venerdì 8 gennaio 2016

Je suis SOTTOMESSA

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di Costanza Miriano  per IL FOGLIO 
Alla Francia si perdona tutto, se non altro in nome di Houellebecq, di Givenchy (ma la mente, Tisci, è italiano), di Santa Teresina e Giovanna e di moltissimo altro. Le si perdonano anche le testate sul petto (soprattutto se poi vinciamo). In più c’è da dire che non riesco a offendermi, ma anzi mi commuovo per questa cosa: attualmente ventiduemila Galli hanno firmato, in pochi giorni, una petizione per chiedere il ritiro dal mercato di due miei libri, Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei, appena usciti in Francia per i tipi di Le Centurion (sono consigli alle amiche sul matrimonio, sulla differenza tra noi e quell’essere di un’altra specie che ci troviamo nel letto, e sulla fatica di tenere insieme tutto). Una signora, come racconta il Figaro, ha deciso di chiedere al Segretario di Stato incaricata per i diritti delle donne, Pascale Boistard di vietarne la vendita. Lo considero un enorme biglietto di auguri di Natale, non ne ho mai ricevuto uno con così tante firme – puntano alle venticinquemila – al massimo forse ce n’erano una ventina sul regalo di compleanno dei compagni di classe. Che tante persone si interessino a me mi sembra davvero sproporzionato, emozionante che non si limitino a non comprare i miei libri – come fanno circa sei miliardi di persone nel mondo con la massima tranquillità – ma che si disturbino a firmare una petizione per impedire agli altri di farlo.
12193272_629831507155945_7762110138168038814_nMa prima di parlare della mia personalissima e irrilevante questione, due parole sulla censura. Non so come siano in merito le leggi nel paese che ha fatto della liberté il suo programma esistenziale, nel paese in cui c’è della gente che è morta per non smettere di pubblicare vignette offensive contro le divinità in cui crede un bel po’ di popolazione mondiale, nel paese in cui tutti sono Charlie. So che esiste l’allucinante fattispecie del reato di opinione, perché so che della gente è stata arrestata – ripeto arrestata – per avere indossato una felpa raffigurante un maschio e una femmina con dei bambini nei pressi di una manifestazione dell’orgoglio omosessuale. Il passaggio dalla figura di una famiglia all’offesa contro persone con tendenze omosessuali mi sfugge, ma magari se ci penso molto lo capisco. So anche di gente che è stata arrestata, cioè privata della libertà personale, perché distribuiva scarpine da neonato fuori dalle cliniche abortiste: questo turbava la libera scelta delle madri che andavano a uccidere i loro figli (evidentemente la scelta non era tanto libera se era possibile turbarla con delle scarpine di lana). So che è stata ostacolata la trasmissione di uno spot sulle persone con sindrome di Down, uno spot sul quale ho consumato decine di fazzolettini perché fa vedere ragazzi che dicono “mamma, non avere paura, anche io potrò essere felice, lavorare, fare dei viaggi, avere amici”. Ne è stata ridotta la diffusione per legge perché poteva turbare le madri che quei figli li avevano uccisi, anche se lo spot non toccava minimamente il tema aborto, né voleva in alcun modo essere un atto di accusa contro chi non ce l’aveva fatta a far nascere un bambino con la sindrome di Down. So, infine, che esiste il reato di omofobia, praticamente una contraddizione in termini, perché prevedrebbe che una psicopolizia controllasse se tu hai paura di qualcosa, e nel caso ti sbatterebbe dentro. In realtà l’omofobia è una parola inventata per dire una cosa che non esiste, e la legge è stata fatta in Francia prima della Taubira, la legge sul mariage pour tous, proprio per impedire che si potesse dire pubblicamente che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, e che i figli non si possono comprare, e che il gigantesco giro di affari dell’utero in affitto, stimato oggi nel mondo, a spanne, in 5 miliardi di dollari, è un crimine contro l’umanità. Lo denunciano anche le femministe francesi, seguite alla buon’ora dalle nostre di Se non ora quando? (magari qualche annetto fa, no? Miriam Mafai lo scriveva nel 1997).
