sabato 24 marzo 2018

Domenica delle Palme 2018. Ambientale, commento al Vangelo e Lectio Divina




"Ricordi quell'asinello condotto al Signore? Nessuno arrossisca: siamo noi quell'asinello. Il Signore ci cavalchi e ci attiri dove vuole lui: siamo il suo giumento, andiamo verso Gerusalemme! Cavalcandoci lui, non veniamo oppressi ma elevati. Guidandoci lui non devieremo". 
Agostino, Discorso 189,4

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Monizione ambientale

Il Vangelo di questa domenica (Mc 14,1-15,47) ci propone la Passione del Signore raccontata dall’evangelista Marco. Questa domenica unisce la gioia e il dolore, l’acclamazione e l’umiliazione. La gente grida “osanna” a Gesù che entra in Gerusalemme su un puledro d’asina. Riconosce in quest’uomo la presenza di Dio. Ma poi griderà “Crocifiggilo!”, perché è stata delusa, non era il Messia che aspettava. Noi dobbiamo fare un salto dalla nostra visione di Dio a ciò che Dio è. Dio è diverso da quello che ci aspettiamo. L’ultima cosa che possiamo pensare è che il Dio che ci salva non è un vincente. Quando Dio viene, viene come non ce l’aspettiamo. Abbiamo bisogno di lasciarci dire come Dio ci salverà. Spesso avviene attraverso vicende che scartiamo. E’ la via della croce che porta al Paradiso. Dobbiamo chiedere che Dio venga ad illuminare quello che noi non abbiamo capito e accettato nella nostra vita. La via cristiana fa i conti con la nostra povertà e si lascia visitare da Colui che ha preso su di sé il nostro dolore e lo ha fatto diventare il luogo dove si prepara la risurrezione.

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Commento al Vangelo della Domenica delle Palme 2018



Domenica delle palme, Domenica della Passione di Gesù. Ma anche, e mai come oggi nella storia, Domenica del martirio. Pensi, infatti, alle palme e ti viene immediatamente in mente il brano dell’Apocalisse che ne parla: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce:«La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello».
Facciamo per un momento un flash back. Che cosa successe quel giorno a Gerusalemme? Mentre il Signore, cavalcando un umile asinello, vi faceva ingresso, “la gran folla venuta che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele” (Gv 12, 12-13).
Una folla festante che riconosceva apertamente in quel profeta di Nazaret “colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele”, ovvero il Messia. Ebbene, proprio l’ingresso di Gesù a Gerusalemme è come un’ammonizione dettagliata a ciò che sarebbe accaduto dopo. Il Messia si sarebbe rivelato al Popolo, ma in un modo sorprendente, al punto di non essere più accettato come tale, e rifiutato, e condannato alla morte più umiliante, quella riservata ai delinquenti più efferati.
Che cosa era successo? Come è stato possibile che, dall’acclamazione, si fosse passati alla crocifissione? Per la delusione. Quel profeta galileo, che tanti segni e prodigi aveva compiuto, non era quello che si aspettavano. Proviamo a immaginare l’attesa messianica di quel tempo. Non è difficile, è la stessa di oggi. La pressione fiscale, le violenze, la degradazione morale, la dittatura culturale che soffoca ogni vagito di libertà intellettuale e religiosa. Sì, sì, anche in Italia, eccome. E poi il terrorismo, e la follia che si impadronisce di un aereo, e perché domani non dovrebbe toccare a me, magari sulla metropolitana, o a mio figlio in gita scolastica.
Come quel giorno di duemila anni fa anche noi siamo ostaggio della paura, e un senso di sfinimento che sembra proprio di non farcela più. E parliamo delle cose più elementari, della spesa e della scuola dei figli, del lavoro e perfino delle chiacchierate con gli amici; neanche Porta a Porta possiamo guardare in pace, che pure lì la solita smitragliata del pensiero unico su gender e uteri in affitto. Lo diceva Papa Francesco: “La Chiesa come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Vi chiedo di pregare per le famiglie sfinite e stanche”. 
