venerdì 23 agosto 2013

Dire Dio raccontando l'uomo



Per dire Dio, non occorre essere teologi. Basta conoscere
l’uomo.  E per farlo, occorre, prima
ancora di ogni altra cosa, essere uomini. Insomma, per parlare di Dio, per
intuire qualcosa di Lui, di quel Mistero che presiede al creato, al tempo, alla
storia, al proprio cuore è richiesto prima di tutto una verità su di sé.
Dire Dio, infatti, non è troppo diverso che parlare
dell’uomo. Non l’uomo in generale, ma l’uomo così com’è con la propria
inquietudine, la delusione figlia di ogni attesa vana, la paura prima ancora
che della morte, della sua insignificanza, della facile compromissione con il
male.
L’uomo è un contradditorio mistero di bellezza e di peccato,
di ardimento e di pavidità, di anelito e di disillusione. In cerca di Dio come
in continua fuga da Lui. Mendicante di felicità e collezionista di
delusioni  e inquietudine.
Per dire l’uomo, basta raccontare se stessi, avere il
coraggio di scendere nella profondità
del proprio io, così miseramente orgoglioso, così difficilmente umile,
tracimante di domande, incapace anche solo di balbettare, il più delle volte,
delle risposte. In definitiva, per raccontare se stessi, basterebbe la propria
inestirpabile irrequietudine. Dire Dio, dunque, richiede la consapevolezza
della drammaticità della condizione umana.
Per dire Dio, basta uno che sappia dire, raccontando sé,
l’uomo, quasi con parole non proprie, impiegando un vocabolo che è umano e, al
contempo, divino.
“Dire Dio raccontando l’uomo” (ed. Rubbettino, p. 146, €
12,00) di Don Divo Barsotti (a cura di Stefano Albertazzi)  è il tentativo di questo straordinario
sacerdote e mistico fiorentino, deceduto qualche anno fa, di indagare nella
letteratura italiana del novecento – tra le arti dell’uomo, forse la più capace
di esprimere l’indicibile e l’inafferrabile – quelle parole che risultano al suo
genio religioso come le più corrispondenti a far emergere Dio e il desiderio
dell’uomo.
“La rivelazione ultima di Dio è sempre l’uomo, (…) perciò
ogni poesia se è parola vera dell’uomo è anche parola di Dio” (pag 13). La
poesia, così come la prosa, sa far affiorare il dramma dell’esistenza umana
sulla punta di una penna, nelle vertigine di alcune parole. Nella suscitazione
di alcune immagini letterarie è capace di far emergere la Rivelazione di Dio più
ancora che una certa teologia.
Barsotti si cimenta nella critica dei grandi autori della
letteratura italiana del secolo scorso da Svevo a Pirandello, da Pavese a
Rebora fino ad Eugenio Montale. Lo sguardo interessato,  e pregiudizialmente benevolo del mistico fiorentino,
è quello di cogliere i pertugi che il Mistero si riserva nell’arte di questi
autori che mentre paiono per lo più censurare Dio confinandolo in una pia e
ipocrita consolazione dell’umano dolore, dall’altro, proprio per l’assenza di
Dio, le loro pagine sono un immenso grido perché Dio si ridesti. Le pagine di
questi autori suonano come un atto di accusa ai credenti che non sono riverbero
del Mistero, piuttosto ombra del potere e della menzogna.
Il suo è un lavoro di agile accesso a chiunque. Non occorre
essere né teologi pur se nell’analisi critica, l’allora giovane Barsotti si
rivela un profondissimo e acuto pensatore; né tantomeno occorre essere versati
in letteratura. Don Divo fa un lavoro scomodo e coraggioso. Meticolosamente si
mette alla ricerca del senso religioso che accompagna e si nasconde nelle
pieghe di certe pagine. Come se tra le righe, camminassero delle lettere oltre
a quelle impiegate. E queste indicassero al lettore e forse allo stesso autore,
uno da incontrare, magari alla pagina successiva. Come se tra le parole, ci
fosse una Parola. Come se tra i personaggi di carta, si celasse e si
affacciasse Uno di carne. Come se tra i tasti battuti di una vecchia macchina da
scrivere, battesse in realtà un cuore sconosciuto. Uno che non trovi nella
narrazione. Eppure, Uno di cui si parla. Uno che non è protagonista e che, d’improvviso,
ti pare di accarezzare tra le mani mentre si sfoglia la pagina.  Al lettore è richiesta solo la curiosità di
intrattenersi amichevolmente con queste pagine e con il dramma dei singoli
autori ripercorrendo la storia della loro avventura artistica come un cammino sofferto
e al contempo generoso del desiderio che Dio si riserva in ogni cuore.
Due osservazioni finali. La prima è relativa alla quasi tale
assenza nella narrativa italiana del Novecento di una letteratura di tipo
cattolica. Effettivamente a ben giudicare, tutta la più importante letteratura
italiana del ‘900 ha un impronta marxista, se non addirittura anticattolica.
D’altra parte, le antologie che si usano nelle scuole superiori sono
sostanzialmente  occupate da una
narrativa e una poetica profondamente distante dal sentire religioso del
popolo. Possibile che in un paese cattolico come l’Italia, non sia sorta una
letteratura che rispondesse all’animo del popolo e ne interpretasse i più veri
sentimenti? Possibile che autori cattolici non abbiano cercato di tradurre la
visione all’esistenza umana secondo una prospettiva religiosa? Ci si dovrebbe
domandare le ragioni di un’afasia letteraria del mondo cattolico o della
censura a cui è stata sottoposta questo tipo di visione del mondo. Si pensi
alla delegittimazione cui sono stati sottoposti Giovannino Guareschi e Eugenio
Corti.
La seconda osservazione è relativa all’intraprendente e
originale lavoro che con Barsotti comincia a prendere avvio. Il coinvolgimento
della letteratura, anche priva se non addirittura avversa ad ogni parvenza
religiosa, nell’ambito teologico. Una sorta di teologia narrativa in cui si
intuisce che la Parola
di Dio si mescola con ogni parola umana e questa, anche nell’affermazione
dell’assenza di Dio, è segno della Sua Presenza. “Letteratura e teologia  – come dice Ferdinando Castelli che su questo
mutuo rapporto ha investito la sua ricerca più appassionata – vicendevolmente
s’illuminano e avanzano sugli stessi sentieri…La storia della letteratura è una
preparazione evangelica.”
Il libro che Rubbettino ha dato alle stampe è coraggioso
perché appartiene a quei lavori leggendo i quali viene voglia di andare alle
fonti. Barsotti ci invita a rileggere personalmente e direttamente le pagine di
quegli autori così lontani da Dio, così vicini a Dio.
M. Vacchetti