Non so come si dica libertà dei miei stivali in francese, ma mi pare evidente dunque che in Francia stiano messi molto peggio di noi sul fronte della libera opinione. In realtà c’è una sorta di isteria collettiva, un sacro furore, ma solo verso tutto ciò che rimandi al senso del limite, tutto quello che denunci, con il suo solo esistere, che “l’uscita dell’uomo dal suo stato di minorità” (ovviamente la definizione kantiana è scelta da Wikipedia come incipit alla voce sull’illuminismo, ed è per questo che se i miei figli fanno le ricerche copiando da lì, come quasi tutti gli scolari del globo, li minaccio di spaccar loro le falangi in modo che non possano più usare il mouse) è in realtà una gigantesca balla, perché l’uomo di limiti ne ha, e molti. A cominciare dal fatto che, per quanto ci si ingegni in laboratorio, sempre un maschio e una femmina servono per generare una persona, per proseguire col fatto che si nasce senza chiederlo, e quasi sempre si muore anche senza chiederlo, passando per molti altri limiti genetici, economici e culturali. La notizia che l’uomo non sia Dio disturba moltissimo, non solo i francesi a onor del vero, e con questi limiti dobbiamo fare i conti tutti.12208478_629831510489278_7624209037579590040_n
In Spagna comunque avevano fatto di meglio: il ministro della sanità e delle pari opportunità Ana Mato mi ha denunciata alla Procura generale, chiedendo anche lì il ritiro del libro perché inciterebbe alla violenza sulle donne. Ogni volta che sono un po’ triste penso al giudice che, alla ricerca di reati, si è dovuto sorbire le storie dei vomiti e dei pannolini dei miei figli, le vicende matrimoniali delle mie amiche, e mi torna subito il buon umore. Ovviamente la denuncia è stata archiviata e chi ha letto il libro sa perché (non c’è manco una vaga ombra di invito a sopportare eventuali violenze, e, ogni volta che qualche donna si è confidata con me in merito, ho sempre detto, per quel poco che ne posso sapere, che la prima cosa da fare è abbandonare il tetto coniugale, per cercare di recuperare una relazione sana). Agli spagnoli però ho sempre dato l’attenuante del fatto che lì all’inizio era uscito solo il primo libro, quello sulla sottomissione femminile, non il secondo che invita gli uomini a morire per le spose. In Francia invece sono usciti insieme, e mi sembra che la sorte dei maschi (secondo San Paolo) non sia più rosea di quella delle femmine. Ma l’idea di morire è meno urticante per l’uomo moderno dell’idea di obbedire a qualcosa. Allora, esattamente, qual è il punto? Cosa mi rimproverano?
Secondo la petizione è nauseabonda e degradante l’affermazione che le donne siano “chiamate in modo particolare a custodire la vita”. Queste orribili, offensive parole le ho prese non ricordo più se da Edith Stein o dalla Mulieris dignitatem, comunque da alcune tra le pagine più belle e gratificanti per noi donne che siano mai state scritte. Secondo i firmatari questa è una minaccia alla libera gestione del corpo femminile, alle libertà sessuali, “alle nostre identità plurali” (? Oddio, io spero di non essere plurale, faccio fatica già a sopportare una sola me stessa), un ritorno al patriarcato e una regressione intollerabile.
I libri, come si è detto all’inizio, basta non comprarli, o non leggerli se ce li regala una vecchia zia che non conosce i nostri gusti. Ma io credo che qui ci sia di più. La questione identitaria femminile qui in Occidente (altrove la storia è diversa) è centrale perché, nonostante tutta la retorica del vittimismo femminile (che anche la francese Badinter ha smascherato) noi abbiamo un potere enorme sulle relazioni, e sugli uomini, e il livello spirituale e morale di un’epoca siamo noi a determinarlo. Innanzitutto abbiamo questo incredibile privilegio di portare la vita e darla alla luce (che ci sarà mai di offensivo?), e ci stiamo rinunciando (le francesi sono messe leggermente meglio di noi a tasso di natalità, comunque sui due figli a testa, cioè crescita zero. Noi invece siamo a tassi di estinzione, ultime al mondo con le giapponesi).
Ci sarebbe da scrivere pezzi lunghi come lenzuola sul perché ci stiamo rinunciando, su quanto ci abbia lasciate infelici e sole la liberazione sessuale, sulla balla che si possa avere tutto, che è quello che ci hanno detto le nostre madri, zie, nonne quando ci incitavano a studiare per prenderci il nostro posto nel mondo. Hanno omesso di dire che alla maggior parte di noi il lavoro di cura sarebbe piaciuto enormemente. Leggevo poco fa anche l’intervista a Giulia Bongiorno (chiusa in bagno, l’unico luogo nel quale mi sento moralmente autorizzata a leggere i femminili con la prole in casa, perché il tempo del lavaggio denti non mi può essere tecnicamente computato come perso), nella quale si rammaricava di avere fatto un solo figlio e di averlo fatto a 44 anni. Invitava le ragazze a fare figli prima dei trenta. È sempre così, le professioniste che quasi fuori tempo massimo incontrano la maternità se ne innamorano perdutamente. Lei dice “la considero una mia sconfitta” e io vorrei baciarla in fronte per questa onestà intellettuale (su molte altre conclusioni poi non concordo con lei).