Risuonano qui le parole di Gesù che, commuovendosi nel vedere le folle, diceva “pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”; vedeva, infatti, le folle vagare “stanche e oppresse come pecore senza pastore”; e dentro quelle folle c’è sicuramente qualcuno che ami e che conosci, forse tua madre, tua figlia, tuo fratello e tua cugina, il tuo collega e il 90 per cento dei compagni di scuola di tuo figlio che soffrono sotto le macerie della loro famiglia disgregata.
Probabilmente ci sei anche tu, “stanco e sfinito”, per un peccato che ti porti dentro, per una malattia che non accetti, perché t hanno licenziato ingiustamente, o ti è appena arrivata l’ingiunzione di sfratto. Non ce la fai più , vero?, e aspetti il Messia che ponga fine a questa situazione. Ma col tempo, con le delusioni perché qui sembra non cambiare nulla, l’attesa si è trasformata vestendo i panni della sfiducia e del cinismo, perché a forza di pregare e aspettare ci facciamo vecchi davanti alla finestra… E così, a poco a poco, ti ritrovi ad aspettare non il Servo che ti lava i piedi e prende su di sé i tuoi peccati, ma il giustiziere capace di ribaltare le tue sorti ostaggio dell’ingiustizia.
La cosa è subdola, attenzione… C’è un mondo che accerchia la Chiesa e i cristiani, non si tratta solo della crisi economica. Ci sono i fondamentalisti dell’Isis, e poi i cattivi maestri del pensiero che hanno già cominciato ad indottrinare i tuoi figli. E sono gli odori acidi della guerra che si avvicina, anzi, che ha già buttato giù le porte: i tagliagole sono a poche centinaia di chilometri, che dico, forse sono qua sotto, e mi vendono ogni giorno frutta e verdura. I lavacervelli pure, hanno conquistato già la scuola di mio nipote, e vive solo un paese più in là… 
E con questi sentimenti, con la stanchezza di chi non ha più un pastore da seguire, ti stai preparando per accorrere anche tu a Gerusalemme, alle liturgie della settimana santa in parrocchia.  Agiterai le palme in processione, reciterai il Credo perché credi che sì, è Gesù il tuo Re, e canterai Osanna a Colui che viene nel Nome del Signore. Che viene a farti giustizia.
Ti commuoverai ascoltando il racconto della Passione, riuscirai anche a capire che per qualche tuo peccato ha dovuto patire così, ma per quello grosso di qualche anno fa eh, quando ti sei preso una sbandata per quella collega. Ma ora no, la Passione è per quei tagliagole e lavacervelli lì fuori, o per i politici corrotti, o per tua suocera…
Adesso forse è più facile comprendere come a Gerusalemme fosse stato possibile quel cambio così repentino nei confronti di Gesù. Non inganniamoci, il cuore non era cambiato, per nulla. Magari si fosse convertito… Ma la folla aspettava un Re vero, a capo di un forte esercito ben armato, che spazzasse via i Romani e ristabilisse il Regno di Israele; e quando si è accorta che quel profeta che faceva miracoli e risuscitava i morti non era entrato a Gerusalemme per iniziare nessuna guerra; quando hanno guardato bene l’asinello che cavalcava, beh, addio profezie sul Messia umile, non era di quello che avevano bisogno.
Se poi entra nel Tempio e comincia a rovesciare tutto, beh allora significava che se l’era venuta a cercare. Era un impostore, altro che. Un falso profeta che, con dodici poveracci al seguito, si dichiarava addirittura Figlio di Dio, e non muoveva un dito per difendere Dio e riscattare i suoi eletti. Un bluff in piena regola, che è esattamente quello che anche noi pensiamo di Gesù. No, no di quel Gesù che ci siamo costruiti con la fantasia e che da decenni acclamiamo in questi giorni santi. Di quello pensiamo bene, solo che non esiste.
