giovedì 1 ottobre 2015

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux



Appena do un’occhiata al Santo Vangelo,
subito respiro i profumi della vita di Gesù
e so da che parte correre… Non è al primo
posto, ma all’ultimo che mi slancio…
Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza
tutti i peccati che si possono commettere,
andrei, con il cuore spezzato dal pentimento,
a gettarmi tra le braccia di Gesù,
perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui.

Teresa di Lisieux





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 18,1-4
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.







"Gesù è sceso all'ultimo posto in terra per fare di ogni nostro posto il primo in Cielo"



Come fu per Santa Teresina di Lisieux, “le nostre immense aspirazioni sono”, anche per noi, “come un martirio”: ne nascono sempre di nuove, mentre la maggior parte di esse restano frustrate. Ma anche quando riusciamo a realizzarne una, proprio nel momento di maggior soddisfazione spunta la solita insoddisfazione a ricordarci che c’è sempre qualcuno di più grande che ha realizzato qualcosa di meglio. Eh sì, perché tutte le “immense aspirazioni”, in fondo, mirano all’unico obiettivo di diventare “i più grandi”. Come Lucifero, che diceva “in cuor suo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione, salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo”; e “invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!” (cfr. Is. 14,12-15). Vogliamo il primo posto, e ci ritroviamo all’ultimo; ci sforziamo per essere i più grandi, e ci scopriamo ogni volta più piccoli. C’è in noi un irrefrenabile desiderio di primeggiare destinato però a restare incompiuto perché orientato verso l'obiettivo sbagliato. Pensate ai tifosi di una squadra di calcio: conoscete qualcuno che tifi a perdere, sperando cioè che la propria compagine venga umiliata da quella avversaria? No di certo, anzi. Anche un “bambino” si adira e protesta quando vede negare un rigore sacrosanto ai propri beniamini. Può darsi che il padre lo abbia iniziato ad essere tifoso di quella squadra, ma quel pathos, quell’ira che arriva a spaccare qualsiasi cosa trovi davanti, è tutta farina del suo sacco, del peccato nel quale lo ha concepito sua madre... Il rifiuto drastico dell’umiliazione e del secondo posto fa il paio con le “immense aspirazioni” ad essere i più grandi; e ciò accade anche, e soprattutto, nei “bambini”, proprio quelli tra i quali Gesù ha chiamato a sé per parlare del Cielo. Ma se anche quel bambino è un superbo, che significano allora il gesto e le parole di Gesù? Per capire dobbiamo capovolgere completamente la direzione del nostro sguardo, come guardare il mondo sottosopra, dal basso verso l’alto. Provaci un momento, ora, mentre leggi... Se non ci convertiamo, infatti, non entreremo nel Regno dei Cieli; se cioè non cambiamo modo di pensare e guardare i fatti e le persone, cominciando da noi stessi, non ritroveremo mai la porta del Paradiso. Santa Teresina di Lisieux l’ha scoperta al fondo di se stessa, e per questo San Giovanni Paolo II l’ha dichiarata Dottore della Chiesa, invitando così tutti noi ad ascoltare la sua voce e guardare alla sua esperienza. Illuminata dalla Parola di Dio, Teresina aveva scoperto che l’unica via per entrare nel Regno dei Cieli era quella di sentirsi “chiamare a sé” da Gesù, come un bambino; sentirsi cioè amata così come era, piccola, capricciosa, sbadata, con aspirazioni immense, confuse però con i desideri della propria carne. Aveva capito che proprio nell’orgoglio di un bambino che lotta per diventare il primo tra i fratelli ad essere considerato dai genitori, a mangiare il gelato e ad avere le scarpe da ginnastica, si cela il desiderio santo di essere amato in modo speciale ed esclusivo da Dio. Per questo, esattamente come gli adulti, ottenuto il giocattolo che desiderava ardentemente, dopo averci giocato cinque minuti, un bambino lo lascia in un angolo, mosso da altri e nuovi desideri. Perché nulla ci può appagare se non il cuore del Padre nel quale essere accolti come i primogeniti.

