mercoledì 21 ottobre 2015

Ma che “diritti” abbiamo noi nei confronti della Grazia?



Il prefetto Müller recensisce Marcello Pera


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 di Gerhard Ludwig Müller
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Pubblichiamo l’intervento pronunciato dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, lo scorso 30 settembre a Palazzo Doria Pamphilj, Roma, all’incontro di presentazione del nuovo libro dell’ex presidente del Senato Marcello Pera, Diritti umani e cristianesimo. Nello stesso incontro, organizzato dalla Fondazione internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero sociale della Chiesa e dalla Fondazione Alcide De Gasperi, oltre al cardinal Müller hanno preso la parola il cardinale Camillo Ruini, già presidente della Cei, e Giuliano Ferrara.
Marcello Pera è non soltanto uno dei pensatori più importanti di lingua italiana, ma anche un intellettuale di fama mondiale. Lui stesso si considera un liberale, ma sempre nella consapevolezza che l’uomo è radicato in una realtà che va oltre il dato empirico. Vorrei ricordare il libro che ha scritto con Joseph Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam (2004), come anche il volume Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, con una prefazione di Benedetto XVI (2008).
La tesi di questo nuovo libro è sorprendente e inquietante allo stesso tempo. L’Autore si chiede se il cristianesimo non stia pagando «un prezzo troppo alto» alla presunta conciliazione che la filosofia illuminista avrebbe realizzato tra cristianità ed epoca moderna, tra ragione e diritti umani. Egli si domanda se il cristianesimo, da visione dell’uomo e del mondo centrata su Dio, in tal modo, non finisca per subordinarsi a una concezione globale immanente della realtà, priva di Dio o, per lo meno, priva di trascendenza. In questa luce, la Chiesa potrebbe tutt’al più ritenersi un’istituzione umanitaria-sociale fatta dagli uomini per gli uomini; un’istituzione, che riserva varie offerte spirituali a coloro che, nonostante la razionalità strumentale che determina la loro quotidianità, non vogliono rinunciare a una certa dose di fruscio cosmico di sottofondo e di consolazione per l’anima.
Devo ammettere che l’analisi perspicace delle aporie inerenti alla questione dei diritti umani, se inizialmente mi ha lasciato perplesso, alla fine mi ha convinto.
Ognuno di noi è condizionato dai tratti distintivi dei concetti che risalgono al periodo del nostro “risveglio”, ovvero della nostra maturazione intellettuale. Quando frequentavo il liceo, studiai la Costituzione della Repubblica Federale della Germania, promulgata il 23 maggio 1949. Essendo condizionata dalla storia, non la si può separare dallo sfondo degli orribili crimini che lo Stato nazionalsocialista ha commesso contro l’umanità. Il popolo tedesco si è dato questa Costituzione nella consapevolezza della sua responsabilità davanti a Dio e agli uomini. Lo Stato democratico di diritto riconosce e garantisce tutti i diritti dell’uomo alla vita e alla sicurezza della sua persona, nonché le esigenze basilari della sua vita intellettuale, materiale e sociale; ma soltanto con la legge e con la prassi questi diritti vengono concessi e attribuiti.
Democrazia e dittatura della virtù
Tutti i diritti costituzionali degli uomini di questo mondo sono radicati nell’intangibile dignità dell’uomo. Essi spettano a ogni uomo, indipendentemente dal fatto se è cittadino di questo paese oppure no. In tal senso, i diritti dei cittadini tedeschi sono legati ai diritti umani, ma scaturiscono da un’altra fonte. Mentre nelle discipline scolastiche della storia e della sociologia si trattava il diritto costituzionale tedesco, durante le lezioni di religione l’illustrazione del Decalogo individuava la motivazione più profonda della dignità umana nella volontà divina, perché i comandamenti divini sono iscritti nel cuore e nella coscienza di ogni uomo, anche di coloro che non li conoscono attraverso la Rivelazione storica fatta al popolo d’Israele. Perciò, contro la violazione della nostra dignità umana non è sufficiente appellarsi solo alla Dichiarazione universale dei diritti umani (1789; 1948), oppure al riconoscimento di questi ultimi negli Stati di diritto, ma direttamente a Dio, creatore del mondo e dell’uomo. Viceversa, nessuno può appellarsi a Dio per giustificare la violazione dei diritti umani. Recentemente, su Facebook, un combattente dell’Isis si è vantato di pregare Dio prima e dopo lo stupro di una vittima non-islamica: qui violazione dei diritti umani e blasfemia sono in realtà soltanto i due lati di una stessa “medaglia”.
