venerdì 23 agosto 2013

W Papa Francesco



Il  tweet di Papa Francesco: "Signore, insegnaci a uscire da noi stessi. Insegnaci a uscire nelle strade e manifestare il tuo amore(23 agosto 2013)

*

Questo articolo è la prefazione di Monsignor Luigi Negri* al libro "W Papa Francesco", di Vincenzo Sansonetti, (Mimep Docete 2013, in vendita con CD)
Quando dal comignolo della Cappella Sistina, la sera del 13 marzo, è uscita la fumata bianca, mi son detto: «È fatta!». Dopo il disagio iniziale per l’inaspettata rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino, l’elezione del cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio è stato un evento di forte impatto emotivo. Il nuovo Papa, per come lo possiamo giudicare dalle prime settimane di pontificato, dalle sue parole, dai suoi gesti, è un uomo di grande fede e di grande carità, e lo dimostra la circostanza che già la mattina dopo il voto che l’ha portato sulla cattedra di Pietro si è recato a ringraziare la Vergine nella basilica di Santa Maria Maggiore. Francesco si è presentato a tutti noi in maniera molto semplice e diretta e si è subito affidato alla preghiera, ricordando papa Ratzinger. «Cari fratelli e sorelle, buonasera» sono state le sue prime parole. Si è rivolto ai romani e a tutti quelli che lo stavano guardando quasi come un parroco, pur essendo a capo della Chiesa Cattolica.

Non manca chi – soprattutto tra gli intellettuali e nei mass media – chiede la «svolta» del Papa «progressista». Ma questa è una aspettativa, una pretesa di carattere ideologico espressa da coloro che ragionano con la mentalità del mondo. Da quello che si è potuto vedere, emerge che Francesco ha la volontà di caratterizzare pastoralmente la conduzione della Chiesa universale, di guidarla nell’unità e nella comunione, con misericordia, senza rinunciare tuttavia alla fermezza sul piano dottrinale. La trama di indiscriminato e acritico consenso che lo accompagna dal giorno dell’elezione, crollerà via via che dirà cose che la mentalità massmediatica dominante giudica indigeribili.

Più di uno si è stupito perché si è definito semplicemente «vescovo di Roma». L’ha fatto per sottolineare il valore del legame con la sua diocesi. Al contempo, però, sa che il suo compito è essere la guida di tutta la Chiesa cattolica. Penso sia questo il senso della citazione delle parole di sant’Ignazio di Antiochia, secondo cui il vescovo di Roma «presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre».

Che cosa dovrà affrontare papa Bergoglio? Ciò che lo attende è non solo una sfida religiosa, ma di governo. Dovrà guidare la Chiesa a quell’unità di cui parla sant’Ignazio, traducendo la sua missione in termini operativi. In particolare, proprio in questo momento storico abbiamo bisogno di una comunione vera e di una guida sicura. Se non c’è la comunione, come ha osservato papa Ratzinger, «entra la politica», e allora la Chiesa si fa dominare da ragionamenti che hanno poco a che fare con Cristo.

Penso che Francesco compirà gesti diversi e nuovi, che andranno ben al di là della sobrietà nel vestire, della rinuncia ai simboli del potere o della preferenza per un appartamento più modesto. La stessa scelta per la povertà non va letta con gli occhi della sociologia o della politica. La responsabilità nel condividere la situazione dei poveri come dato storico è conseguenza della radicalità della fede in Cristo: la povertà, cioè, è vista e vissuta come spazio significativo della presenza e dell’azione cristiana. Bergoglio è certamente condizionato dalla sua storia personale, la provenienza da un continente dove la miseria ha assunto dimensioni spaventose. Ma non credo che la Chiesa possa perdere la sua centralità avendo ora un Papa latinoamericano perché, come afferma san Paolo: «Non c’è più né greco né barbaro». La fede unisce tutti e tutto serve all’unità della Chiesa, per esprimere quella tipicità ecclesiale e umana che la caratterizza.
Da noi qualche anno fa il cardinale Giacomo Biffi, oggi arcivescovo emerito di Bologna, definiva la società occidentale e italiana «sazia e disperata»: forse con la crisi economica che ci colpisce duramente è meno vero, almeno per molti, che sia sazia. Ma la nostra «povertà» è principalmente una povertà culturale e spirituale. Il compito di papa Francesco sarà soprattutto quello di colmare questo tipo di povertà più profonda, di superare i motivi di disperazione offrendo la verità di Cristo, che solo libera l’uomo e lo indirizza al suo destino, alla salvezza.

Seguo questo Papa con una volontà totale di obbedienza, nel desiderio di una immedesimazione completa in lui. Bergoglio mi ricorda la serena baldanza con cui, quasi 60 anni fa, don Luigi Giussani varcava la soglia del liceo Berchet di Milano, da dove prese l’avvio la grande avventura umana e cristiana che dal 1957 mi vede coinvolto: lieto, partecipe e testimone.
*arcivescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa.