giovedì 1 ottobre 2015

La famiglia in Africa



(Philomena N. Mwaura) La famiglia in Africa è un’istituzione complessa ed è impossibile descriverla senza cadere nelle trappole delle generalizzazioni e del riduzionismo. A ogni modo, in Africa la famiglia è l’unità sociale di base, fondata sulla parentela, il matrimonio e l’adozione, come anche su altri aspetti relazionali. La famiglia, poi, può essere patriarcale, matrilineare, patrilineare, multilocale, multigenerazionale, multietnica e multireligiosa a causa della migrazione, del matrimonio e della conversione. È inoltre caratterizzata da tensioni tra valori culturali africani, insegnamenti cristiani, secolarismo, religioni e altre ideologie.
La famiglia è — come scrivono Betty Bigombe e Gilbert M. Khadiagala — un’unità di produzione, consumo, riproduzione e accumulo. Nella sua forma più semplice è composta da marito, moglie e figli, mentre nella sua forma complessa e più comune è allargata, fino a includere figli, genitori, nonni, zii, zie, fratelli e sorelle, che a loro volta possono avere figli propri o altri parenti prossimi. L’appartenenza alla famiglia nelle diverse comunità africane va dai figli adottati, e quelli affidati, ai servi, gli schiavi e i loro figli, come tra i Baganda in Uganda. Nella società tradizionale precoloniale veniva praticata la poligamia, e questo tipo di matrimonio contribuiva all’ampliamento delle relazioni familiari, incorporando molte persone. Jomo Kenyatta, John S. Mbiti e Aylward Shorter osservano che una famiglia allargata comprende anche i suoi membri defunti, insieme a quelli che ancora devono nascere, poiché i nascituri assicurano la sopravvivenza della famiglia. La famiglia allargata costituiva e ancora costituisce la base di ogni cooperazione e responsabilità sociale. Nella società tradizionale, la famiglia allargata era il luogo principale in cui l’individuo esercitava la propria libertà. L’individuo esisteva in rapporto a un gruppo più grande, che comprendeva la sua famiglia allargata. Acquisiva la propria identità dal gruppo e dal gruppo dipendeva per la sopravvivenza fisica e sociale. Attraverso diversi riti di passaggio, diventava man mano più pienamente membro della società e assumeva un ruolo nell’assicurare la sopravvivenza del gruppo attraverso il matrimonio e la procreazione. Mbiti afferma che «nella vita tradizionale, l’individuo non esiste e non può esistere da solo, se non corporativamente. Deve la propria esistenza ad altre persone (…) la comunità, pertanto, deve fare, creare o produrre l’individuo (…) solo in termini di altre persone l’individuo diventa consapevole dei suoi doveri, dei suoi privilegi e delle sue responsabilità verso se stesso e gli altri». La famiglia allargata dava all’individuo un’identità personale e fisica. Si era assegnati a una particolare comunità, con ruoli chiari attribuiti nelle varie fasi della vita sulla base dell’età, del sesso e dello status sociale. Le norme culturali, sociali e morali della comunità, che venivano applicate nella famiglia allargata, aiutavano l’individuo a diventare un membro produttivo e rispettato della comunità. Quelle norme fungevano per lui da progetto di vita. La famiglia allargata era — ed è — anche la prima comunità religiosa di appartenenza dell’individuo. Era attraverso i genitori, i nonni e altri membri che si imparava a conoscere l’eredità religiosa e spirituale. Era lì che probabilmente si veniva a conoscenza di Dio, degli spiriti, degli antenati e della vita dopo la morte. La famiglia allargata era ed è anche un mezzo di sostegno reciproco. Il principio che guida le relazioni è quello dell’ubuntu, ovvero “tu sei perché noi siamo”, e così la famiglia allargata diventa un mezzo di sostegno sociale, psicologico, morale, materiale e spirituale nel bene e nel male. La società africana ha vissuto grandissimi cambiamenti in ogni aspetto della vita, compresi la struttura della famiglia e