venerdì 30 marzo 2018

Nelle feste di Pesah e di Pasqua. La centralità della redenzione



di Abraham Skorka 

Le feste di Pesah e di Pasqua, come pure lo shabbat e la domenica, Shavuot e Pentecoste, mostrano parallelismi molto evidenti tra l’ebraismo e il cristianesimo. Le prime due sono però quelle più strettamente connesse, e fu nel 325, al concilio di Nicea, che la loro data di celebrazione venne formalmente separata, anche se alcune frange cristiane (i cosiddetti quartodecimani, il cui nome deriva dal quattordicesimo giorno del mese ebraico di nisan) continuarono a farla coincidere fino al v secolo. Etimologicamente il latino pascha deriva dal greco pascha, che traslittera l’aramaico derivante dall’ebraico Pesah.
L’elemento fondamentale che caratterizza entrambe le celebrazioni è, sia per gli ebrei sia per i cristiani, la redenzione. Il racconto dell’uscita dei figli d’Israele dalla terra d’Egitto, dove erano stati ridotti in schiavitù, deve servire da paradigma, per le generazioni di tutti i tempi, della lotta che ogni individuo e ogni popolo come unità devono sostenere per superare tutte quelle bassezze che schiavizzano lo spirito.
Nell’Esodo (6, 6-8) si racconta con le parole di Dio il progetto di liberazione dei figli d’Israele dall’Egitto. Prima li libererà dall’oppressione degli egiziani, poi li riscatterà dalla schiavitù e infine li redimerà. Allora saranno considerati da Dio come suo popolo, per farli infine giungere alla terra promessa. La redenzione è lo stato in cui lo schiavo non solo supera la sua condizione di vassallaggio fisico, ma acquisisce una coscienza nuova, dove non ci sono pretesti per imporre una condizione di sfruttamento al prossimo né per essere nuovamente schiacciati da qualsiasi tipo di asservimento.
L’uscita dall’Egitto deve essere ricordata, da ogni ebreo, non solo a Pesah, ma tutti i giorni della vita (cfr. Deuteronomio 16, 3) in quanto, oltre a indicare la vicinanza e la preoccupazione di Dio per l’uomo e il suo coinvolgimento nella storia, conserva il messaggio di libertà profonda che l’essere umano deve acquisire per servire pienamente Dio. Essere servi di Dio e non dei propri simili è l’ideale biblico (cfr. Levitico 25). Questo messaggio è stato trasmesso di generazione in generazione, da grandi profeti e maestri che in alcuni casi, come Isaia e Amos, lo ricrearono e approfondirono.
Grazie a Gesù e a tutti coloro che si sono ispirati alla sua predicazione e alla sua opera questo messaggio ha raggiunto molti popoli e nazioni. Al di là dei molteplici aspetti che differenziano l’ebraismo dal cristianesimo, ebrei e cristiani sono uniti dalla fede nel fatto che l’umanità possa essere redenta e dall’invito a prodigarsi per un mondo migliore.
L’analisi delle possibilità e dei modi per superare le pulsioni distruttive insite nella natura umana, elemento fondamentale in ogni processo di redenzione, ha preoccupato due brillanti menti dello scorso secolo, Einstein e Freud. Lo testimonia lo scambio epistolare (Warum Krieg?) che rivela le loro meditazioni su questo problema che affligge l’uomo da quando Caino assassinò suo fratello Abele. Non erano osservanti; uno credeva in un Dio secondo la struttura filosofica di Spinoza, l’altro analizzava l’atteggiamento religioso attraverso il suo schema interpretativo della psiche dell’uomo. La dimensione ebraica di entrambi si manifestava nella loro preoccupazione per la dignità dell’individuo e per il superamento delle miserie che comportano le guerre e le schiavitù. Le loro opinioni sono prevalentemente intellettuali, basate su motivi ben fondati, ma la loro inquietudine per il futuro ha a che vedere con l’impegno di entrambi per quei valori tanto cari all’ebraismo.
A unirci a questi intellettuali sono proprio la fede e la lotta per quei valori, ma a differenziarci è la dimensione dell’amore che la concezione biblica insegna ad aggiungere a quella dell’intelletto. Il Dio della Torah chiede di agire con giustizia e misericordia, ma il passaggio ultimo per avvicinarsi a lui è quello dell’amore. Il rapporto con il prossimo si deve costruire dopo aver imparato l’autostima che ci insegna ad amarci, al fine di amarlo come noi stessi (cfr. Levitico 19, 18). L’eccessivo positivismo, dove l’amore si confonde con il mero piacere invece di considerarlo una delle forze vitali che nobilitano la condizione umana, probabilmente ha provocato i disastri del secolo passato. Pesah e Pasqua indicano il rispetto con cui l’individuo deve trattare se stesso e il prossimo, poiché in ognuno c’è una scintilla del creatore, che sa manifestarsi pienamente attraverso tale sentimento.
Molto tempo è trascorso dall’uscita dall’Egitto e quasi due millenni dalla presenza di Gesù su questa terra, secoli durante i quali guerre, genocidi, crimini e un’infinità di atrocità hanno afflitto l’umanità. La proposta di redenzione formulata all’uomo sembrerebbe aver fallito. È tuttavia giunta fino ai nostri giorni, e questo ci indica che, sebbene non si sia potuta ancora realizzare, la fede e la speranza della sua realizzazione nel futuro sono indispensabili per trovare il senso dell’esistenza e le vie che ci avvicinano al creatore.

L'Osservatore Romano