martedì 26 gennaio 2016

Perché è diventato più semplice spiegare che l’uomo discende dalla scimmia piuttosto che un figlio da un uomo e una donna


Maerten Van Heemskerck (1498-1574)
Maerten Van Heemskerck (1498-1574)
Che cos’è una famiglia? Dalla risposta che daremo a questa domanda dipende il futuro dell’umano e dell’umanità. E’ questo il senso del libro del filosofo francese Fabrice Hadjadj, che in “Qu’est-ce qu’une famille? Suivi de ‘La Transcendance en culottes’ et autres propos ultra-sexistes” (Salvator) ha raccolto, ampliati, i suoi interventi pubblici più importanti dell’ultimo anno sui temi della famiglia, della filiazione, dei loro rapporti con la tecnoscienza. Nato a Nanterre nel 1971, sposato con l’attrice Siffreine Michel, con la quale ha avuto sei figli (undici anni la più grande, due il più piccolo), Hadjadj è figlio di ebrei tunisini. Dopo una giovinezza che egli stesso definisce “atea e anarchica”, a ventisette anni si è convertito al cattolicesimo, e ora dirige l’istituto europeo di studi Philanthropos di Friburgo, in Svizzera, fondato dieci anni fa con lo scopo di studiare e far conoscere l’antropologia cristiana. Ed è rimarchevole e visibile in tutta l’opera di Hadjadj – ricordiamo, tradotto in italiano, “Mistica della carne. La profondità dei sessi”, Medusa – la presenza di entrambe le radici, ebraica e cristiana.
La questione di “che cos’è una famiglia” può sembrare “così elementare da farci chiedere se è il caso di porsela”, scrive il filosofo, ed è forte il pericolo di ripetere banalità o di complicare ciò che è semplice. Ma è diventato necessario riscoprire l’evidenza, come aveva profetizzato lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton, da che siamo passati dall’avvenimento della nascita come conseguenza dell’incontro amoroso tra un uomo e una donna, come portato “logico e genealogico” della differenza sessuale, a un’impostazione di tipo aziendal-tecnologico di “produzione del figlio”. Tutti noi proveniamo da una famiglia, e la famiglia è un fondamento che “si situa al principio delle nostre vite concrete” al punto che “diventa impossibile giustificarla o spiegarla, perché bisognerebbe ricorrere a un principio anteriore, e allora la famiglia non sarebbe che una realtà secondaria e derivata, e non più una matrice”. Per questo, dice Hadjadj, spiegare che l’uomo discende da una scimmia è diventato più facile “che spiegare che un bambino discende da un uomo e da una donna”, perché nel primo caso la tesi reclama delle lunghe e laboriose argomentazioni, mentre nel secondo non c’è niente da capire e niente da rivelare, ma un dato iniziale di cui prendere atto, come quello dell’esistenza del mondo esterno. Per questo, rispondere alla domanda “che cos’è una famiglia” diventa, ammesso che non lo sia sempre stata, “la questione filosofica per eccellenza”, in quanto ricerca dell’essenza della realtà. L’essenza della famiglia sfugge tuttavia a ogni ambizione descrittiva, perché rinvia a qualcosa che non può essere “fabbricato”, che non può nemmeno essere “scelto”, e che “sfugge alla premeditazione come all’ideologia”. E’ per questo che “decostruire” la famiglia – come pretende chi oggi parla di molte forme intercambiabili, dove all’artificio si attribuisce lo stesso rango della filiazione naturale – significa in realtà distruggerla. Hadjadj fa notare che “stiamo assistendo da qualche decennio, da parte degli stessi che volevano sbarazzarsi della famiglia, a uno strano ritorno del rimosso famigliare”. Coloro che la denunciavano come luogo di tutte le oppressioni e nefandezze “ora vogliono fare dei figli il prodotto di una manipolazione genetica (poiché l’égalité reclama che due uomini o due donne possano averli con i loro gameti); il che va ben al di là dell’oppressione e della repressione”, perché si traduce in fabbricazione pura e semplice.
