martedì 20 agosto 2013

Come parla Jorge Mario Bergoglio.




 Quel Dio che ci «primerea» sempre

Anticipiamo — nella traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún — un articolo che sarà pubblicato mercoledì 21 agosto in rete sul sito di Alver Metalli «Terre d’America». L’autore è un giornalista, già alunno di Bergoglio quando questi insegnava Letteratura e Psicologia a Santa Fe negli anni 1964 e 1965. Lo stesso sito segnala l’incontro di cui Metalli sarà moderatore il 21 agosto al Meeting di Rimini, «Papa Francesco: con la Lumen fidei alle periferie dell’esistenza». Partecipano Stefano Alberto (Università Cattolica del Sacro Cuore), Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America latina, José Maria “Pepe” di Paola, parroco di Villa 21 a Buenos Aires. Padre Pepe dieci anni fa venne minacciato di morte dai narcotrafficanti; e lo stesso Bergoglio, in quell’occasione, puntò il dito pubblicamente contro i «potenti mercanti delle tenebre».
(Jorge Milias) La mentalità del porteño — dell’uomo che vive sul porto attorno al quale si è storicamente sviluppata Buenos Aires — è un po’ particolare. Espressione di una società cosmopolita plasmata dal commercio e dall’industria — a differenza degli argentini del resto del Paese dediti alla produzione di generi primari di massa — ha i suoi aspetti positivi e negativi. Fra i secondi l’idea dell’«io so tutto» mischiata a uno scarso senso della solidarietà, ha prodotto l’atteggiamento conseguente del «io per primo». Che si tratti di ottenere un biglietto per una partita di calcio o la titolarità di una cattedra universitaria, al di là delle capacità vere o presunte del pretendente, la cosa più importante era arrivare prima degli altri, essere il primo a ottenere, vincere o afferrare con un vero e proprio colpo di mano. L’idea, insomma, era primerear sempre e a ogni costo.
Primerear dunque, non è mai stato un neologismo virtuoso in quanto implicava “fregare” l’altro, prendere l’iniziativa per primo o prima che l’altro se ne renda conto.
C’è un detto molto popolare nella zona del Río de la Plata (il fiume su cui si affaccia la città e con il quale la si identifica molto spesso): «Chi picchia per primo, picchia due volte». Questo termine, primerear, tuttora “selvatico”, cioè non addomesticato dai dizionari, s’intrufola anche oggi tra le righe dei giornali: leggendo una cronaca ci si può imbattere in una frase del tipo: «Sentendosi offeso estrasse per primo [lo primereó con] il coltello».
Da tutto questo si deduce che primerear non è un’azione positiva, bensì tutto il contrario. O per lo meno così è stato prima di Papa Bergoglio. La gente delle villas — i quartieri più poveri e violenti di Buenos Aires — conosce perfettamente il significato e l’uso di questa parola. Per questo, quando si sono sentiti dire da un prete che «occorre primerear» il peccato con la Grazia», hanno capito immediatamente. Lo hanno capito perché parlava il loro linguaggio, sapeva che loro dovevano primerear la droga, la mancanza di opportunità di lavoro, la marginalità, e non sempre ci riuscivano.
Il verbo esprime un’azione che non è diversa dalla vecchia lotta fra la virtù e il peccato. Torna l’idea della fede come militanza basata sul concetto di lotta permanente tra il bene e il male. Che sia fra quelli che vanno a chiedere o a ringraziare san Cayetano (san Gaetano da Thiene, patrono in Argentina del pane e del lavoro, che ogni 7 agosto convoca migliaia di pellegrini poveri e disoccupati nella sua basilica) piuttosto che fra gli emarginati della villa chiamata soltanto coi numeri del catasto: 11-14 , oppure tra i dimenticati del Borda (il manicomio di Buenos Aires), il soldato Bergoglio della compagnia di sant’Ignazio li chiamava a lottare, a primerear il peccato, a “fregarlo”, a “scavalcare” l’ingiustizia. E in tanti scoprivano nelle sue parole che avevano ancora qualcosa per cui lottare.
Ma l’espressione primerear Papa Francesco l’ha anche pronunciata davanti alla affollatissima vigilia di Pentecoste coi membri dei movimenti ecclesiali il 18 maggio. Questa volta però non si riferiva ai credenti ma a Dio stesso: «Ci diciamo che dobbiamo cercare Dio, ma quando noi andiamo verso di Lui, Lui ci sta già aspettando. Lui è già lì e, userò un’espressione che usiamo in Argentina: il Signor ci primerea, ci anticipa, ci sta aspettando: pecchi e lui ti sta aspettando per perdonarti. Lui ci aspetta per accoglierci, per darci il suo amore, e ogni volta la fede cresce. Qualcuno preferirebbe studiarla, è importante, ma quello che è più importante è l’incontro con Dio perché è Lui che ci da la fede».
L'Osservatore Romano

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“la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
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