Mentre è vivo, perché è risorto, il Gesù crocifisso, che è salito a Gerusalemme proprio per farsi trafiggere e portare in Cielo le piaghe del peccato e trasfigurarle nella luce della misericordia. E’ vivo il Gesù che, sino a un istante fa, abbiamo condotto al macello, Lui, l’Agnello muto di fronte ai suoi tosatori.
E’ vivo Gesù che, come Pilato, hai condannato infischiandotene della Verità, perché tu avevi già capito tutto, come si deve fare in casa, al lavoro, nel condominio. E’ vivo Gesù che hai schernito beffardamente come Erode, illuso che il tuo io fosse dio e bastasse adorarlo per sentirsi come un re.
E’ vivo Gesù che hai coperto di sputi e insulti mentre giudicavi tuo marito. E’ vivo Gesù che hai flagellato con le calunnie ai danni del collega, o le chiacchiere pettegole che ti sfuggivano così, semplicemente, davanti a un cornetto e cappuccino, o al telefono con la tua amica. Una constatazione dei fatti, niente più, vero? Ognuna come un colpo di flagello sul corpo di Gesù che custodiva la dignità del fratello scorticato dalle tue chiacchiere insulse.
E’ vivo Gesù che hai coronato con le spine delle tue ipocrisie; pregavi e mentivi; ti battevi il petto e fornicavi nel cuore; predicavi, e desideravi di saziare la carne; educavi cristianamente, ed erano moralismi come spine che conficcavi nella vita dei tuoi figli; facevi elemosina, ma era il superfluo del superfluo, e nel cuore sbavavi per quel televisore al plasma.
E’ vivo Gesù che hai schiacciato sotto il peso delle tue mormorazioni. E’ vivo Gesù che hai crocifisso con i tuoi peccati, uno dopo l’altro, un milione, un miliardo, frecce da scoccare per amare tristemente ciccate e cadute ai piedi della tua superbia. E’ vivo Gesù che ha bevuto l’aceto della tua stolta idolatria, sembrava successo, era solo amaro fallimento. E’ vivo Gesù che disteso le sue braccia per abbracciarti nella misericordia che non conosce condizioni.
E’ vivo Gesù che hai avvolto nella tua incredulità, e sepolto negli inferi della tua disperazione. E’ vivo Gesù che hai chiuso nel buio della meschinità dietro la pietra della tua superficialità. E’ vivo Gesù che non ha resistito al tuo male, al male di tutti, dei tagliagole e dei lavacervelli, di tua suocera e dell’assessore che ha rubato i soldi destinati alle tue cure.
E’ vivo Gesù che ha assunto l’ingiustizia per fare giustizia di ogni peccato, grembo avvelenato del male che ferisce il mondo. E’ vivo Gesù che ha amato senza condizioni, rovesciando ogni criterio, ogni giudizio. E’ vivo Gesù che regna sulla Croce gloriosa e non nei palazzi del potere. Sulla tua e sulla mia, dove ti attira in questa Domenica delle palme, di Passione e martirio.
Coraggio allora, riconosciamo d’essere peccatori veri, come e più di ogni altro; apriamo gli occhi e accettiamo di essere gli ultimi, i più indegni. Allora ci sentiremo abbracciare e issare sul Legno del martirio, per agitare, con la “moltitudine immensa che è passata attraverso la grande tribolazione e ha lavato le vesti e le ha rese candide nel sangue dell’Agnello”, le palme del nostro martirio unito a quello di Cristo, il Pastore umile delle nostre anime.

Per questo siamo stati scelti e chiamati dal mondo: per testimoniare con la nostra vita la vita di Cristo risorto in noi, l’amore più forte della morte, la misericordia che dissolve il male che è alle porte di casa. Domenica delle Palme significa proprio questo, Domenica del martirio che salva il mondo; Domenica di Cristo e dei cristiani, la tua e la mia Domenica, che apre le porte del Mistero Pasquale a chiunque ci è vicino e brancola nel buio dei peccati e della menzogna.

