martedì 26 gennaio 2016

Tuteliamo il dato antropologico della famiglia


Gandolfini
Tutelare il dato antropologico della famiglia fondata su uomo e donna ma anche promuoverla in tutti i modi possibili sostenendo in modo particolare i nuclei familiari più poveri. A quattro giorni dal grande raduno delle famiglie al Circo Massimo, il presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, Massimo Gandolfini, 64 anni, neuropsichiatra e neurochirurgo, sposato, padre di sette figli (tutti adottati) e nonno di sei nipoti, si è soffermato con ZENIT su tutte le principali finalità di una manifestazione che si annuncia epocale.
***
Quale è la finalità principale che si propone la manifestazione del 30 gennaio?
La manifestazione ha lo scopo di dare voce a chi non ha voce. Una grande piazza in cui la gente comune possa dichiarare apertamente il proprio sentimento: nessun antagonismo verso alcuna persona, nessun odio, nessuna guerra contro qualcuno, ma una ferma e lucida determinazione nel bloccare il ddl Cirinnà, progetto ingiusto, iniquo ed inutile, che gravemente ferisce la famiglia come la descrive l’articolo 29 della Costituzione.
Perchè ritiene importante estendere questo evento a tutti, a prescindere dal proprio credo personale o religioso?
Come dicevo, è un grande evento di gente comune, che riunisce persone di culture, tradizioni, sensibilità, storie personali e sociali, appartenenze religiose più diverse, che trova una grande coesione nel voler strenuamente difendere la famiglia ed il sacrosanto diritto di ogni bimbo di avere una mamma ed un papà. Questi valori sono patrimonio della società civile e della storia della civiltà moderna, che appartengono a chiunque, credente e non, perché proprio su di essi si è costruita la civiltà stessa.
Tutelare la famiglia tradizionale, significa discriminare altre forme di unione?
L’istituzione familiare precede il diritto, e compito storico del diritto è stato quello di riconoscerlo, garantirlo e tutelarlo come bene sociale fondamentale. La nostra Costituzione ha fatto la scelta di dare alla famiglia una visibilità ed un privilegio giuridico particolare, che distinguesse chiaramente la famiglia da qualsiasi altra formazione sociale. Per questa ragione le ha dedicato un articolo (29) specifico e particolare. La definizione “società naturale fondata sul matrimonio” è una dichiarazione di alto valore, sociale ed antropologico. Vale a dire che la famiglia è il luogo dell’amore profondo e completo, che comporta l’unione dello spirito e del corpo di due persone complementari (femmina e maschio, moglie e marito, madre e padre) cui è affidata la più naturale e fondamentale delle funzioni: la procreazione. Ogni altra relazione affettiva è strutturalmente non omologabile alla famiglia e, quindi, non può essere trattata come essa. Discriminare significa trattare in modo difforme due condizioni uguali. Ma due situazioni che sono strutturalmente diseguali impongono che siano trattate in modo diverso, con specificità particolari, e questo non ha nulla a che fare con la discriminazione.
Perchè è importante custodire l’identità della famiglia tradizionale?
La risposta è facile: perché ogni bimbo ha diritto ad avere una mamma ed un papà. L’intera bibliografia mondiale, da Freud ad oggi, dichiara l’importanza della relazione genitoriale, chiamando “triade genitoriale” lo stretto legame che unisce madre/padre/figlio, nella prospettiva di garantire al bimbo l’ambiente più vantaggioso per la sua crescita, biologica e psicologica. L’istituto dell’adozione nasce proprio per ottemperare a questo diritto del bimbo ad avere una famiglia, la famiglia migliore possibile per lui (da qui i vari test di idoneità che esegue il Tribunale dei Minorenni): è una ferita personale e sociale gravissima l’esistenza di un bimbo abbandonato, che richiede di essere sanata al più presto. Così nasce l’adozione, come tentativo di dare una soluzione efficace ad un dramma esistenziale già in atto.
Si comprende bene, quindi, che abissale distanza c’è fra adozione e stepchild adoption: quest’ultima – soprattutto nella sua applicazione ad una coppia omosessuale maschile – significa fecondazione eterologa, utero in affitto, mercificazione del bimbo (oggetto che si compra… eppure la storia della civiltà ci ha insegnato che si comprano le cose e non le persone!). In una parola, si mette in atto una procedura che mette al mondo un bimbo orfano ancora prima di uscire dall’utero della madre comprata con contratto. Personalmente ritengo che stiamo raggiungendo l’abisso dell’inciviltà, con la perdita totale anche del più semplice buon senso.
Quali sono i pericoli maggiori per le future generazioni se in Italia si diffondesse la cultura del gender?
