lunedì 12 agosto 2013

What women want


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di Maria Elena Rosati
Le colazioni con le amiche, specialmente se non ci si vede da lungo tempo, sono una grande risorsa.
Sono quei momenti che ti permettono di aggiornare le informazioni a tua disposizione sui gente mai più vista dal 2001, o di avere i  consigli lucidi da chi ti ha visto nei momenti più delicati dell’adolescenza, quando gli occhiali erano troppo spessi e le sopracciglia troppo folte; ma soprattutto sono i momenti per parlare con sincerità , raccontarsi le cose che non vanno, ed essere felici per quelle che vanno.
E siccome non sei più adolescente,  ti sfoltisci le sopracciglia, e porti le lenti a contatto, ora la conversazione tra due vecchie amiche può virare anche sul rapporto tra uomini e donne, su progetti sul futuro, su desideri di vita. E così può capitarti di sentire una frase tipo questa: “ Poco da fare: nell’80% dei casi, quando gli uomini escono con una donna hanno solo un pensiero in testa”. Parole  che si incastonano nel racconto di una “storia” iniziata  senza troppa convinzione,  e portata avanti con stanchezza, e raccontano il desiderio di un rapporto più serio, di incontrare uomini più attenti, più sensibili, disposti ad andare oltre l’approccio fisico, e magari a costruire qualcosa. Un desiderio di felicità, di amore vero, di bellezza.
Diverso poi quando torni a casa e, navigando su internet, ti imbatti in un articolo di un blog al femminile che lamenta la situazione contraria, cioè la difficoltà di trovare uomini disposti a avere storie brevi e fugaci, a fare sesso divertente e non impegnativo, e trascorrere serate in allegria senza chiedersi niente di più. Un desiderio di libertà assoluta, da ogni tipo di legame, una sete di qualcosa, forse di felicità.
Due situazioni diverse, due donne diverse, che parlano all’opposto del rapporto con gli uomini. E tu che stai tra i due estremi, nella confusione, non puoi fare altro che chiederti: insomma si può sapere che cosa vogliamo? Perché a prima vista non si capisce. Un uomo da amare per tutta la vita, o un uomo usa e getta, per quando l’ormone chiama? Un macho o un micio? E poi vogliamo la libertà del corpo, il sesso free, o il rispetto? Le montagne russe del cuore, e le farfalle nello stomaco o l’insensibilità assoluta per non soffrire più? E ancora, buttarsi come e non ci fosse domani, perché ogni lasciata è persa,  o avere il coraggio di attendere, di mantenersi, per un bene maggiore?
A volte penso che potremmo essere come Mel Gibson nel film “What women want, e avere la capacità di leggerci nei pensieri più profondi, così tutte avremmo l’opportunità di ascoltarci sul serio, una volta per tutte. Perché questo è il nostro problema principale; parliamo tanto, tiriamo fuori tutto, spesso raccontiamo pure troppo, ma non sappiamo ascoltarci per davvero. Non sappiamo realmente fare silenzio dentro di noi, allontanarci dai film esistenziali che siamo bravissime a costruirci sulle solide basi di sollecitazioni esterne, di condizionamenti malefici, di modelli di comportamento ormai socialmente diffusi, e politicamente stracorretti.
Convinte che il nostro bene sia legato a quello che sentiamo, a quello che proviamo nella pancia, alle emozioni di cui siamo regine, non siamo più capaci di guardar con realtà alla nostra vita, di rispondere con serietà a quella sete di verità, di pienezza, di completezza che anima il nostro cuore. Nella paura di sbagliare, nel terrore di non essere accettate, nell’incubo di essere lasciate da sole, ci accontentiamo di storie che non ci fanno felici, di situazioni che ci mettono in difficoltà, di rapporti che nascono già sterili, e continuano a togliere vita. Spesso ci basta il volume, l’aria fritta, e ci lasciamo convincere che il meglio sia quello che abbiamo sotto gli occhi, e che dobbiamo adeguarci.
Eppure, nascosta tra gli stereotipi sul potere delle donne, e le etichette del femminismo,  c’è una parte di noi che sa quello che vuole,  e lo sa bene, e ogni tanto prova pure a dirlo. E’ quella parte di noi che vorrebbe ricordarci che la delicatezza, la mitezza, l’accoglienza le abbiamo scritte dentro, che la cura dei deboli e degli indifesi è nel nostro dna, che siamo portatrici di bellezza e dolcezza, in dosi massicce, e siamo fatte per portare nuova vita, in senso non solo fisico, e ad allontanare tutto quello che è violenza e volgarità. Quella parte di noi, che spesso non consideriamo per niente saprebbe dirci quello che vogliamo davvero, e sottolineare in noi quel desiderio di tenerezza, la voglia di essere abbracciate, accarezzate, coccolate con i gesti e  le parole da uomini che conoscono la bellezza, e cercano con decisione la verità; il desiderio di essere scelte, come il dono più prezioso, e di essere guardate con la cura di chi ha davanti a sé una tesoro di inestimabile valore.
Dobbiamo imparare il silenzio per ascoltare meglio dentro di noi, per sentire meglio quella voce che ci indica la pienezza dell’amore e della felicità. E ci offre la consapevolezza dolorosa per riconoscere quando vale la pena donarsi fino in fondo, e quando è una forzatura inutile. Il problema è che abbiamo paura, perché la verità di noi ci spaventa, come ci fa male ricordarci quanto non abbia senso incastrarsi in storie senza capo né coda, svendersi e buttarsi via al miglior offerente, inseguire un sogno oltre i limiti del tempo e del buon senso.
Facciamoci un regalo: facciamo silenzio di quello che il mondo intorno a noi ci ha insegnato, di quello che gli altri vogliono vedere, dell’immagine di noi che ci siamo costruite, e restiamo in ascolto solo di quella parte del nostro cuore a cui non diamo mai retta. Quella che sa bene cosa vuole, e che  noi non bastiamo a noi stesse, e sa che, alla fine, per meno di tutto non vale la pena.
fonte: trentamenouno