Ma Lucifero ci ha ingannato con la sua luce di menzogna trascinandoci con lui, in un posto lontanissimo da nostro Padre, quello che è diventata la nostra casa, la famiglia, l’ufficio, la scuola, l’ospedale e il parco giochi. L’ultimo posto dove non sopportiamo vivere perché lì dentro, la luce sinistra di Lucifero ci fa sentire troppo piccoli e deboli per realizzare le nostre aspirazioni ed essere felici. Tutte le nostre sofferenze, infatti, sono in realtà delle frustrazioni generate dal fallimento (significato originale del termine ebraico “peccato”) della volontà di Dio su di noi, amare cioè nell’amore in cui ci ha creati. Ma Dio non ci ha abbandonato nella morte, e Teresina lo aveva sperimentato proprio laggiù, nel posto più irrilevante del Carmelo. Nel buio dell’infermeria, come nella solitudine delle scale da lavare o della cucina dove pelare le patate, aveva incontrato lo Sposo! L’ultimo posto, infatti, è quello dove è sceso Gesù, per riportare in Cielo chi in esso è caduto. Per amore si è umiliato, è diventato cioè un bambino, il più piccolo, per sedersi accanto a tutti noi, bambini piccoli che senza Dio passiamo da una frustrazione all’altra. Se Gesù è sceso all’ultimo posto vuol dire che quello è diventato il primo accanto a Dio! Ecco il segreto della piccola via scoperta da Teresina: il mondo capovolto, convertito a Dio dal suo stesso amore che ha fatto risplendere il Cielo nelle pozzanghere che sono le nostre esistenze. Quello che abbiamo sotto gli occhi nel mondo, le lotte che ci sfiancano ogni giorno per ottenere un posto davanti alla massa, è solo la parodia triste e tragica della realtà; la verità è la piccolezza fragile di un bambino, della creatura che dipende in tutto dal suo Creatore, amata proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. Teresa aveva sperimentato che Dio cerca, predilige e ama la piccolezza, la nostra realtà senza ipocrisie. Per questo, convertirci è cambiare verso allo sguardo del nostro cuore, “diventare come bambini” nel senso letterale di “tornare al principio”, riaccadere qui sulla terra nella storia di ogni giorno come una creazione che nasce dal pensiero originale di Dio su ciascuno di noi. Significa accettare la nostra piccolezza, come Teresa che ha aveva trovato il primo posto all’ultimo del convento, quello dove accogliere l’amore dello Sposo che ci fa grandi nel suo Regno. E’ il testacoda che redime l’uomo sedotto da Lucifero, il mistero dell’amore di Dio che può intuire e sperimentare come una primizia solo chi ha percorso un lungo cammino di umiliazione e verità nel grembo misericordioso della Chiesa. Come accadde a Dante al termine del “cammin di nostra vita”, quando, giunto nel Paradiso, contemplando l’immagine della “Luce etterna” di Dio, “dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige, per che ‘l mio viso in lei era tutto messo”; spiega Franco Nembrini: “dice Dante: quando ho fissato il cuore di Dio, l’intimità di Dio, la sua natura più profonda, laggiù ho visto un volto d’uomo… Ma a me piace pensare che voglia dire anche: ho riconosciuto in quel volto il mio. Ho visto lì la mia vera immagine, la mia vera identità”. Convertirsi è dunque fare l’esperienza di Dante nel Paradiso, quella che ha fatto Teresina nel posto dove, secondo il mondo, non c’è che frustrazione: mentre pelava le patate, o aiutava una suora anziana che la trattava male, o soffriva i dolori lancinanti della tubercolosi, nella tomba di ogni emozione, nel buio del silenzio di Dio, quella “bambina” pregustava il Cielo, si vedeva amata in Dio! Sapeva d’essere la più grande nel cuore di Dio, anche se Egli taceva e la lasciava senza consolazioni, perché quello era il posto dei peccatori dove lo Sposo era disceso per unirsi alla sua sposa. Lì, nel tuo e nel mio posto, l’ultimo perché vero, “già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”: in un letto d’ospedale, nella precarietà della missione, all’ultimo posto dove gli eventi ci umiliano e ci fanno bambini, l’Amore di Dio che muove l’universo, volge, “converte” a Dio il nostro desiderio, le “immense aspirazioni”, e la volontà perché si muovano in comunione con il Cielo, nello stesso amore con cui Dio riempie e dà vita a tutto. Coraggio, Gesù ti chiama a sé proprio perché bambino, e così, in quella pozzanghera che è questa giornata, che è la tua vita e quella di chi ti è accanto, saprai contemplare il Cielo che vi è voluto discendere in Cristo fatto carne della tua carne.