domenica 25 agosto 2013

Convivenza e dialogo nell'Europa senza muri


di Bruno Forte
in “Il sole 24 Ore” del 25 agosto 2013
La convivenza diffusa di credenti e non credenti è ormai uno dei tratti che caratterizzano l'Europa
dal punto di vista della sociologia religiosa. Finito da tempo lo stato di cristianità, nuove fedi si
sono aggiunte nel Vecchio Continente al cristianesimo, specialmente a causa dei flussi immigratori,
mentre la compattezza dell'universo religioso europeo si andava sfaldando, tanto a motivo del
profilarsi di opzioni ideologiche anti-cristiane, quanto per il diffondersi di posizioni agnostiche, che
spesso hanno semplicemente occupato il vuoto prodotto dalla crisi di quelle stesse ideologie.
I1 dialogo fra chi crede e chi non crede si presenta, perciò, come una delle urgenze più vive e al
tempo stesso delle sfide più feconde con cui gli Europei di oggi e di domani dovranno confrontrarsi.
È anche per questo che l'Associazione Europea per la Teologia Cattolica ha scelto per il suo
Congresso Internazionale, che si terrà a Bressanone dal prossimo 29 agosto al 1° settembre, il tema
Dio in questione - il linguaggio religioso e i linguaggi del mondo. Ed è per le stesse motivazioni che
mi è stato chiesto di aprire il Congresso con una prolusione dal titolo "La fede e il dialogo con i non
credenti", di cui anticipo qui alcuni contenuti. La mia tesi di fondo è che la questione di Dio è
ineludibile per chiunque non voglia rinunciare a pensare e che proprio per questo credenti e non
credenti sono molto più vicini di quanto banalmente si possa pensare. In realtà, la fede è un rischio,
una scommessa, come sosteneva Pascal, perfino uno scandalo. Søren Kierkegaard - credente dal
singolare rigore del pensiero - non esitava a dirlo: "Non si giunge mai alla fede senza passare per la
via dello scandalo" (Esercizio del cristianesimo, in Id., Opere, Firenze 1972, 730). E San Giovanni
della Croce - il grande mistico del Siglo de oro spagnolo - presentava l'esperienza della "notte
oscura" - inevitabile per chi crede - in maniera perfino conturbante: "Notte che mi guidasti! / oh,
notte più amabile dell'aurora / oh, notte che hai congiunto/ l'Amato con l'amata/ l'amata nell'Amato
trasformata" (Opere, Roma 19672, 346s.). La "noche oscura" è prova, eppure è anche il luogo delle
nozze mistiche: Dio non si trova nella facilità del possesso di questo mondo, ma nella morte a se
stessi, nella notte dei sensi e dello spirito, nella sequela del Crocifisso. La tenebra della fede è
luminosa, la luce della fede è vespertina! Proprio così credere è vivere l'unità dei contrari. La fede
non è la risposta tranquillizzante alle nostre domande: essa è e resta scandalo. Non è rinuncia a
pensare, eppure trascende i calcoli e le misure di una ragione che sia troppo sicura di sé e non
accetti di lasciarsi comprendere, prima che di comprendere e di voler dominare. Il Dio biblico è in
tal senso la sovversione di ogni nostra pretesa: solo dopo averci portato nel fuoco della desolazione,
si offre come il Dio delle consolazioni e della pace. Solo dopo che l'avremo seguito sulla via del
dono e dell'abbandono e avremo accettato di amarlo dove e come Lui vorrà, Egli si offrirà come il
senso della vita che non conosce tramonto.