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Una festa di passione, per entrare nella Gerusalemme della Carità di Dio. Per passione dell'umanità

Lectio Divina sulle letture per la Domenica delle Palme 2018

di Monsignor Francesco Follo
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La grande Settimana1
Rito Romano
Domenica delle Palme- Anno B – 29 marzo 2015
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La Settimana Autentica
Rito Ambrosiano
Domenica delle Palme nella Passione del Signore
Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11.
1) Le Palme: dal trionfo umano a quello divino.
La Pasqua si avvicina. Inizia la Settimana Santa, che si conclude non con il venerdì di morte né con il sabato del silenzio tombale di Dio, ma sboccia nella domenica di Risurrezione.
Settimana drammatica, che inizia con un trionfo di gente festante, prosegue in una tensione tra odio e amore, e arriva al suo culmine in quella manifestazione di misericordia che è la Pasqua.
La Celebrazione eucaristica di oggi ha due parti.
La prima riguarda le Palme, cioè il trionfo di Gesù che viene solennemente riconosciuto come il Cristo. Il popolo in Gerusalemme accoglie Gesù cantando ed agitando rami di ulivo, foglie di palma, fronde tagliate dai campi.
Gesù entra in modo trionfale nella Città santa. Vi entra per celebrare la Pasqua nuova, che libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte mediante l’offerta della Sua vita.
Gesù entra trionfante in Gerusalemme, ma soprattutto entra nella gioia di ogni cuore fedele.
L’assurdo –umanamente parlando - è che, per entrare da Re in Gerusalemme, Lui ha chiesto in prestito un animale da cavalcare, dicendo ai suoi discepoli di andare dal padrone di un’asina, perché “il Signore ne ha bisogno”.
Può il Signore Iddio aver bisogno? Dio è tutto ed ha fatto tutto, come può aver bisogno di qualcosa. Eppure nel Messia2, Dio si fa mendicante del nostro amore per amore. E oggi ha “bisogno” di un asino per entrare “da Re” in Gerusalemme. “Come ebbe bisogno di un’asina e del suo puledro, in ogni momento Gesù ha bisogno di tutto quello che gli posso dare, perché il mio povero cuore si introduca nella Gerusalemme celeste della sua Carità” (don Primo Mazzolari, Domenica delle Palme,1958).
Per comprendere quest’“ora” evangelica che oggi celebriamo, è utile dare una spiegazione sintetica del contesto storico in cui quel momento si innestava. Il popolo di Gerusalemme è in festa perché entra in città Colui che era aspettato da secoli per essere liberatore e guida verso la pienezza di vita. Questo popolo rende oggi omaggio alla Verità dell’Amore, che libera.
Nell’attesa, il popolo ebraico aveva sperimentato vicende senza numero: progressi, cadute, vittorie, eventi politici, profezie. Ma il pensiero costante del popolo eletto, specialmente dopo l’esilio da Gerusalemme, era stato questo punto proiettato nel futuro: l’avvento di Colui che lo avrebbe salvato.
Allora, ed oggi ancora, nell’ingresso solenne di Cristo nella Città Santa questoavvento diventa realtà. E’ importante notare che fu il popolo semplice e i puri di cuore a riconoscerLo. Per primi, infatti furono i ragazzi, i bambini, il cui cuore è puro e semplice, a gridare osanna al Figlio di Davide. Fu il popolino che proclamò la risposta a un interrogativo sempre attuale: “Chi sarà mai questo Gesù di Nazareth, che aveva predicato per tre anni lungo le vie della Galilea e della Giudea?” Nel luminoso giorno delle Palme il semplice popolo ha il grande intuito della realtà: Gesù è il Cristo; è Lui il centro della storia. Lui è l’Atteso da secoli, il vero Re, Colui che dona la felicità.
2) Passione di Cristo, travolto dall’amore per noi.
La seconda parte della celebrazione liturgica di oggi è la Passione di un Uomo-Dio appassionato.
La celebrazione di questa Pasqua è resa “possibile” dall’accettazione della Passione, che San Marco3 ci racconta mettendo in primo piano i fatti e le situazioni, e non le parole.
