mercoledì 18 dicembre 2013

Viene per educarci a vivere come fratelli




Carlo Maria Martini: Nell’Incarnazione il ripudio dell’egoismo e dei desideri mondani.

Verso la luce. S’intitola Verso la luce. Riflessioni sul Natale la raccolta di omelie e meditazioni, a cura di Sergio Reseghetti, tenute in occasioni delle festività natalizie dal cardinale gesuita Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, scomparso il 31 agosto 2012 (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 157, euro 9,90). Pubblichiamo stralci tratti dal capitolo intitolato «Rinnegare l’empietà e i desideri mondani».
(Carlo Maria Martini) Nella Lettera a Tito, che viene proclamata come seconda lettura del giorno di Natale nella liturgia ambrosiana, san Paolo scrive: «È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (2, 11-13).
Gesù viene quindi per insegnarci a rinnegare quelli che l’apostolo chiama “desideri mondani”, cioè quella gara a chi sa giocare di più il suo prossimo, a chi sa prevalere maggiormente su di lui, quella gara fondata sull’egoismo e sulla paura che sia l’altro per primo ad approfittare di noi. Gesù viene a insegnarci, a nome di Dio, un atteggiamento diverso, un atteggiamento che è quello della pietà, della pietas, del rapporto fiducioso del Figlio verso il Padre, rapporto che apre il cuore e che ci dispone alla fiducia gli uni verso gli altri.
Come queste parole suonano nuove alle nostre orecchie nel mondo di oggi! Sapersi accontentare perché si possa vivere con giustizia, perché sia dato a ciascuno il suo e ognuno non prevalga sull’altro spinto dall’egoismo. Gesù ci insegna, dice san Paolo, a vivere con sobrietà, con giustizia e con pietà, cioè con apertura piena ai rapporti di benevolenza e di amore. Natale si manifesta, così, come una festa anticonsumistica, una celebrazione che acquista il suo senso nell’umiltà e nella bontà. Gesù ci insegna questo nuovo modo di vita con la Sua stessa amabilità presente in mezzo a noi come bambino, ce lo insegna col dono del Suo Spirito che ci viene elargito, ce lo insegna attraverso la forza potente della Sua parola che ci trasforma, ce lo insegna infine attraverso la grazia dei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia che riceviamo, specialmente a Natale.
È un programma di vita nuova, di vita fraterna, quello che Gesù ci presenta con la Sua amabilità, con l’essere bambino tra noi. La nascita di Cristo ci insegna dunque a rinnegare l’empietà, la falsa conoscenza di Dio, ad aprirci alla vera conoscenza del Padre. Ci insegna anche a rinnegare i desideri mondani: cioè il potere, il successo, il denaro presi come scopo della vita, al di sopra della dignità umana; ci insegna, invece, a porli ben più in basso, a farne dei mezzi e, quindi, a utilizzarli soltanto in modo che aiutino a servire Dio e a servire l’uomo, a promuovere e a far promuovere la verità, la giustizia, la solidarietà, a vincere la fame, a sconfiggere la disoccupazione, a far crescere il tenore di vita, di amore, di comunione tra gli uomini. Ecco ciò che Gesù ci insegna: Egli ci educa a vivere da figli e da fratelli, ci svela la verità della nostra vita, ci mostra come dobbiamo credere e amare.
Un’ulteriore conclusione che si può trarre in proposito dall’avvenimento del Natale è in tal modo riassumibile: se Dio, in Gesù, si è così coinvolto con l’uomo da farsi come uno di noi, ne segue, secondo la parola stessa di Gesù, che qualunque cosa avremo fatto a uno dei più piccoli, l’abbiamo fatta a Lui («Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» Matteo, 25, 40). Chi avrà nutrito, vestito, accolto, uno dei più piccoli e più poveri tra gli uomini, avrà nutrito, accolto, amato lo stesso Figlio di Dio. Chi avrà respinto, ricacciato indietro, dimenticato, trascurato uno dei più piccoli e più poveri tra gli uomini, avrà respinto, ricacciato indietro, trascurato Dio stesso, lo stesso Figlio di Dio. O, allo stesso modo, per utilizzare le parole dell’apostolo Giovanni: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1 Giovanni, 4, 20-21). Ma la grotta di Betlemme, con la presenza amorosa di Maria e di Giuseppe che sono l’umanità in adorazione ammirata di Gesù, ci dice che non basta essere per i poveri, perché se vogliamo davvero essere con Gesù e raccogliere il segno della sua natività siamo chiamati a essere con i poveri, cioè entrare nell’animo, entrare nelle sofferenze, parteciparvi secondo quanto ci è dato in modi e condizioni diverse che dobbiamo ogni giorno ritrovare e reinventare.
L'Osservatore Romano