il matrimonio. Vorrei citarne solo alcuni che, dal mio punto di vista, sono attinenti al tema. I cambiamenti nella struttura della famiglia rispecchiano le tensioni continue tra i valori e le strutture tradizionali, cristiani o religiosi e quelli moderni. Sebbene si senta spesso parlare di famiglie che abbandonano usanze tradizionali fondamentali a favore di quelle moderne, la tendenza principale continua a essere il matrimonio e la creazione di un’organizzazione familiare, facendo riferimento alle norme sia tradizionali sia moderne. La caratteristica dominante delle famiglie africane è la capacità di “trasformare le cose vecchie in nuove” e di continuare ad attingere nuove soluzioni dalle risorse tradizionali delle istituzioni familiari. Pertanto, la tendenza verso la modernità è stata implicata nella trasformazione graduale del matrimonio e dell’organizzazione familiare africana, che si allontana dalla parentela corporata e dalle famiglie allargate per andare verso le famiglie nucleari, specialmente nelle aree urbane e tra le persone istruite. Tale cambiamento deriva in parte dal crollo dei sistemi collettivi di produzione e riproduzione orientati alla parentela. Malgrado le differenze interne tra gli ambienti urbani e quelli rurali e tra le regioni africane, i lenti tassi di crescita economica e la mancata corrispondenza tra risultati educativi e opportunità di lavoro hanno imposto dimensioni più ridotte alla famiglia. Bigome e Khadiagala osservano che «nella maggior parte delle aree urbane, i fattori quale il lavoro retribuito, l’economia monetizzata e il costo della vita hanno alterato il valore dei figli. Inoltre, mentre le reti familiari in passato mitigavano gli effetti negativi delle grandi famiglie, le risorse limitate e il declino economico hanno contribuito alla riduzione delle dimensioni delle famiglie e impoverito le strutture istituzionali della famiglia allargata». Peraltro, una costante critica negli schemi familiari africani è il persistere della poliginia, per cui il declino delle famiglie poligamiche, tanto atteso dai sociologi, nella maggior parte delle società africane è ancora ben lungi dall’essere una realtà sociale. Nelle aree rurali la poliginia sopravvive principalmente a causa dell’imperativo dato dalla divisione del lavoro secondo i sessi che caratterizza la sfera agricola, mentre nelle aree urbane assume forme diverse. Un altro mutamento sociale che sta minando la famiglia basata sulla parentela è il prevalere della monogenitorialità, specialmente tra le donne nelle aree urbane. Man mano che un numero crescente di donne si è unito alla forza lavoro, le famiglie costituite da persone singole o con capofamiglia donne sono diventate uno schema riconoscibile nel panorama sociale africano. Tali tendenze rispecchiano i cambiamenti secolari nello status educativo, nel lavoro e nella mobilità occupazionale, per non parlare di altri fattori come i decessi dovuti all’Aids/Hiv. Gli insediamenti informali sovrappopolati dell’Africa sono pieni di donne non sposate, sole e povere, che devono affrontare sfide immense per superare la dislocazione e la migrazione la privazione. In alcuni Paesi come il Kenya, il Ghana, il Sud Africa e l’Etiopia le donne costituiscono oltre un terzo dei capifamiglia. Altre famiglie hanno a capo nonni e figli. In Sud Africa, le politiche dell’apartheid hanno inciso in molteplici modi sulla coesione familiare e rafforzato l’impatto distruttivo che il lavoro migrante, l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno avuto sulla famiglia. Quindi, una conseguenza dell’eredità dell’apartheid è l’alto numero di famiglie monogenitoriali, dovute per la maggior parte a gravidanze al di fuori del matrimonio e al divorzio. Molti bambini crescono in famiglie a cui fanno capo delle donne, con sostegni finanziari scarsi o nulli. Qualcuno ha affermato che la famiglia nera in Sud Africa ha continuato a subire una