Sull’amplissimo tema della conciliazione mi limito a dire che a difendere strenuamente i diritti alle quote rosa e ai cda sono sempre solo professioniste che fanno come me lavori gratificanti e tutto sommato ben retribuiti. Guarda caso non ci sono le mie amiche commesse, parrucchiere, segretarie, impiegate. Quelle che hanno venti giorni di ferie all’anno, e saltano recite e pediatre con enormi sensi di colpa, e aspettano per anni, sì, per anni, la possibilità di invitare un’amichetta della figlia a pranzo, e non osano certo fare più di uno o due figli perché già così vivono con un enorme continuo dispiacere. Loro starebbero volentieri a tirar su bambini, a prendere tè con le amiche, a farsi una corsa, un viaggio, a vedere che so una mostra o a leggere un libro con la luce del sole invece che alle tre di notte, solo che non possono perché ci hanno rubato uno stipendio e si sono presi due lavoratori – uomo e donna – al prezzo di uno.
Ma credo che dietro all’avversione a una certa idea di donna ci sia qualcosa di più profondo ancora. È l’idea stessa di essere umano in questione. Noi cattolici non crediamo al mito illuminista del buon selvaggio, ma pensiamo che nell’uomo stesso ci sia qualcosa che non va, una ferita, qualcosa da guarire, da aggiustare. La specifica ferita femminile sta nella sua grande fragilità: che tenerezza gli elenchi dei buoni propositi sui femminili “da oggi penso a me stessa”, “imparo a dire di no”, “mi compro una borsa”. (Bisognerebbe in effetti rammentare che quelli sono giornali fatti per far vendere roba). E la tentazione femminile per eccellenza è quella di usare il suo enorme potere sul maschio in modo seduttivo, per manipolarlo e controllarlo, e quindi per averlo accanto a sé, per il suo bisogno di essere amata che nessuna quota rosa potrà mai cancellare. (Ne ho conosciute tante di donne affermate agli occhi del mondo, e mai nessuna di loro mi ha dato l’idea di essere priva di questa fragilità, del bisogno dello sguardo e del riconoscimento).
Le donne di oggi, che vivono la sessualità liberamente, che rifiutano o almeno rimandano la maternità, sono tendenzialmente infelici e dopo una certa età anche parecchio scombinate, perché quello che desidera ogni donna è una relazione gratificante, stabile ed esclusiva con un uomo, e dei figli, che soddisfino il suo bisogno di dare e che la guariscano dalle sue ferite. Siamo rimaste sole, con pochi figli e spesso nessun uomo perché abbiamo smesso di essere accoglienti, nutrite come siamo di film e libri e giornali che invitano a una falsa indipendenza (nessuno di noi è indipendente, ed è così bello ammettere di dipendere dall’amore degli altri, o per gli uomini dal riconoscimento del proprio saper fare). Se il fatto che si dica questa cosa, che si ricordi alle donne il loro bisogno, dà tanto fastidio, è perché è la verità. Sennò basterebbe non comprarli, i libri.
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Un 8 marzo controcorrente: esce il quarto libro di Costanza Miriano

di Luca Marcolivio

Si intitolerà Quando eravamo femmine ed uscirà, molto probabilmente, in una data simbolica: l’8 marzo. Edito da Sonzogno, il quarto libro di Costanza Miriano sarà articolato in una serie di lettere indirizzate alle sue due figlie femmine, proseguendo la riflessione della giornalista e scrittrice sul ‘ripensamento’ del ruolo della donna al giorno d’oggi.
Proprio mentre il nuovo volume è alle bozze conclusive, è ancora l’opera prima della Miriano a tornare alla ribalta delle cronache: in Francia, una petizione siglata da circa 20mila cittadini ha chiesto il ritiro dal commercio di Marie-toi et sois soumise (Sposati e sii sottomessa) e di Épouse-la et meurs pour elle (Sposala e muori per lei), entrambi recentemente tradotti e pubblicati da Le Centurion.
L’accusa? I due libri contraddirebbero i principi di uguaglianza tra i sessi, minacciando anche la laicità, così cara ai transalpini. “Nessuno è obbligato a comprare i miei libri - ha dichiarato la Miriano a ZENIT -. Non sono distribuiti nelle scuole come quelli sul gender, i quali, proprio per questo, sarebbe legittimo chiedere di ritirarli. I miei non sono nemmeno libri per bambini, quindi non c’è nemmeno alcuna mente in erba da difendere dalla propaganda...”.
Per tali motivi, la giornalista RAI ed opinionista ha definito l’accanimento contro i suoi scritti come qualcosa di “veramente assurdo” ed ha aggiunto: “Mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse quali sono i passi incriminati. Nella petizione mi si accusa di affermare che la donna ha una chiamata speciale a custodire la vita, il che, per me, è il miglior complimento che mi si possa fare…”.