Ma laddove i diritti umani vengono formulati e prodotti senza considerare il rapporto dell’uomo con la trascendenza, vale a dire con ciò che è indisponibile, essi diventano banali e si moltiplicano sempre di più. Il problema sta nel fatto che il mondo è relativo e ha bisogno del rapporto con qualcosa di assoluto. Se il rapporto dell’uomo con la trascendenza viene negato, il posto di quest’ultima potrà essere occupato soltanto da qualcosa che fa parte del mondo, ad esempio l’imposizione di una nuova legge positiva, efficace soltanto tramite sanzioni esterne: la decisione a maggioranza del parlamento; il potere amministrativo del governo; oppure la casuale decisione stabilita dalla maggioranza di un corpo di giudici. Allora il dominio di uomini su altri uomini si compirà attraverso un’ideologia dominante e con l’aiuto dello strumentario politico-mediatico.
Forse mai i diritti umani sono stati così spesso violati come è accaduto dopo la loro Dichiarazione in Francia nel 1789. Essi intendevano contrapporsi all’assolutismo monarchico, ma non sono stati in grado di porre fine al terrore giacobino. In seguito, la dittatura della virtù ha introdotto il totalitarismo dell’atteggiamento interiore che ha sinora accompagnato il mondo, sfociando nei programmi del mainstreaming che imperversano ancora ai nostri giorni.
Guastafeste o Amore in persona?
Per la cosiddetta epoca moderna si pone la seguente domanda: la libertà morale e la libertà civile ci sono senza Dio, oppure tramite Dio? Se l’uomo fosse soltanto un prodotto della materia in balìa di se stessa, allora dovremmo cercare la meta della nostra vita all’interno del mondo: nei beni materiali oppure, in modo più raffinato, nella letteratura, nell’arte, nel teatro, eccetera. In questo caso, Dio esisterebbe soltanto come finzione o a legittimazione di pretese di dominio, riducendosi a essere un “guastafeste” e anzi il nemico della nostra libertà. Se Dio invece è la meta che, pur essendo oltre la breve durata dell’esistenza terrena, coinvolge anche questa vita, muovendo a sé l’intelligenza e la volontà, allora Egli è anche capace di attirare a sé, come Amore in persona, tutta la nostra libertà.
Perciò, dal punto di vista teologico, non si dovrebbero minimizzare le critiche che i Papi del Settecento e dell’Ottocento hanno rivolto alle Dichiarazioni dei diritti umani di provenienza illuminista, riducendole, in modo un po’ forzato, ad un semplice “ritardo” del treno diretto all’epoca moderna. Un ritardo che – così si sostiene – sarebbe stato poi recuperato con l’enciclica Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII, nonché con la Costituzione pastorale Gaudium et spes (1965) del Concilio Vaticano II. In realtà, ciò che rimane è il diritto, anzi il dovere, del Magistero di metterci in guardia contro una ridotta visione secolarizzata della ragione e dei diritti umani, e di ricordarci la necessità di un loro radicamento nella trascendenza.
Nel suo saggio storico-sistematico La Iglesia y la libertad religiosa (2007), il teologo spagnolo Gerardo del Pozo Abejón dimostra che l’interpretazione delle dichiarazioni magisteriali deve sempre tener conto anche dei diversi destinatari e degli argomenti in esse trattati. La dottrina è in evidente sviluppo, e non può essere diversamente perché la Rivelazione è Parola divina che si esprime nelle parole umane. Ma si tratta di uno sviluppo interiormente coerente e fedele all’immagine dell’uomo, che è sempre teocentrico, in vista della Rivelazione soprannaturale e della chiamata in causa, da parte di Dio, di ogni coscienza nell’ambito della legge morale naturale.
È perciò un atto di grande miopia quando i diritti umani vengono intesi come pretesa per soddisfare i propri desideri personali a tutti costi e quando vengono usati contro la Chiesa stessa. La Chiesa insegna che indulgere in atti contro il Decalogo è peccato perché non esiste alcun diritto che ci autorizzi ad agire contro il bonum individuale et commune, come ci dicono la coscienza ben formata e la Rivelazione.
