martedì 27 agosto 2013

Il sogno di Martin Luther King




Cinquant’anni dopo, le parole «I have a dream» dello storico discorso a Washington continuano ad essere vive. 

I cinquant’anni del grido I have a dream di Martin Luther King vengono ricordati dal cardinale arcivescovo di Washington in unarticolo pubblicato sul «National Catholic Reporter», il cui testo integrale in inglese e in una traduzione italiana può essere letto sul sito www.osservatoreromano.va.
(Donald William Wuerl) I manifestanti, circa un milione, provenivano da tutti gli Stati Uniti e da ogni angolo di Washington. In quella indimenticabile giornata del 28 agosto 1963, i partecipanti alla marcia ascoltarono le storiche parole del reverendo Martin Luther King Jr.: «Ho un sogno».
Questo sogno continua a essere vivo anche dopo cinquant’anni. La maestosa statua di King, nel nuovo memoriale a Washington, ci ricorda il suo imponente impegno nel guidare la nostra nazione verso la piena consapevolezza dell’uguaglianza di tutte le persone dinanzi a Dio. Il suo sogno, profondamente radicato nella preghiera e nella sacra Scrittura, continua a incoraggiarci a vederci gli uni gli altri come fratelli e sorelle, figli dello stesso Dio amorevole.
E rivolgendosi alla folla proveniente da ambienti, esperienze di vita e tradizioni religiose diverse, King aggiunse: «Non possiamo camminare soli». Con lui, nel Lincoln Memorial, c’era monsignor Patrick O’Boyle, mio predecessore come arcivescovo di Washington, che pronunciò l’invocazione, pregando affinché «gli ideali della libertà, benedetti sia dalla nostra fede, sia dalla nostra eredità democratica, prevalgano nel Paese».
O’Boyle aveva incoraggiato i gruppi cattolici locali, le parrocchie e le università a partecipare alla marcia, offrendo ospitalità a quanti venivano da fuori e facendo sfilare striscioni con i nomi delle rispettive parrocchie e organizzazioni. Impegnarsi per la giustizia razziale e sociale era naturale per O’ Boyle, creato cardinale nel 1967. Poco dopo aver ricevuto il pastorale come primo arcivescovo residenziale di Washington nel 1948, aveva iniziato a lavorare per l’integrazione nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche, molti anni prima che la sentenza della Corte Suprema Brown v. Board of Education (1954) dichiarasse illegali le strutture educative segregazioniste. Si unì anche ai leader religiosi della città domandando uguali opportunità in tema di alloggi, lavoro e istruzione pubblica. Al concilio Vaticano II esortò i padri conciliari a emanare una esplicita dichiarazione di condanna verso i pregiudizi razziali.
Nel suo discorso, King lanciò un fervido appello affinché fosse costruita una società giusta per i bambini di tutte le razze e di ogni ambiente. «Ora è il momento di fare della giustizia una realtà per tutti i figli di Dio», disse esortando la folla e l’America tutta. Come persone di fede e come americani non possiamo restare indolenti o compiacenti quando ci troviamo dinanzi al peccato del razzismo o a qualsiasi forma di ingiustizia.
Rendiamo onore alle eredità di King e di O’Boyle proseguendo il loro lavoro. Un impegno questo che oggi implica anche fornire opportunità educative a tutti i bambini, e in particolare a quelli che altrimenti sarebbero destinati a scuole troppo spesso definite “scarse”. Le 96 scuole cattoliche nell’arcidiocesi di Washington servono quasi 30.000 bambini della capitale e del Maryland. Molti di questi studenti appartengono alle minoranze e non sono cattolici. Per il prossimo anno accademico 2013-2014 l’arcidiocesi ha stanziato 5,5 milioni di dollari quale contributo alle tasse scolastiche, cifra che è quasi sestuplicata negli ultimi anni.
Come arcivescovo di Washington, sono stato testimone del sogno di King di vedere gli americani pregare e marciare insieme per la giustizia. Ogni anno, durante le marce, i raduni e le messe per la vita, centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il Paese si riuniscono per pregare e marciare insieme in difesa della dignità della vita umana in ogni sua fase.
La nostra fede non potrà mai essere relegata a quell’ora in chiesa la domenica. Come ci ha invitato a fare Papa Francesco, dobbiamo “uscire” e portare l’amore e la speranza di Cristo alle nostre comunità e al mondo. È per questo che i programmi delle Catholic Charities e gli ospedali cattolici continuano a portare l’amore e la speranza di Cristo a tutti coloro che ne hanno bisogno, a prescindere da razza, religione, sesso, nazionalità o orientamento sessuale. Per questo dobbiamo continuare a sostenere la dignità della vita umana, la libertà religiosa e la giustizia per gli immigrati. La nuova enciclica del nostro Papa, Lumen fidei, ci ricorda che la fede è la luce che dovrebbe guidare la nostra vita. Certamente lo è stata per King.
Parlando dai gradini dell’Islamic Center a Washington durante un incontro interconfessionale nel 2006, ho invitato le persone ad affidarsi alla luce della loro fede per dissipare il buio, le paure e l’odio nel mondo, e a costruire insieme ponti di solidarietà e di pace. È questa l’unità che King non solo ha sognato, ma che ha creduto sarebbe diventata realtà.
«Con questa fede potremo trasformare il suono dissonante della nostra nazione in una armoniosa sinfonia di fraternità», disse. Verrà il giorno «in cui tutti i figli di Dio, uomo negro e uomo bianco, ebreo e cristiano, protestante e cattolico, potremo unire le nostre mani a cantare le parole del vecchio spiritual Negro: Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio onnipotente, siamo finalmente liberi».
L'Osservatore Romano