disgregazione maggiore rispetto alle altre famiglie del continente. L’affidamento è invece una caratteristica che continua a rimanere viva nella struttura familiare africana, dove la sopravvivenza della famiglia rurale dipende dai legami con le famiglie urbane. Un aspetto essenziale di ciò è l’invio di rimesse dai lavoratori urbani ai parenti nelle zone rurali attraverso il sostegno educativo e altre forme di aiuto economico e sociale. In buona parte dell’Africa la migrazione è un fattore importante dei sistemi di sopravvivenza delle famiglie. Per anni, la migrazione dalle aree rurali a quelle urbane è stata il meccanismo fondamentale per quanto riguarda le opportunità di lavoro, la mobilità sociale e il trasferimento del reddito. Quasi il trentadue per cento degli africani subsahariani nel 1996 viveva nelle aree urbane, con un aumento dell’undici per cento rispetto al 1950. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, quasi il cinquanta per cento della popolazione africana subsahariana nel 2015 sarà urbana. Sono emerse nuove strutture familiari a causa del fenomeno della migrazione. La globalizzazione ha favorito anche nuove forme di migrazione, poiché gli africani cercano migliori opportunità economiche in Europa, negli Stati Uniti, in Medio oriente, in Australia, in Canada, e così via. Per la maggior parte di queste persone, la migrazione fa parte della lotta contro la povertà debilitante, come pure contro le forme implicite ed esplicite di oppressione politica. Anche la lunga serie di guerre civili, conflitti, e l’instabilità politica in Africa hanno contribuito in larga misura alla migrazione e alla disgregazione della famiglia africana. Come la migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, la migrazione internazionale è una lama a doppio taglio per le famiglie, fornendo benefici economici attraverso le rimesse, ma spezzando al contempo i vincoli sociali che sostengono le famiglie. Il traffico di bambini attraverso i confini con i Paesi vicini ha parimenti inciso sulla famiglia africana. I trafficanti mantengono le vittime in uno stato di subordinazione attraverso la violenza fisica, la servitù per debiti, la confisca del passaporto e le minacce di violenza nei confronti della loro famiglia. Spesso la giustizia per le vittime di questi crimini è piuttosto elusiva. Un’altra piaga che ha portato alla spirale discendente per la famiglia africana è la violenza domestica, argomento tabù che, malgrado leggi ben intenzionate, continua senza tregua a distruggere famiglie. La violenza basata sul genere riguarda le persone di ogni ceto sociale, credo, razza o etnicità. La famiglia e la casa — che dovrebbero essere lo spazio più sicuro per donne, uomini e bambini — sono diventate luoghi di scontro, dolore, abuso, disinteresse e disintegrazione. L’indagine più recente su salute e demografia in Kenya (2013) rivela che il quarantacinque per cento delle donne e il dieci per cento degli uomini hanno denunciato di aver subito violenze da un partner intimo. La violenza in famiglia è una conseguenza dei cambiamenti che si sono verificati e che, come già indicato, hanno portato all’instabilità dell’unità familiare. Molti matrimoni ora sono neolocali, dove le coppie vivono lontano dalle proprie famiglie. Tali famiglie tendono a essere individualiste e le coppie non beneficiano più dei consigli degli anziani. In caso di difficoltà e di conflitto, la separazione e il divorzio sono diventati la norma. A ogni modo, malgrado tutte queste sfide, i sistemi di sostegno familiare continuano in qualche misura a essere vivi in Africa. La famiglia è sempre il luogo di trasmissione di valori e di acquisizione d’identità e offre un quadro d’inclusione a prescindere dal carattere, dall’età, dallo status, e così via. Un proverbio Gikuyu riassume proprio questo concetto. Afferma che, una volta che un bambino è nato, non lo si può abbandonare.

L'Osservatore Romano