Costanza, cosa c’è, quindi, al fondo di questa campagna transalpina contro i tuoi libri?
Mi pare ci sia un’isteria collettiva nei confronti di tutto ciò che richiama l’uomo e la donna al senso dell’essere creature, quindi, con l’unicità loro donata, con un ruolo legato alla propria identità sessuale; un’isteria collettiva contro tutto ciò che possa ricordare all’uomo che è figlio, che non è totalmente autodeterminato. La ‘grande’ laicité francese, infatti, si ferma di fronte alla difesa della fede: nel paese in cui si chiede di censurare il mio libro, oltretutto, si pubblicano vignette blasfeme ed anticristiane di Charlie Hebdo
Si sta dunque ripetendo quanto accadde due anni fa in Spagna, con Casate y sé sumisa?
Sì, c’è però una differenza e per me non è tanto piccola. Innanzitutto l’editore spagnolo era legato all’arcidiocesi di Granada, c’era un avallo quasi esplicito da parte della Chiesa, quindi è comprensibile che la cosa potesse essere percepita con fastidio da parte di qualcuno. La situazione francese è ben più paradossale, perché, non solo l’editore è laico, ma anche perché, mentre in Spagna era uscito solo Casate y sé sumisa, in Francia è uscito anche il corrispondente maschile, con il titolo Épouse-la et meurs pour elle, che invita gli uomini a “morire” per le loro spose e li esorta ad entrare in una dinamica di dono reciproco. È grave, quindi, che un editore laico non sia libero di pubblicare quello che vuole. Oltretutto stiamo parlando di due libri complementari e speculari.
Ritieni comunque che il caso si risolverà in un lieto fine, proprio come in Spagna?
Comunque vada, per me è solo pubblicità, non mi sento danneggiata, i veri cristiani perseguitati sono altri. Però, su un piano culturale, questo episodio lo trovo inquietante, così come trovo inquietanti, molte altre forme di censura della libertà di opinione come, ad esempio, gli arresti di coloro che pregano davanti alle cliniche abortiste.
È quasi pronto il tuo quarto libro. Quando sarà pubblicato e di cosa parlerà?
Ho appena consegnato le bozze finali alla casa editrice e contiamo di farlo uscire in una data simbolica: l’8 marzo. Il libro è strutturato in forma di lettere alle mie due figlie femmine, Lavinia e Livia, tornando allo schema del mio primo libro.
Il tema infatti sarà l’identità femminile, con una maturazione della mia riflessione in merito. Il titolo saràQuando eravamo femmine, che riecheggia When We Were Kings, il documentario su Cassius Clay, in cui il pugile riscopre la sua identità di nero e le sue radici etniche e religiose, andando in Africa. Ho scelto questo titolo, proprio perché noi donne dovremmo riscoprire la nostra identità e il nostro ruolo nella società. La donna ha il compito di spiegare all’uomo chi lui sia, di conferirgli, a sua volta, l’identità. Oggi molti uomini si sentono perduti come maschi, anche perché, come conseguenza della liberazione sessuale e dell’emancipazione, noi donne abbiamo perso la consapevolezza della nostra vocazione, della nostra grandezza e del fatto che siamo chiamate a custodire la vita.
Con questo non voglio dire che noi donne dobbiamo tornare a lavare i pavimenti dalla mattina alla sera ma, piuttosto, che dovremmo chiedere dei diritti diversi sul lavoro rispetto agli uomini. Abbiamo perso la consapevolezza che dobbiamo essere una guida per l’uomo. C’è poi un altro punto fondamentale: noi donne possiamo essere portatrici del bene come del male, essere “Maria” o “Eva”; abbiamo una grande potenzialità ed un grande potere… ai nostri grandi poteri, corrispondono grandi responsabilità, proprio come Spider Man! Abbiamo un’interiorità molto ricca e complessa: se mettiamo in moto una vita spirituale e poniamo questa interiorità in Dio, siamo capaci di diventare fonti di vita e di bene. Se, al contrario, noi obbediamo al nostro io interiore ‘squinternato’ e un po’ folle (quello che il mio padre spirituale chiama “la pazza di casa”), siamo capaci di grandi disastri e danni. Per la donna, più che per l’uomo, è urgente riscoprire il rapporto con Dio, trovare un cuore casto, nel senso che non chiede niente per sé ed è capace di essere oblativo.
Spero che i miei libri, come quelli di cari amici, come ad esempio Andrea Torquato Giovanoli, possano restituirci la consapevolezza che noi laici, nella nostra vita ordinaria, abbiamo cose importanti da dirci e possiamo farci coraggio a vicenda. Credo che, in fondo, tutto questo sia la vera novità del Concilio Vaticano II: una vita laicale ordinaria e semplice può rappresentare una strada per la santità.