Man mano che da Betania, dove la Maddalena Gli ha unto i piedi (ritorneremo fra poco su questo episodio) e ci si inoltra nella passione, vediamo Gesù entrare in un silenzio sempre più profondo, fino a tacere del tutto. “Tu lo dici” è l’unica parola che egli risponde alle domande di Pilato. Da allora non dirà più niente, fino alla drammatica invocazione: “Eloì, Eloì, lamà sabactanì (Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato)”?” (Mc 15,34) e al seguente grande grido col quale spirò (Mc 15,36). Si compì così, fino all'estremo limite, l’abbandono di Gesù, che sembrava abbandonato anche dal Padre.
Si può dire che San Marco ci offre due elementi per leggere il modo in cui Gesù vive questo abbandono.
Il primo è la preghiera che Gesù rivolge al Padre sul Getsemani: “Abba, Padre! ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Tuttavia, non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu” (Mc 14,36). Gesù vive questa sofferta adesione alla volontà del Padre, come ripetendo ad ogni momento: “Non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”. E se all’inizio del suo stare in preghiere sul monte degli ulivi, ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine - dopo la preghiera - ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: “Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino”. Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla.
Il secondo elemento è l’invocazione di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché...?”. Come è noto, si tratta dell’inizio di un Salmo4 21 (22), preghiera che esprime l'intensa sofferenza di un giusto perseguitato, ma anche la sua incrollabile fiducia in Dio.
Anche noi, come le donne, siamo invitati a “guardare” (Mc 15,40): contempliamo la sofferenza e la morte del Signore per scoprire in essa l’inattesa rivelazione del Figlio di Dio che rimane tenacemente, ostinatamente fedele alla “follia” dell’amore e che va sulla Croce per ciascuno di noi, per l’umanità intera.
3) Una vita donata, non sprecata.
Anche sulla Croce, Gesù è oltraggiato e pare che sia negata la logica di donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene capovolta, incompresa e ritorta contro di Lui: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso”. “Il Messia scenda dalla Croce e crederemo”. Di fronte a Gesù - se guardiamo questa scena dal punto di vista dei presenti - si scorgono due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque.
Da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli. Mi riferisco ai passanti, agli scribi e ai sacerdoti presenti sul Calvario per vedere come andava a fine.
Dall’altra, la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù proprio nella Croce: “Vedendolo morire in quel modo disse: costui è veramente Figlio di Dio”. È sulla Croce che si conosce veramente chi è Gesù e in che senso Lui è Messia e Figlio. Possiamo dire che il centurione pagano è un esempio di vero credente.
Ma c’è pure un tipo di fede spinta dall’amore. E’ la fede di una figlia sconosciuta di Israele che ha creduto in Gesù e lo onorò amorosamente e santamente. Il gesto di pietà di questa donna avvenne prima della Festa delle Palme, a Betania, dove troviamo Gesù a casa di Simone il lebbroso, qui, “..mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato, di nardo genuino, di gran valore: ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo....”. Questo gesto, uno di quei segni d’amore di cui solo le donne sono capaci, provocò la reazione dei commensali, che lo giudicarono uno spreco.
Se si considera questo gesto dal punto di vista del puro e semplice buon senso umano sicuramente fu uno spreco, un eccesso. Ma con l’immolazione della Croce siamo messi davanti ad un altro eccesso, e questa volta da parte di Dio, che nel Figlio Gesù, compie un gesto d’amore estremo, spezzando il suo corpo e versando, non olio profumato, ma il suo stesso sangue.
Il Maestro ha accolto, gradito l’omaggio di quella donna, e lo ha indicato come gesto profetico: “Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;... Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che lei ha fatto”. Un’opera buona.
In quell’anonima donna sono riassunte tutte le donne, sono loro l’unico conforto nei giorni della passione, intrepide nell’amore, come la leggendaria Veronica, fedeli nella vicinanza, come la tradizione le presenta lungo il cammino verso il Calvario, forti ai piedi della croce, assieme alla Madre: “...c’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salomè, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme...”.
