lunedì 19 agosto 2013

Con lo stile del gesuita




A un anno dalla morte. Il 31 agosto dello scorso anno moriva il cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, insigne biblista, uomo del dialogo tra le religioni e dal 1979 al 2002 arcivescovo di Milano. In ricordo della sua testimonianza pubblichiamo la prefazione del vescovo di Pavia al libro di Enrico Impalà Vita del cardinal Martini. Il bosco e il mendicante (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 262, euro 15) e alcuni brani dell’editoriale dell’ultimo numero della rivista «Terrasanta».
(Giovanni Giudici) È opinione corrente che personalità note e ammirate, viste dai loro diretti collaboratori, perdano l’aureola di fascino a causa della sempre prosaica invadenza del quotidiano. Per quanto mi riguarda, l’esperienza di vivere più di dieci anni a contatto diretto con Martini non ha prodotto in me questa sorta di riduzione della stima e dell’affetto.
Anzi, la stretta collaborazione dell’arcivescovo con me, suo vicario generale, e la vita comune con lui, fatta di appuntamenti giornalieri di lavoro, di preghiera, di condivisione del pranzo, e spesso della cena, sono state altrettante occasioni per sperimentare la gioia di conoscere una persona umanamente ricca, spiritualmente viva, e dunque di sentir crescere il rispetto per lui e per il suo cammino di cristiano.
Posso persino affermare che la stretta vicinanza con il cardinale Martini ha prodotto in me un cambiamento nel modo di guardare la realtà e la comunità cristiana; ho imparato a valutare in maniera nuova le modalità con cui si serve una comunità cristiana e si operano le scelte pastorali. E il tutto è avvenuto non tanto per una imitazione o per una sorta di conformismo che può nascere dall’obbedienza, ma piuttosto dalla possibilità di istituire un rapporto dialogico con una persona aperta e trasparente, disposta ad ascoltare seriamente, e a manifestare con semplicità il proprio modo di pensare. È con queste modalità che il cardinale ha fatto scuola come maestro spirituale e pastore. Non per me soltanto, del resto egli è stato un maestro.
Nel presentare questa biografia voglio semplicemente dare una personale testimonianza dell’utilità del lavoro fatto dall’autore. Egli ha raccolto dati, documenti, dialoghi e riflessioni personali. Questa sua fatica è preziosa perché la conoscenza dello stile di vita e del magistero del cardinale Martini è importante che rimanga nel tempo e raggiunga quante più persone possibile: si tratta di una ricchezza che va condivisa.
Nel suo agire e nel vivere l’autorità vi sono aspetti evangelici; a esempio ho sempre visto nel suo modo di agire un grande rispetto per le persone, la loro individualità, le loro scelte di dedizione: egli riusciva a riconoscere in esse l’opera dello Spirito, e anche persone che vengono qualificate come “difficili” trovavano in lui attenzione, e a loro dedicava tempo ed energie. Si tratta di una dimensione che ci auguriamo permanente nel vivere l’autorità nella Chiesa. La sua opera e la sua parola per la vita della società erano indirizzate alle ragioni alte della giustizia e della pace; e il suo interesse per lo sviluppo di ogni persona e per il rispetto della sua dignità non era solo il tributo da pagare a un principio astratto, anche se encomiabile. Lo si vedeva dal tratto umano rispettoso non solo per ogni causa che aveva a che fare con la libertà e la dignità umana, ma anche per le persone concrete, che incontrava sempre con gentilezza; ed esse avvertivano in lui una affabilità attenta e disponibile, anche se connotata da una gentile riservatezza che era propria del suo carattere. Questi aspetti cui ho brevemente accennato, ritengo non fossero estranei alla sua formazione di biblista e di pastore innamorato del Signore. Egli si era lasciato plasmare dalla Parola di Dio, ed essa era divenuta radice e sfondo della stessa modalità con cui guardava le persone e gli avvenimenti, cercando di riconoscere in tutti e in tutto l’opera dello Spirito, e di dare testimonianza della presenza del Signore.
Carlo Maria Martini è stato punto di riferimento per una grande città come Milano; ha segnato uno stile di Chiesa per il nostro Paese, era amato dai preti e dai laici; tuttavia rimaneva pur sempre un piemontese rispettoso dell’altro, con lo stile di vita di un religioso gesuita, con la curiosità intellettuale tipica di uomo di ricerca, e che era stato dedito a studi severi. Posto alla guida della diocesi di sant’Ambrogio e di san Carlo, ha saputo essere coraggioso nelle iniziative pastorali, rigoroso nella proposta spirituale, e in pari tempo padre sollecito, un fratello maggiore, un signore amabile e accogliente. Con questa semplicità di uomo tra gli uomini, prima e più dell’eminente studioso e pastore di fama mondiale, ha saputo condividere la condizione comune di credenti e non credenti, su tutti i fronti della sua personalità e del suo ministero.
A partire dallo studio e dalla meditazione, e dalla predicazione della Parola, tutto il suo magistero e la sua azione pastorale erano riconducibili a un solo fine: educare i cristiani alla familiarità con la Parola, e mostrare di essa, ai non credenti, la portata e la sapienza umana. A partire da questa persuasione, il cardinale ha saputo sempre vivere con uno sguardo sereno e fiducioso la vita della società e della Chiesa. Posso anche testimoniare che ciò si coniugava con una capacità di lettura realistica, talvolta addirittura fortemente critica della realtà. Il suo sguardo sulla comunità cristiana e la sua opera andavano nella direzione di privilegiare una Chiesa libera perché sciolta da schemi ideologici, da angusti orizzonti di utilitarismo o di efficienza, da condizionamenti e da volontà di potere o di apparire.
Una ultima cosa voglio annotare: Carlo Maria in una occasione fece cenno a come egli, allievo diciassettenne del collegio dei gesuiti di Torino, scelse di dedicarsi del tutto a Dio. Mi piace dunque immaginarmelo, in quel preciso momento della sua vita, uscire dalla bella casa di un industriale della lana della Torino degli anni Trenta del Novecento, per entrare nella Compagnia di Gesù, per essere solo un religioso come gli altri. Vivendo con lui per più di dieci anni mi sono persuaso che egli sia stato fedele a quel suo primo amore, e abbia saputo dire fino alla fine, con la parola e ancor più con la sua sofferta morte: io sono di Dio, la mia vita è sua.
L'Osservatore Romano