Questa contraddizione è però la prova “che non si può decostruire il dato naturale, ma solo costruirgli accanto un suo simulacro”. In questa logica di fabbricazione – e non di attesa del mistero che è il “dono” del figlio all’interno della relazione carnale tra uomo e donna – vediamo esaltate come caratteristiche della “vera” famiglia quelle che richiamano all’amore, all’educazione, al “progetto genitoriale responsabile”, al rispetto della libertà e dell’autonomia del figlio: chi si sentirebbe di negare tutto questo? E quanti cattolici, sottolinea Hadjadj, in perfetta buona fede, ripetono le stesse cose? Eppure, mettendo l’accento sui citati e lodevoli aspetti “noi manchiamo ancora l’essenza della famiglia”, perché quegli elementi, “amore, educazione, libertà, dicono tutto salvo l’essenziale, e cioè che i genitori sono i genitori e il figlio è il figlio”. Pretendendo di fondare “la famiglia perfetta sull’amore, l’educazione e la libertà, quello che si fonda, in realtà, non è la perfezione della famiglia ma l’eccellenza dell’orfanotrofio. Non c’è dubbio: in un eccellente orfanotrofio si amano i bambini, li si educa e si rispetta la loro libertà”, ma nessun orfanotrofio modello è una famiglia. Non siamo molto lontani dall’utopia-incubo del “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley, dove “non basta far l’amore per essere ‘abilitati’ ad avere un figlio”, ed eccoci in un attimo (ci siamo già, ve ne siete accorti?), al “regno delle incubatrici e dei pedagoghi, e alla svalutazione dei veri genitori. Il padre è rimpiazzato dall’esperto, la famiglia dalla firma professionale”. E’ la “famiglia già defamiliarizzata”, perché sempre più spesso sentiamo dire che “un padre e una madre possono essere meno amorevoli, meno competenti e meno rispettosi di due uomini o due donne, e certamente meno efficaci di un’organizzazione composta dai migliori specialisti. Questa organizzazione potrà passare per la migliore delle famiglie, che si identificherà con il miglior orfanotrofio”. La grande rimozione e l’inganno alla base della teoria della famiglia che possiamo riassumere con “basta l’amore”, hanno a che fare con la sostituzione del sesso con la tecnica. “Il principio della famiglia è troppo umile, troppo elementare, in apparenza troppo animale, e dunque vergognoso… Avete capito, il principio della famiglia è nel sesso. Anche quando si tratta di una famiglia adottiva, o di una famiglia spirituale, dove il padre è un Padre abate, e i fratelli sono monaci, le pure e alte denominazioni che si usano vengono all’inizio dalla sessualità… e si enunciano a partire da quel fondamento sensibile che è la nostra fecondità carnale. E’ perché un uomo ha conosciuto una donna e dal loro abbraccio, per sovrappiù, sono stati generati dei figli, che esiste il nome di padre, di madre, di figlio, di figlia, di sorelle e di fratelli”. La famiglia è dunque, prima di tutto, il luogo dove si articolano la differenza dei sessi e la differenza delle generazioni. Sarà pure una banalità, dice Hadjadj, ma è la realtà. La famiglia naturale può anche essere il luogo dove “tutto va male”, ma ciò che si pensa di poterle sostituire (surrogati dove il figlio è fabbricato attraverso tecniche sempre più parcellizzate e sofisticate di procreazione artificiale) è l’anticamenra del totalitarismo, esercitato sull’essere che si vuole privo di ancoraggio alla differenza dei sessi e delle generazioni.
Che cosa è, allora, una famiglia? Hadjadj risponde che è “il fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza. La differenza sessuale, la differenza generazionale e la differenza di queste due differenze ci insegnano a volgerci verso l’altro. E’ il luogo del dono e dell’accoglienza incalcolabile di una vita che si sviluppa con noi ma anche malgrado noi, e che ci spinge sempre più avanti nel mistero dell’esistenza”. La famiglia non è un orfanotrofio eccellente, né un club di incontri tra affini né una fabbrica di androidi. Ed è attraversata “senza tregua, come ogni avventura, da conflitti, sconfitte, offese che suscitano rancore e che esigono il perdono”. Ma è anche “l’avventura della nostra umanità e l’esercizio della nostra carità”. Primo luogo di esistenza e quindi “di resistenza: all’ideologia, al conformismo, alla programmazione”. In quanto fondata sulla carnalità e sulla differenza sessuale, è anche l’istituzione anarchica per eccellenza, come spiegava Chesterton. Lo è, conclude Hadjadj, perché si tratta “di un’istituzione senza istitutori, fondata nelle nostre mutande, nel nostro desiderio, in un congiungimento anteriore a ogni contratto, in uno slancio naturale che precede le nostre prospettive e che le oltrepassa: la famiglia è anarchica anche per gli stessi genitori. Il figlio che nasce dalla loro unione non è né il risultato del loro calcolo né la realizzazione dei loro sogni, ma un dono oscuro che li attraversa e li trascende”. Fare del figlio un prodotto slegato dall’unione sessuale e dal mistero della differenza, ridurlo a oggetto (fabbricabile) di un diritto, significa puntare a un’umanità meno libera, manipolata e manipolabile.