L’ideologia gender è un veleno posto alle radici della società. Scindere l’identità sessuata, lo psichismo personale e l’ambiente culturale che plasma ogni persona è scientificamente un’idiozia e socialmente una deriva antropologica pericolosissima. Sessuazione biologica, psiche e cultura sono tre elementi che devono massimamente integrarsi fra loro, in modo armonico e coerente alla traccia primordiale e fondamentale che è rappresentata dal dato genetico. Cerco di spiegarmi in modo più semplice: di fronte ad un maschietto, il lavoro educativo in senso lato deve essere sempre e solo quello di rendere massimamente coerente la sua identità sessuata con la costruzione della sua personalità di maschio. Altrettanto per una bimba. Sottoporre i bimbi ad una condizione educativa priva di modelli, indifferenziata, o con un numero indefinito di modelli significa costruire una personalità confusa, debole, fragile, manipolabile e – in ultima analisi – facile preda del potente di turno. Ogni bimbo va rispettato nella sua identità globale e, qualora emergessero delle criticità, in totale collaborazione con i genitori, affrontare il singolo caso con tutto l’amore e le delicatezza possibile.
Perché è importante distinguere nettamente il matrimonio tra uomo e donna dalle nuove forme di unioni civili?
Perché si tratta – come dicevo – di due condizioni strutturalmente diverse. Uomo e donna condividono amore e procreano nella complementarietà della loro sessuazione. Uomo e uomo oppure donna e donna possono condividere affettività e convivenza ma non possono procreare. Una semplice formula, può rendere chiaro il concetto: A+B non è uguale a A+A o B+B. Una relazione affettiva priva della rilevanza procreativa è una “formazione sociale” che non ha nulla a che fare con la famiglia.
Perché lo stepchild adoption rischia di favorire la pratica dell’utero in affitto?
La stepchild adoption favorisce e di fatto legittima l’abominevole pratica dell’utero in affitto, perché è un passaggio obbligato per una coppia omosessuale maschile che vuole avere un figlio. Due sono gli aspetti più inquietanti, da condannare senza se e senza ma: il bimbo che viene “programmato” orfano fin dalla nascita e la mercificazione del corpo di una donna, ridotta di fatto a sottomettersi per denaro ai capricci altrui. Un illustre medico, un paio di giorni fa ha dichiarato che l’utero in affitto non è poi così esecrabile, perché – anzi – ha un aspetto positivo: dà denaro a chi ne ha bisogno. L’assurdità dell’affermazione si commenta da sola e fa torto alla civiltà moderna che ha proscritto e condannato ogni forma di schiavitù, anche quella a pagamento.
Quali provvedimenti possono essere utili per rilanciare e rafforzare l’istituto della famiglia tradizionale nel nostro paese?
L’istituto familiare – che è il più affidabile e sicuro ammortizzatore sociale della nostra epoca – è il figlio del dio minore delle politiche sociali. È il fanalino di coda delle attenzioni di chi dovrebbe prendersi cura del bene comune. Le famiglie sono assai spesso “sterilizzate” dai condizionamenti economici, non si fanno più figli, perché il figlio è un “lusso”, le famiglie numerose sono totalmente neglette ed oscurate, quasi fossero fenomeni da baraccone, i nonni – anziani, dementi, disabili, improduttivi – vanno spazzati via con scelte ghettizzanti e eutanasiche, le famiglie che vogliono adottare vengono deluse da una burocrazia scoraggiante. “Non ci sono risorse” è il mantra del politically correct che ci viene propinato ogni giorno. Nasce spontanea una domanda: se per questi atti di giustizia sociale non ci sono fondi, come mai saltano fuori dal magico cilindro quando si tratta di finanziare le unioni civili? Se non abbiamo soldi da investire nei “poveri”, dove troviamo quelli necessari per finanziare la pensione di reversibilità per le unioni civili? Negli anni della rivoluzione studentesca si parlava della “opzione preferenziale per i poveri”. Niente di più attuale: opzione preferenziale per le famiglia povere che – fonte ISTAT 2014 – sono un milione e quattrocentomila nel nostro Bel Paese.
*
Gpa, la nuova benzina per le “Fabbriche di bambini”
Emmanuele Di Leo, presidente della Steadfast Onlus, co-fondatore del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e uno dei promotori del Family Day, affronta con un focus più specifico il traffico delle madri surrogate nel territorio nigeriano. Infatti Di Leo, come ha già raccontato in un’intervista pubblicata su ZENIT, spiega come questa orrenda pratica, quella dell’utero in affitto, trova alimento nel sottoporre a schiavitù donne provenienti da Paesi meno sviluppati. Facendo leva sulla povertà, ragazze vengono raggirate e sfruttate come “operaie” per alimentare il business di veri e propri allevamenti di esseri umani.
***
Giovani donne di cui alcune appena adolescenti, sono le vittime di questo losco mercato in Nigeria. Tra il 2008 e il 2014 sono state scoperte dalla polizia nigeriana più di 20 Fabbriche di bambini (Mediterranean Journal of Social Sciences 6(1):75-81 • Gennaio 2015). La maggior parte delle donne presenti nelle strutture erano lì sotto coercizione per alimentare il traffico della vendita di figli.
