giovedì 19 marzo 2015

Sorprese dall’Africa




Convegno dei comboniani sul cammino del continente. 

(Pierluigi Natalia) Un’Africa che non ci si aspetta — se si è un cittadino occidentale medio e non, ovviamente, un missionario o uno che quel continente abbia al centro della propria vicenda professionale — è emersa dal convegno internazionale Africa in cammino organizzato nello scorso fine settimana a Roma dalle famiglie comboniane, maschile e femminile. L’occasione era il 150° anniversario della pubblicazione del Piano di rigenerazione dell’Africa di san Daniele Comboni.
Questo avrebbe potuto portare su un livello celebrativo l’incontro, che è stato invece propositivo e che ha indagato più le cose da fare che le cose fatte. Il convegno si è focalizzato non solo sulla politica o sull’ecclesialità, ma anche sull’arte e la cultura. Film, spettacoli teatri e mostre hanno favorito un’attenzione costante sulle società civili africane, sostenute spesso dall’energia delle loro giovani Chiese. Una sintesi degli scopi del convegno è offerta fin dall’immagine scelta per la locandina: una donna giovane, composta, di bellezza naturale, che guarda determinata al futuro.
L’intuizione profetica del piano di Comboni — «la conversione dell’Africa per mezzo dell’Africa» — non ha certo avuto piena realizzazione in questo secolo e mezzo. Tuttavia ha lasciato tracce significative in tutti i processi storici, dal colonialismo alla nascita degli Stati indipendenti, dai conflitti etnici all’ingerenza occidentale; dal recente ingresso nello scenario africano di nuove potenze geopolitiche, si pensi alla Cina, alle primavere arabe. E un ruolo importante questa impostazione è chiamata ad avere oggi su questioni di stringente attualità, dalle migrazioni alla cooperazione allo sviluppo.
L’impulso a rinverdire e arricchire una testimonianza di primato dell’uomo, prima ancora che confessionale, ha segnato in pratica tutti gli interventi al convegno, a partire dalla relazione del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Sulla stessa linea si sono mossi, per citare solo alcuni dei principali relatori, Samia Nkrumah, leader politica ghanese figlia del primo presidente del Paese, Kwame Nkrumah, Martin N’Kafu Nkemnkia, teologo alla pontificia università Lateranense, Cleophas Adrien Dioma, direttore del Festival dell’ottobre africano. E questa linea ha improntato anche l’omelia del cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, alla messa di domenica 15 marzo.
Il convegno ha messo in luce l’azione di promozione umana condotta dai missionari e dalle Chiese locali e il loro ruolo nella fioritura di una coscienza che traduce il solidarismo delle società tradizionali africane in determinazione a lottare contro l’esclusione che crea miseria.
Ne è emersa, ancor di più, la necessità di superare un racconto fatto solo di conflitti, stragi, epidemie abituale in tanti analisti — spesso presunti esperti — che sull’Africa esprimono opinioni e rinnovano luoghi comuni più di quanto studino la realtà. È vero che molto giornalismo occidentale ha perso la capacità di indagine e di approfondimento, ma è vero altresì — ed è stato sottolineato — che l’Africa non sa comunicare a sufficienza se stessa oltre gli aspetti negativi macroscopici.
A questo riguardo — sulla capacità cioè di raccontare la realtà — non è mancata un’autocritica sull’uso dei mezzi di comunicazione da parte delle realtà ecclesiali. La stampa cattolica e soprattutto missionaria ha certo una credibilità sull’Africa maggiore della gran parte dei media. Ma almeno finora si mostra incapace di fare sistema per sconfiggere quanto più possibile a livello globale i tanti stereotipi che sull’Africa si perpetuano. Coltivare i propri orticelli, sia pure ricchi di ottime verdure (e per inciso parlarsi soprattutto tra gente che già è d’accordo), non significa propriamente seminare verità nel mondo globalizzato.
L'Osservatore Romano