giovedì 1 ottobre 2015

Dove risuona la voce della Chiesa




Paolo VI e il Sinodo dei vescovi. 

(Leonardo Sapienza) Fin dall’inizio del Concilio Vaticano II si parlò spesso pubblicamente dell’istituzione di un consiglio, composto da rappresentanti di tutto l’episcopato, che fosse di aiuto al Papa nel governo della Chiesa universale.
Molti padri conciliari lo desideravano, e si adoperarono perché se ne trattasse nello schema del decreto sui doveri pastorali dei vescovi nella Chiesa.
Lo stesso Paolo VI manifestòٍ il suo pensiero sull’argomento poco dopo la sua elezione, dichiarando di non essere contrario al desiderio di quei padri; anzi intervenne alla congregazione generale del 15 settembre 1965, in cui cominciavano le votazioni per l’ultima approvazione dello stesso decreto, e vi promulgò il motu proprio Apostolica sollicitudo, con il quale si istituiva il Sinodo dei vescovi.
Lo scopo del Sinodo è chiaro: offrire all’episcopato cattolico lo strumento per prestare al Papa «una più efficace collaborazione» nel governo della Chiesa universale.
Il governo della Chiesa è stato sempre assai difficile, sia per la vastità geografica della Chiesa, sia per la diversità delle situazioni, sia, soprattutto, per la difficoltà di conoscere, per tenerne conto, le necessità e le esigenze locali e particolari; ma oggi le difficoltà sono molto aumentate, perché la Chiesa è molto cresciuta, e soprattutto perché da cultura dominante, come era nel passato quella occidentale, si è passati ad una impressionante pluralità di culture e di civiltà, nelle quali la Chiesa cerca di inserirsi organicamente.
Ciò ha fatto sì che le Chiese particolari, nazionali e continentali, assumessero una fisionomia propria ed avessero problemi propri e bisogni particolari, di cui il governo centrale non può non tenere conto.
Cosicché, se nel passato il Papa ha avuto sempre bisogno dell’aiuto dei vescovi per il governo della Chiesa, oggi tale bisogno è divenuto più grande e pressante.
Come soddisfare tale necessità?
Nel passato l’aiuto dato dall’episcopato al Papa, pur essendo notevole, era occasionale e disorganico, tanto da suscitare talvolta l’impressione che Roma non tenesse abbastanza conto dell’esperienza dei vescovi.
Oggi — ed è questa la novità fondamentale voluta da Paolo VI nell’istituzione del Sinodo — l’aiuto che l’episcopato dà al Papa non è più un fatto occasionale, perché vi provvede un organismo stabile.
Quanto ai vescovi, essi sono valorizzati nella loro funzione di capi e di rappresentanti delle conferenze episcopali, che in tal modo possono far sentire a Roma la propria voce, e contribuire al bene di tutta la Chiesa.
Nel passato, la Chiesa di Roma dava soltanto alle Chiese particolari, senza molto ricevere da esse; oggi dà e riceve, o meglio, dà dopo aver ricevuto: le ricchezze ed i carismi di tutte le Chiese vengono al centro, per essere ridonati e ridistribuiti alle Chiese particolari, ognuna delle quali in tal modo partecipa secondo i propri carismi alla crescita vitale di tutto il corpo di Cristo.
In tal modo il Sinodo diviene «un mistero di carità ecclesiale» ed un’espressione dell’amore che unisce interiormente la Chiesa, come era nelle intenzioni di Paolo VI.
Nel cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, è sembrato opportuno riproporre il magistero di Paolo VI su questo nuovo organismo che Papa Montini riteneva «pieno di speranza».
E la speranza non è stata delusa, perché da allora lo svolgimento delle sessioni sinodali ha contribuito ad una più profonda collaborazione tra le conferenze episcopali e il Papa.
Certo, restano ancora molti problemi urgenti, nuovi o antichi, e non è venuta meno la necessità di una parola ecclesiale fedele alla tradizione ma capace di essere compresa e vissuta oggi.
C’è e ci sarà sempre bisogno di dialogo, di confronto tra Chiese situate in contesti socio-politici differenti.
Ma proprio per questo è necessaria una Chiesa comunionale nella quale la sinodalità — cioè la capacità e la volontà di camminare insieme — si riveli la modalità quotidiana per cui tutti sono soggetti responsabili, secondo l’antico principio ecclesiale: «Su ciò che riguarda tutti, tutti devono essere ascoltati».
Si potrà dire che ancora molto resta da attuare del Vaticano II e della profetica idea del Sinodo: è inevitabile, dato che anche il Vangelo è sempre ben lungi dall’essere attuato pienamente, ma ciò che cinquant’anni fa è stato acceso come fuoco nel cuore dei credenti per ora arde e non pare in procinto di spegnersi.

L'Osservatore Romano