Tutti i rischi di un esperimento
E il culmine della contraddizione emerge dalla nebbia della logica proprio nel momento in cui certi “diritti”, riguardanti la vita ecclesiale, vengono rivendicati da parte di alcuni credenti anche nei confronti di Dio. Chiunque ritiene di potersi appellare a un diritto nei confronti di Dio, a cui dobbiamo la nostra esistenza, la nostra vita e la pienezza della grazia, pensando di metterlo così nel torto, dovrebbe riflettere sulla seguente domanda: «O uomo, chi sei tu per disputare con Dio?» (Rm 9,20). Non abbiamo alcun diritto nei confronti della grazia, e anzi la grazia divina costituisce la base per una autonomia interiore ed esterna dell’uomo verso lo Stato e la società, per quanto riguarda la sua vita spirituale, materiale e sociale.
L’uomo come persona, nella famiglia, nella sua pratica del culto divino, nel lavoro e nel suo tempo libero, viene prima dello Stato, ed è al di sopra di esso. L’uomo, nelle forme culturali e sociali di vita inerenti alla sua natura, ha diritto ad una legittima autonomia, ed è inaccettabile che tali forme di vita vengano condizionate, o addirittura abolite, dallo Stato e da singoli gruppi. In tal senso, è presunzione credere di poter definire che cosa sia il vincolo del matrimonio, senza attingere alla ragione umana o alla Rivelazione divina.
La società pluralistica è un esperimento recente e l’esperienza non ha ancora provato se essa può riuscire oppure no. Una concezione decretata dal mondo, come ad esempio il laicismo, che sta originando l’annullamento della libertà religiosa, comporta gli stessi rischi di una religione di Stato imposta dall’alto – con la sola differenza che nelle classiche religioni di Stato i regnanti dovevano loro stessi rendere conto a Dio sulla base del Decalogo e della legge morale naturale, mentre la visione laicista del mondo non trascende l’orizzonte spirituale dei suoi rappresentanti. La tendenza – oggi ampiamente diffusa – di moltiplicare sempre di più i diritti umani, e di usarli contro la stessa Chiesa, ci deve spingere a riaprire il discorso sul loro fondamento. Ciò riguarda innanzitutto la filosofia, che potrebbe, ad esempio, approfondire il legame costitutivo tra i diritti, i doveri, la giustizia e la dignità della persona umana. Ma anche la teologia è chiamata ad occuparsi nuovamente della questione, considerando il fatto che il concetto di dignità della persona umana, fondamento dei diritti dell’uomo, oggi non è più così evidente come nel 1948 e necessita di una sua ultima fondazione nel Creatore.
Il paradiso sulla terra? Un inferno
Ma occorre anche considerare che i diritti umani – siano essi motivati con deboli ragioni immanentistiche oppure fortemente teocentriche – non possono definire la meta della vita morale-spirituale dell’uomo. Essi servono tuttavia come mezzo di resistenza all’arbitrio dei potenti negli assolutismi e totalitarismi politici, monetari e mediatici. Se la libertà è la chiave dell’epoca moderna, la fede nel Dio dell’infinita verità e dell’infinito amore è allora la porta che apre all’inizio della vita e del futuro senza fine.
La costruzione di un mondo più giusto e uno sviluppo tecnico-sociale più umano possono e devono essere portati avanti, grazie alla collaborazione tra uomini che credono in Dio e uomini di buona volontà, senza assolutizzare nessuna delle loro realizzazioni. Qui vige infatti una riserva escatologica, poiché i cosiddetti paradisi costruiti dagli uomini sulla terra si sono spesso trasformati in realtà infernali. Mentre il bene che cerchiamo e che operiamo può trasformarsi in qualcosa di definitivo e duraturo soltanto per mezzo della grazia che Dio dona.
In conclusione, mi congratulo sinceramente con Marcello Pera per questo volume, che dimostra una grande competenza in materia, una acuta valutazione dei segni dei tempi e una profonda preoccupazione per il futuro del mondo e della Chiesa. La lettura di queste dense pagine dovrebbe spingere tutti gli uomini di buona volontà a riflettere seriamente sul significato e sul fondamento dei diritti umani.

Tempi