È possibile, allora, affermare che il credente è anche un povero ateo, che ogni giorno si sforza di
cominciare a credere. Se non fosse tale, la sua fede sarebbe rassicurazione mondana, una delle tante
ideologie che hanno ingannato il mondo e prodotto l'alienazione dell'uomo. La luce della sua
conoscenza resterebbe quella del tramonto che ha avvolto la parabola delle ideologie: "La terra
interamente illuminata risplende di trionfale sventura" (M. Horkheimer -Th. W. Adorno, Dialettica
dell'Illuminismo, Torino 1966, 11). Diversamente da ogni visione ideologica rassicurante, la fede è
lottare con Dio, un sempre nuovo consegnargli il cuore, vivendo ogni giorno la sfida di arrendersi,
sperare e amare. Se il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, ci si
potrà anche domandare fino a che punto il non credente pensoso non sia un credente che viva la
lotta inversa di cominciare sempre di nuovo a non credere. Non parlo certo dell'ateo superficiale –
lo “stolto” di cui dicono i Salmi (14 e 53) – ma di chi lotta con Dio con coscienza retta, di chi,
avendo cercato e non avendo trovato, patisce il dolore dell'assenza divina, e proprio così si presenta
come l'altra parte di chi crede. Da tutto questo viene un no alla negligenza della fede, a una fede
indolente, statica e abitudinaria, fatta d'intolleranza comoda, che si difenda condannando perché non
sa vivere la sofferenza e la grazia dell'ascolto. E ne viene il sì a una fede interrogativa, anche
dubbiosa, capace di cominciare sempre di nuovo a consegnarsi all'altro, per vivere l'esodo senza
ritorno verso il silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola. Analogamente, si affaccia qui il
no a ogni non credenza superficiale, negligente e prigioniera di pregiudizi ideologici, e s'impone il
sì all'inquietudine e alla ricerca del Volto nascosto anche da parte di chi non creda.
Se c'è una differenza da marcare, allora, non sarà quella tra credenti e non credenti, ma l'altra tra
pensanti e non pensanti, tra quanti hanno il coraggio di continuare a cercare per credere, sperare e
amare, e quanti, rinunciando alla lotta, sembrano accontentarsi dell'orizzonte penultimo e non sanno
più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell'ultimo orizzonte e dell'ultima patria.
Qualunque atto, anche il più costoso, è degno di essere vissuto per ravvivare in noi il desiderio della
meta ultima e il coraggio di tendere ad essa fino alla fine, oltre la fine. È alla luce di questi
presupposti, che credenti e non credenti potranno ascoltarsi e dialogare: perché il non credente
pensoso, avvertendo il dolore dell'assenza di Dio, non potrà non mettersi in ascolto di chi fa
esperienza dell'invisibile Presenza e se ne lascia totalmente segnare. E il credente responsabile
ascolterà le domande di chi non crede per far crescere sempre più in se stesso la consapevolezza
umile della luce ricevuta dall'alto. Ciò di cui c'è veramente bisogno per un dialogo vero e fecondo è
allora che il credente responsabile si incontri col non credente pensoso, che questi non sia chi a
buon mercato cerchi di vivere “etsi Deus non daretur”, ma chi sia pronto a rischiare "veluti si Deus
daretur" . Il confine su cui credenti e non credenti s'incontrano è l'esperienza dell'assenza / presenza
che caratterizza l'amore, a cominciare da quello per Dio. La lotta e la resa soggiacciono a ogni vita
di fede e la rendono vicina all'inquietudine di chi, non credendo, soffra dell'incapacità di lasciarsi
far prigioniero dell'invisibile Altro. Afferma Ada Negri in una lirica di forte intensità: "Non seppi
dirti quant'io t'amo, Dio / nel quale credo, Dio che sei la vita / vivente, e quella già vissuta e quella /
ch'è da viver più oltre: oltre i confini / dei mondi, e dove non esiste il tempo. Non seppi; - ma a Te
nulla occulto resta / di ciò che tace nel profondo... / Resta con me, poi che la sera scende / sulla mia
casa con misericordia / d'ombre e di stelle. Ch'io ti porga, al desco / umile, il poco pane e l'acqua
pura / della mia povertà. Resta Tu solo / accanto a me tua serva; e, nel silenzio / degli esseri, il mio
cuore oda Te solo" (Il dono, in Poesie, Milano 1963, 847s). Sull'arco di fiamma dell'amore all'Altro,
nell'esperienza dell'assente presenza dell'Amato, il credente riconosce nel non credente in ricerca
l'altra parte di sé. E il non credente pensoso potrà riconoscere nel credente umile e in ascolto del
Mistero l'altro, in cui la sua stessa lotta è giunta a un compimento diverso, fascinoso e inquietante
per il suo cuore in ricerca. Su questi presupposti, il dialogo fra i due potrà configurarsi come una
comune "diakonìa" alla Verità, che entrambi chiama, e proprio così come una condivisa
testimonianza della salutare trascendenza del Vero, da cui tutto è illuminato pur nella notte del
mondo e di cui tutti abbiamo bisogno per vivere e superare la crisi etica e spirituale, prima che
economica e politica, della nostra Europa e del "villaggio globale".