Una presenza, questa delle donne, che è anche un segno, una vocazione, una missione.
A questa vocazione sono chiamate in modo particolare le vergine consacrate, che donando totalmente la vita a Cristo la mettono a sua disposizione per la Sua appassionata opera di salvezza.
Queste donne sono segno che la grande commozione che invade il cuore, alla lettura della Passione di Gesù, non può restare solamente emozione, ma una mozione di adesione a Cristo. Aderendo a Lui e testimoniandoLo, mostrano che Dio è un “movimento di dono di sé”.
Quando la Vergine Maria ricevette l’annuncio dal Figlio in Croce che sarebbe stata la madre di Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, fu commossa almeno quanto lo fu il giorno dell’Annunciazione dell’Angelo. Le lacrime di gioia del primo annuncio e le lacrime di dolore del secondo annuncio non fecero ripiegare su se stessa la Vergine Madre. Rinnovò il suo “fiat”, il suo sì, e la Parola dell’Amore prese di nuovo dimora in lei e condivise la passione di Cristo per il mondo.
Come la Madonna stette sotto la Croce e divenne Madre dell’umanità, le Vergini Consacrate nel mondo stanno sotto la Croce in preghiera, scelgono uno Sposo crocifisso per vivere con Lui il dono di se stesse al mondo. La Verginità è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, perché “l’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza nuova, che non delude” (Papa Francesco, Lumen fidei, 53).
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NOTE
1 Con la Domenica delle Palme inizia la Grande Settimana, che i Padri della Chiesa chiamavano al modo ebraico la Settimana delle Settimane che significa la Settimana per eccellenza, il cui punto focale sarà la notte di vegliache vivremo sabato prossimo, quando risuonerà l’ “alleluia pasquale”. Nel rito Ambrosiano questa settima è chiamata Settimana Autentica.
Una settimana in cui facciamo memoria di quella Prima Settimana di oltre due mila anni or sono che ha fatto del tempo un'eternità temporale e dell'eternità un tempo senza fine. Noi riviviamo i giorni della passione, della morte e della risurrezione del Signore Gesù ché si fa maestro e compagno di viaggio per ciascuno di noi.
2 E’ il Messia (= Cristo), annunciato, atteso da secoli, ma cavalca un asinello e non un cavallo da battaglia come lo attendevano i Giudei. Messia mansueto che porta la pace, che illumina con la Sua presenza quanti praticano la giustizia e solleva i poveri dalla miseria. In questo giorno di festa di circa duemila anni fa, gli fu attribuito il nome che è diventato suo: Cristo, che vuoi dire Messia, l’Unto, il Consacrato da Dio; e che è poi il nome nostro, poiché ci chiamiamo cristiani.
3 Quest’anno (2015) si legge il racconto della passione del Signore secondo l’evangelista Marco. Per questo Evangelista sono queste le cose importanti ed eloquenti, sono i fatti e non le parole.
4 “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me» (Sal 21(22), 2-3).

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Lettura Patristica

Sant’Agostino d’Ippona
Consenso Evangelico, 308
L'ora della Passione.