La triste realtà delle Fabbriche di bambini, è una attività nata prima dell’evoluzione tecnico-scientifica dell’utero in affitto. Con mezzi “rudimentali”, sfruttatori costringevano donne a riprodursi per poi vendere i loro figli a ricchi occidentali o per immetterli nel circuito del traffico delle adozioni. Questa pratica è andata sempre più evolvendosi, generando così “un’opportunità” di lavoro per donne in condizione di estrema povertà. Così donne, bambine, giovani vergini venivano, e vengono tutt’ora, rapite dai loro villaggi, violentate e tenute in ostaggio fino alla consegna del bambino ai ricchi compratori. Schiave obbligate ad alimentare il ricco mercato della riproduzione.
Con l’evolversi della tecnologia bio-medica e con la nascita del metodo della Gpa (gestazione per altri o maternità surrogata), in Nigeria, il volume d’affari è notevolmente aumentato e sempre più strutture come cliniche sanitarie, orfanotrofi, mutano in Fabbriche di bambini. Tali aberranti attività, per poter essere, necessitano soprattutto di materiale umano, o vero di vere e proprie incubatrici viventi. Quindi il reclutamento delle donne destinate al business degli allevamenti degli esseri umani è uno dei processi fondamentali.
Esso avviene tramite figure maschili che in varie forme intervengono nei villaggi alle periferie delle città. Nel 2014 la giurista Esohe Aghatise, presidente dell’associazione Iroko Onlus e consulente delle Nazioni Unite sul fenomeno delle tratte, in un’intervista al quotidiano online Lettera 43 affermava in merito ai rapimenti di Boko Haram: “Molti fanno finta di non vedere. Queste ragazze, possono finire sulle strade europee o trattate come animali nei campi del Sud Sudan”. In merito al mercato delle donne affermava: “È un mercato ricco e ci sono compratori in tutti i Paesi del mondo”. Quindi se volessimo ipotizzare è anche probabile che molte di queste vittime finiscano tra le fauci del redditizio mercato riproduttivo.
Il boom della vendita di bambini in Nigeria si collega a una delle principali motivazioni dello sviluppo di tale pratica. Il business della vendita di bambini ha tante richieste in Nigeria per via del problema culturale dell’infertilità, vissuta dal popolo nigeriano come grave problema sociale. Donne rapite vengono obbligate a essere madri surrogate sia gestazionali che genitrici. In parallelo come co-protagoniste del fatto, troviamo le giovani mogli infertili di ricchi uomini della nazione, che evitando contatti con medici e operatori sanitari, con l’aiuto di particolari farmaci, fingono la gravidanza. Un teatrino studiato ad hoc per sopperire al “grave scandalo” socio-culturale dell’infertilità.
Da Umaka a Aba, da Lagos a Ihiala, bambine che vanno dai 14 ai 17 anni sono vittime di tratta per la riproduzione. Dalle fonti Unicef tra il 2004 e il 2006 più di 757 donne sono state estirpate dal mercato nero della schiavitù. Secondo Global News nel 2011 le autorità nigeriane sono riuscite a salvare 32 ragazzine destinate alle “Babyfabrik” presso la città di Aba, in Delta State. Ad ottobre dello stesso anno presso lo stato di Anambra altre 15 donne sono state salvate. Nel caso di gravidanze indesiderate, per evitare l’esclusione dalla società, causa mancanza di marito, le Fabbriche di bambini diventano ottime soluzioni per famiglie di giovani madri disperate. Con poche migliaia di euro le Babyfabrik si assicurano un fruttuoso business. Secondo la Bbc, i bambini venduti come oggetti, possono rappresentare non solo l’esaudirsi di un desiderio genitoriale, ma possono anche essere uccisi e utilizzati per rituali o altri traffici illeciti.
Secondo Die Welt già dal 2008 in Nigeria, molte strutture adibite ad allevamenti di esseri umani sono state scoperte. Le forze di polizia nigeriane in quell’anno smascherarono una fitta rete di cliniche che per poche migliaia di euro facevano dei bambini una merce di scambio. In quell’occasione le donne liberate dalla tratta hanno affermato che molte di loro erano in quelle condizioni da più di tre anni e che a ciclo continuo erano costrette a continue gravidanze. Con loro anche donne arrivate per abortire che a loro volta venivano rapite e costrette alla riproduzione. I bambini nati da quelle fabbriche degli orrori, venivano venduti dai 2 ai 3mila euro l’uno.
Potremmo citare tanti altri esempi, che continuano ad emergere, ma il grande quesito è se in Nigeria, Paese in via di sviluppo, succede tutto questo, cosa succede nei Paesi industrializzati, dove la vita è rilegata non più all’importanza di essere, ma a quella del produrre? È possibile che l’essere umano possa diventare un mero prodotto di una catena di distribuzione per appagare i desideri di alcuni? È possibile che in Italia, si vuole portare in Parlamento un disegno di legge che favorirà la promozione di tali procedure di riproduzione? A voi la risposta, io il 30 gennaio sarò al Circo Massimo di Roma per manifestare il mio dissenso.