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Carlo Maria Martini: Una ricchezza per i cristiani di Terra Santa

(Giuseppe Caffulli) Nell’unirsi in preghiera ai fedeli della diocesi di Milano e ai tantissimi cattolici, italiani e non, che vedevano nell’insegnamento dell’arcivesco emerito della città di Ambrogio un punto di riferimento, il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, scriveva: «Aveva scelto un modo discreto, senza ingerenza nelle attività e nella vita della diocesi. Nonostante una fama mondiale, evitava di toccare gli aspetti politici della Terra Santa, preferendo consacrare il suo tempo alla preghiera, ai ritiri spirituali e agli studi di esegesi biblica». Al termine del suo magistero episcopale a Milano, Martini aveva potuto realizzare il suo sogno di dimorare a Gerusalemme. Una scelta di vita che avrebbe voluto definitiva, e che invece dovette rivedere — a causa delle sue problematiche condizioni di salute — proprio negli ultimi anni, ubbidendo alle sollecitazioni dei medici e dei confratelli gesuiti.
Ma a Gerusalemme non è certo scolorito il suo ricordo. Sono moltissimi coloro che rammentano il suo amore per la Parola di Dio, che aveva condiviso in occasione di incontri e di conferenze, e in occasione di un corso di esercizi spirituali per sacerdoti del patriarcato a Beit Jala, vicino a Betlemme. In quella occasione, il cardinale offrì ai sacerdoti alcuni spunti che sono vere e proprie regole di vita per ogni credente. Indicazioni utili per raggiungere quell’«unità» tra mente, cuore e anima che è la meta di ogni vita di fede. Come prima regola: «In ogni cosa cercare Dio soltanto». E poi: non lavorare troppo, dormire a sufficienza, ridurre televisione e internet, riservare spazio al silenzio e alla preghiera. «Si tratta di unificare il nostro mondo inserendolo nel mondo di Dio, così da vedere le cose come Dio le vede. La Lectio divina ci fa entrare in quella Parola nella quale siamo stati creati e che contiene la definizione unitaria del mio essere». Scriveva ancora il patriarca Twal: «La sua presenza rappresentava una grande ricchezza per i cristiani di Terra Santa». Una eredità spirituale, aggiungiamo noi, che va custodita e consegnata alle generazioni future.
L'Osservatore Romano