Dice Matteo: Sopra la sua testa collocarono in iscritto il motivo: Costui è Gesù, re dei Giudei (Mt 27,27). Marco prima di darci questa notizia scrive: Era l'ora terza allorché lo crocifissero (Mc 15,25) ; e quanto al motivo della crocifissione, egli ne parla dopo che ha parlato delle vesti che i soldati si divisero fra loro. E un problema che bisogna trattare con la massima attenzione per non cadere in gravi errori. Ci sono infatti degli eruditi che collocano la crocifissione del Signore all'ora terza, ritenendo poi che all'ora sesta scese quel buio che perduro fino all'ora nona, con la conseguenza che quando scese il buio il Signore era in croce già da tre ore. E la cosa potrebbe andare benissimo, se non ci fosse Giovanni a dirci che verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale sul posto chiamato Litostrotos, in ebraico Gabbatà (Jn 19,13). Ecco le sue parole: Era la Parasceve della Pasqua, intorno all'ora sesta. Pilato disse ai Giudei: " Ecco il vostro re! ". Ma quelli gridarono: " Crocifiggilo, crocifiggilo! ". Disse Pilato: " Metterò in croce il vostro re? ". Risposero i sommi sacerdoti: " Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare ". Allora lo consegno loro perché fosse crocifisso (Jn 19,14-16). Se pertanto verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale e consegno Gesù ai Giudei perché lo mettessero in croce, come può dirsi che all'ora terza Gesù fu crocifisso, come ritennero alcuni che non avevano capito bene le parole di Marco ? (Mc 15,33)
41. Vediamo prima a che ora il Signore poté essere crocifisso, poi vedremo per qual motivo Marco afferma che lo crocifissero all'ora terza. Quand'egli fu consegnato ai Giudei per esser crocifisso, Pilato, come è stato notato, si assise in tribunale; ed era circa l'ora sesta. Non era l'ora sesta piena ma si era sull'ora sesta; era cioè terminata l'ora quinta e anche dell'ora sesta ne era trascorso un pochino. Gli autori sacri non usano mai dire: Cinque e un quarto, o un terzo, o cinque e mezzo, o frasi simili; ma la Scrittura è solita indicare, specie nella cronologia, il tutto per la parte. Parlando, ad esempio, degli otto giorni alla fine dei quali Gesù sali sul monte (Lc 9,28), Matteo e Marco, considerando i giorni intermedi, dicono: Dopo sei giorni (Mt 17,1 Mc 9,1). E qui è da sottolinearsi come la frase di Giovanni è molto sfumata, in quanto non dice: "Sesta", ma: Verso l'ora sesta (Jn 19,14). Ma anche se non si fosse espresso cosi e avesse detto senz'altro "ora sesta", noi potremmo intendere la frase nel modo consueto della Scrittura di cui parlavo sopra e cioè prendere il tutto per la parte. Ne risulterebbe che, quando accadde ciò che gli evangelisti riferiscono sulla crocifissione del Signore, era terminata l'ora quinta e l'ora sesta era da poco iniziata, finché, al termine della medesima ora sesta, mentre il Signore pendeva ancora dalla croce, scesero le tenebre menzionate concordemente dai tre evangelisti Matteo, Marco e Luca (Mt 27,45 Mc 15,33 Lc 23,44).
42. Come conseguenza necessaria ci si presenta comunque un'indagine ulteriore sulle parole di Marco. Egli ricorda che quei tali che misero in croce Gesù se ne divisero le vesti tirando a sorte quel che toccava a ciascuno, e continuando aggiunge: Era l'ora terza e lo crocifissero (Mc 15,24-25). Aveva già detto che, avendolo messo in croce, se ne spartirono le vesti; ed è quanto sottolineano anche gli altri evangelisti. Dopo la sua crocifissione vennero divise dunque le sue vesti, e se Marco avesse voluto soltanto indicare il tempo in cui avvenne il fatto gli sarebbe bastato dire: Era l'ora terza. Perché aggiungere: E lo crocifissero? Se scrive cosi, lo fa servendosi del metodo della ricapitolazione e con le sue parole vuole significarci qualcosa che troveremo solo se lo cerchiamo. Leggendosi infatti il suo scritto in un tempo in cui tutta la Chiesa sapeva a che ora il Signore era stato inchiodato al patibolo, un simile errore poteva essere corretto e, se fosse stata una falsità, poteva essere smentita. L'affermazione pertanto è da leggersi secondo l'intenzione dell'evangelista, il quale, sapendo certamente che il Signore non fu crocifisso dai Giudei ma dai soldati - come asserisce chiaramente Giovanni (Jn 19,23)-, si propone di mettere in risalto, anche senza dirlo a parole, che a crocifiggerlo furono quelli che gridando ne ottennero la sentenza di morte più che non quegli altri che, fedeli al loro incarico, eseguirono l'ordine del loro principale