giovedì 29 marzo 2018

Se vogliamo dirci cristiani è ora di leggere la Bibbia



(Bruno Maggioni) Domande e risposte Sembra riecheggiare il celebre saggio di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci “cristiani” il libro di Federico Tartaglia. È ora di leggere la Bibbia (E ti spiego come fare) appena edito dalla milanese Àncora (pagine 476, euro 24,90) in cui si sottolinea che non possiamo dirci cristiani se non leggiamo la Bibbia, «tutta la Bibbia». E mentre il filosofo italiano riconosceva al cristianesimo il merito di aver operato «una rivoluzione dell’anima», don Tartaglia sottolinea della Bibbia il valore per l’identità del cristiano.
L’autore presenta uno per uno i 73 libri canonici della Bibbia cattolica, mostrando con un linguaggio, al contempo semplice e brillante, perché non si può fare a meno di questo libro. Che — come si legge in un passo della prefazione che pubblichiamo in questa pagina — dà voce non solo alla parola di Dio rivolta all’uomo, ma anche alle domande dell’uomo qualunque sulla vita, sulle relazioni interpersonali, sul non senso che molte cose sembrano avere. E anche l’ateo in questo può specchiarsi: la sua risposta può essere diversa, ma avere le stesse domande è «già una grande fraternità».
 Ho passato tutta la vita a studiare e a spiegare la Bibbia, rivolgendomi a chiunque fosse interessato ad ascoltarmi o a leggere i miei articoli e i miei libri.

Una volta la Bibbia non era di moda, anzi per molti bravi cristiani era possibile vivere la propria fede senza sentire il bisogno di leggerla: bastava quella che si sentiva a messa. Poi, per fortuna, le cose sono cambiate e sono nate tante iniziative — libri divulgativi di esegesi, corsi biblici, «scuole della Parola» eccetera — che avevano come obiettivo quello di rendere «popolare» la lettura della Bibbia, da soli o in gruppo.
Però mi sembra di notare che, nonostante tutti gli sforzi, sono ancora troppo poche le persone che decidono di uscire dal guscio dei brani che tutti conoscono (che sono poi una percentuale piccolissima del testo biblico) e affrontare con coraggio una lettura integrale della Bibbia. Che è anche l’unico modo per imparare a capirla davvero, perché — come già dicevano gli antichi maestri di Israele — «la Scrittura si interpreta e si spiega con la Scrittura».
Forse non siamo stati capaci di far capire che leggere la Bibbia non è un esercizio di devozione riservato a pochi (preti, frati e suore più qualche «laico impegnato»), ma è anzitutto una scuola di vita, per tutti. Anzi, oso dire che è la più straordinaria scuola di vita a nostra disposizione, prima ancora che un «deposito di verità», da usare per attaccare chi non la pensa come noi.
Forse di solito la Bibbia viene letta in modo troppo spiritualista: è invece un libro umano, per i nostri problemi veri, non solo religiosi. Non esiste una religione astratta. La Bibbia deve essere presa sul serio, nella sua corposità, senza allegorie, senza spiritualizzazioni, perché il senso letterario è intelligente. Mi ribello a certe letture sempre edificanti, in realtà ci sono racconti biblici che terminano con dubbi e domande. Sono perplesso di fronte a interpretazioni che spiritualizzano come se i suggerimenti della Parola di Dio non fossero per la vita terrena. Letture che sembrano una fuga dal mondo o una sua consolazione. Vorrei una lettura attenta alle domande e alle narrazioni, spesso problematiche, ai paradossi che cambiano la mentalità e il modo di vivere. Il cristiano è del mondo e nel mondo deve vivere, nel suo quotidiano, senza astrazioni e senza troppe pretese di eroismo.
E poi: la Bibbia è un libro che dà voce non soltanto alla Parola di Dio rivolta all’uomo, ma anche alle domande dell’uomo qualunque, dell’uomo che pensa, sulla vita, sulle relazioni fra di noi, sul non senso che molte cose sembrano avere. Anche l’ateo in questo può specchiarsi. Diversa può essere la sua risposta, ma avere le stesse domande è già una grande fraternità.
Quali consigli dare allora a chi vuole accostarsi alla Bibbia per una prima lettura? Il mio primo consiglio, frutto di anni di lavoro, è che bisogna affidarsi a una guida sicura, e questo libro di don Federico Tartaglia è particolarmente adatto, per la sua capacità di mostrare la «posta in gioco» di ogni libro biblico e della Bibbia tutta intera. Poi si può partire da qualche libro che ci sembra più familiare, direi un Vangelo (e già leggerlo tutto d’un fiato è molto diverso dal sentirlo leggere a pezzi, come a messa), passare a una Lettera di Paolo e dopo a qualche libro dell’Antico Testamento che ci faccia comprendere la bellezza anche letteraria della Scrittura, come Giobbe o il Cantico dei Cantici.
Fatto questo, si può affrontare qualsiasi testo. L’importante è capire che siamo davanti a un libro complesso che non si comprende tutto. Ci sono parti che non ho capito io stesso. La Bibbia parla di Dio e dell’uomo, argomenti non semplici. Bisogna avere costanza e pazienza, ma — lo posso garantire — è un libro che vale più di altri, anche culturalmente. I racconti biblici sono pari a quelli della letteratura greca. Durante un corso post-laurea per allievi che venivano da letture classiche mi sono sentito dire: «Abbiamo letto Qoelet, è più straordinario dei Dialoghi di Platone».
In teoria si è capito che senza frequentare con assiduità la Bibbia non possiamo dirci davvero cristiani. Anzi, umani. Ma dobbiamo renderla pane quotidiano per la gente. E mi auguro che questo libro — con il suo accorato invito a leggere la Bibbia, a leggerla tutta, a innamorarsi della Parola di Dio — diventi uno strumento diffuso nelle parrocchie, nei gruppi di catechesi, nelle scuole bibliche, ma sia preso sul serio anche da tutte le persone che semplicemente si sono dette: «Quel librone è da anni sullo scaffale, ora voglio provare a leggerlo...».
Ricordandoci di una cosa importante: Gesù ha detto che «beati», cioè «felici» (ed essere felici non è il vero desiderio del cuore umano?) sono quelli che ascoltano la Parola di Dio... e che la mettono in pratica! Tradurre in pratica non significa però osservare il Vangelo in tutto e per tutto, non ne siamo capaci. Il difetto di molte persone è abbassare il Vangelo al nostro livello di osservanza, per il gusto di dire: io sono un uomo del Vangelo. Meglio dire: sono un peccatore e il Vangelo è quella cosa bella a cui cerco di arrivare.
Con questo spirito, non posso che ripetere quello che don Federico Tartaglia augura al termine di ogni capitolo di questo libro: buona lettura!

L'Osservatore Romano