», ha detto il cardinale sudafricano, nel 2014 «ero anche nella commissione per la redazione del documento finale e sembrava che si spingesse in una certa direzione, sembrava esserci una ideologia o agenda particolare». Quindi, a sentire Napier, sembra proprio che le preoccupazioni della lettera dei 13 cardinali fossero più che legittime, e hanno sortito il loro effetto rendendo i lavori più trasparenti e collegiali.