martedì 27 gennaio 2015

Con una sola voce



Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Speranze e proposte. 

(Riccardo Burigana) Invocare, con una sola voce, riconciliazione e pace contro ogni forma di violenza, nel ricordo di coloro che hanno testimoniato Cristo fino alla morte: è la preghiera che in questi giorni è risuonata nel mondo durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Dal Kenya agli Stati Uniti, dall’India al Portogallo e negli altri numerosissimi Paesi nei quali la Settimana si è celebrata dal 18 al 25 gennaio, i cristiani hanno pregato e riflettuto insieme per superare lo scandalo delle divisioni e per proseguire sulla strada della sempre più visibile comunione.
Si sono invocate riconciliazione e pace per condividere il dono di Cristo nella missione quotidiana alla quale Papa Francesco insistentemente incita, in profonda sintonia con molte figure autorevoli delle altre confessioni cristiane. In questa Settimana — sollecitati anche dal sussidio preparato dal gruppo di lavoro brasiliano — è emerso con grande evidenza quanto i cristiani sentano la responsabilità di denunciare ogni forma di violenza per favorire l’accoglienza e il dialogo.
Per l’arcivescovo di Nyeri (Kenya), Peter J. Kairo, il passo del Vangelo (Giovanni, 4, 7) proposto come spunto di preghiera per la Settimana ha offerto la possibilità concreta di riflettere su come accogliere e abbracciare coloro che bussano alla porta di ogni Chiesa, senza preclusione alcuna. Sempre per monsignor Kairo, la Settimana ha aiutato i cristiani a comprendere quanta gioia esista nel condividere l’annuncio di Cristo, trasformando così la vita delle comunità locali che «gioiscono per i frutti della genuina unità» nella vita quotidiana.
In sintonia con queste parole si può leggere l’esperienza dei molti incontri di preghiera avvenuti in Canada, dove particolare attenzione è stata rivolta al tema della riconciliazione della memoria, secondo un impegno che certamente non può esaurirsi in una Settimana o in occasione di alcune feste liturgiche, come la Pentecoste.
Nel Regno Unito la preghiera a «Dio, padre dell’eterna compassione» ha guidato i cristiani nel riaffermare il proprio impegno per la pace in Ucraina, in Medio oriente, in Sudan e per il sostegno umanitario in altri Paesi, come Haiti e le Filippine, con uno spirito di condivisione che deve proseguire oltre l’emergenza.
Negli Stati Uniti, dove la Settimana è stata celebrata con una pluralità di iniziative, che testimoniano la vivacità del dialogo ecumenico e l’attenzione al ruolo dei cristiani nella società, va ricordato quanto fatto dall’Evangelical Lutheran Church in America, che ha voluto vivere l’ottavario di preghiera come una tappa significativa del cammino per una celebrazione ecumenica del cinquecentenario della Riforma (1517-2017). Anche alla luce delle drammatiche vicende delle ultime settimane, in molti casi, forte è stato il richiamo alla condanna dell’intolleranza come primo fondamentale passo per rafforzare il dialogo interreligioso.
Da questo punto di vista è stata interessante l’attenzione mostrata in Francia, in Belgio e in Svizzera, con una serie di incontri che hanno cercato di alimentare l’idea che i cristiani devono promuovere iniziative ecumeniche con le quali favorire un dialogo interreligioso. In particolare, è apparsa urgente la definizione di azioni concrete per creare una cultura dell’accoglienza e per sostenere una lotta all’intolleranza e ai pregiudizi. Senza perdere di vista la prospettiva ecumenica della Settimana di preghiera, vissuta come un momento di unità nella diversità, soprattutto in Francia numerose sono state le iniziative nelle quali è stato denunciato, anche alla luce delle parole di Papa Francesco nel recente viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine, ogni tentativo di trovare giustificazione nella religione agli atti di violenza.

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Religiosi ed ecumenismo. Scintille dall’incudine

(Alberto Fabio Ambrosio) Non sono pochi in Europa e nel mondo i religiosi e le religiose che osano infrangere le frontiere delle divisioni per riunirsi in una sola comunità nella quale vi sia spazio per le differenze, tutti però accomunati dall’unità della consacrazione religiosa che — non è mai abbastanza ripeterlo — si radica nella consacrazione battesimale. Comunità come Taizé, Bose, Chevtogne o le diaconesse di Reuilly testimoniano che la tensione verso l’unità può essere ancorata all’impegno radicale della consacrazione a Dio.
La condivisione di queste esperienze, vissute nell’ecumenismo e per l’ecumenismo — tanto a livello personale quanto comunitario — ha caratterizzato il colloquio ecumenico di religiosi svoltosi in questi giorni in Vaticano. La ricchezza della tensione verso l’unità nella differenza delle modalità della consacrazione a Dio è sicuramente la chiave per comprendere quanto la vita consacrata sia una profezia di unità. Se i padri della Chiesa dicevano che le diverse interpretazioni delle Scritture sono simboleggiate dalle scintille che si sprigionano dai colpi del martello sull’incudine, così sembra essere della consacrazione religiosa nelle diverse confessioni cristiane. È una ricchezza che sprigiona fiamme di vita evangelica, le quali si diffondono su tutta la terra.
La vita religiosa cristiana sotto tutte le sue forme dice qualcosa di profondamente vero: la ricchezza del cristianesimo o, più precisamente, la quasi infinita capacità della fede cristiana di incarnarsi in un luogo, in un tempo, in una confessione di fede, nella cultura che incontra. La vita donata a Cristo testimonia dell’infinita ricchezza della fede cristiana che ha suscitato numerose interpretazioni perché questa è la novità di Cristo.
L'Osservatore Romano