domenica 25 gennaio 2015

Sottomissione for dummies (lezione per ripetenti)


acropoli
di Costanza Miriano   per La Croce – quotidiano
Non pensavo che qualcuno mi si sarebbe filato ancora su questa storia della sottomissione. Insomma l’ho spiegata anche al maiale. Pensavo di essere finalmente fuori moda. Invece per colpa o merito del mio amico Mario mi ritrovo a cercare di spiegare di nuovo cosa ho capito io della parola sottomissione usata da San Paolo, e lo faccio per la volta numero duecentosettantaquattro – includendo i tentativi in inglese e violettese (quella specie di lingua spagnola imparata sentendo le canzoni di Violetta, che mi si è resa necessaria quando la Procura generale spagnola ha aperto un fascicolo nei miei confronti su mandato del ministro della Salute e della Pari opportunità, per l’ipotesi di istigazione alla violenza sulle donne. Non mi riprenderò mai dalle risate fatte pensando al magistrato spagnolo che si è dovuto sorbire i racconti dei vomiti dei miei figli nel tentativo di ravvisare tracce di reato, poveraccio).
Dunque. Vediamo. Un conto è quando parlo di sottomissione nelle parrocchie, o comunque a un pubblico di formazione cattolica, che tendenzialmente parla la mia lingua. Un popolo che crede in un re che è morto in croce, un re che invita i più grandi a servire i più piccoli, e che quindi credo possa meglio capire la bellezza dello “stare sotto” per dare la vita, non solo partorendo ma generando in ogni momento coloro che ci sono affidati. Un conto è rivolgermi al giornalista collettivo, che dopo l’incontro di Milano mi ha dato dell’oscurantista medievale cattoislamista.
Io vorrei dire che capisco che chi rimane dentro un’ottica di rapporti di forza tra uomini e donne non può che avvertire fastidio nel sentire questa parola. Non me la prendo quando mi danno della deficiente (e se mi vedessero contemplare il decoder e i cinque telecomandi di casa nel tentativo di vedere un tg potrebbero trarre qualche conferma). Chi vive i rapporti sentimentali nell’ottica della conquista, che all’inizio dunque è tutto sentimento, e poi a volte rischia di diventare un giogo pesante oppure un gioco di equilibri di forza, non può invece che infastidirsi nel sentire la parola sottomissione.
Ma io credo, potrei dire che sono certa se la mia ignoranza di esegeta e di biblista da quinta elementare non mi imponesse una certa cautela, che san Paolo abbia saputo cogliere quello che è il cuore del problema femminile, la tentazione che più di tutte tocca le donne: il desiderio di controllo. Noi donne vogliamo controllare le persone che abbiamo care. Siamo capacissime di manipolarle, abbiamo dei radar raffinatissimi nel cervello, strumenti super sofisticati che l’uomo si sogna. La Provvidenza ce li ha dati per educare, questa è la nostra chiamata, perché “Dio affida l’umanità alla donna, che, prima ancora dell’uomo stesso, vede l’uomo”, come scriveva san Giovanni Paolo II. La tentazione contro cui noi donne dobbiamo combattere è quella dunque del controllo sull’uomo, della sua manipolazione.
Quando una donna impara a usare i suoi talenti per servire, non da schiava come scrivevo, ma da volontaria custode di coloro che le sono affidati, la vita intorno a lei fiorisce. Ogni persona viene accolta e si sente valorizzata da uno sguardo materno, che include, che non giudica. È uno sforzo costante che noi donne dobbiamo fare, una lotta contro il nostro perfezionismo.
L’uomo al contrario deve imparare a dare di più, a morire, dice san Paolo, perché la sua tentazione invece è quella della fuga, o dell’egoismo, del disimpegno dalla relazione. A me sembra così chiara, lucida, profonda l’analisi di san Paolo. Così rispondente alla verità del cuore dell’uomo, che non capisco come qualcuno possa sentirsene offeso.
Bisogna sempre ricordare che l’uomo e la donna sono due creature ferite, che vorrebbero essere amate in modo perfetto, e invece fanno una continua esperienza del proprio limite e del limite dell’altro. La donna con la sua voragine, la sua fragilità, il suo bisogno di conferme, di uno sguardo che le dica che è bella. L’uomo con il suo desiderio di potere, di possesso, di dominio, che deve imparare a essere circonciso, regalato. Che deve trasformarsi in capacità di sacrificio e di prendere i colpi della vita su di sé a difesa dei piccoli.
Mi sembra così bella questa dinamica del rapporto di amore tra maschio e femmina, così liberante, che davvero non vedo cosa ci possa essere di offensivo. Penso che solo le ferite del passato, di un tempo in cui alla donna questa accoglienza veniva in qualche modo imposta (anche se sul fatto che essere relegate in casa fosse necessariamente uno svantaggio rispetto a oggi avrei qualcosa da obiettare) possano avere lasciato nervi scoperti, e una sensibilità esasperata. Credo che la sottomissione nel senso di stare sotto a sostegno e di rinunciare alla volontà di controllo per dare la vita sia scritta nel cuore della donna. L’importante è che sia scelta, che sia ibera. Che sia abbracciata con gioia.
Chissà, magari si apre una stagione di donne sottomesse per scelta, felici, libere di servire non da schiave ma da donne che possono avere tutto, e scelgono la parte migliore.

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Mogli e mamme per vocazione

DI AUTORI VARI
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di Rossana Barbirato   con Eleonora Lancerotto e Sara Martini
Il matrimonio cristiano è una vocazione? La chiamata a vivere questo stato di vita si può paragonare alla vocazione alla vita consacrata o al sacerdozio?
San Giovanni Paolo II, nell’udienza del 18 agosto 1982, afferma che “il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani solo quando rispecchia l’amore che Cristo Sposo dona alla Chiesa sua Sposa, e che la Chiesa cerca di ricambiare in Cristo”. Il matrimonio cristiano, quindi, ha in sé un’esigenza radicale: chiede che gli sposi siano disposti e capaci di donarsi l’uno all’altro, di sacrificarsi, se necessario, a modello di Colui che non ha smesso di amare neanche quando era inchiodato alla croce.

Un amore così non è affatto scontato. E’ vero, potremmo dire che il desiderio di donarsi è insito nella nostra natura più profonda, nella consapevolezza (più o meno consapevole!) che è da lì che passa la nostra realizzazione (come dice laGaudium et Spes: “l’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”). Ma è altrettanto vero che una tale capacità di dono ha bisogno di essere sostenuta, incoraggiata, confrontata, per mantenersi reale. Perché per amare così non è sufficiente la teoria!
La vita di coppia è fatta di ore e giorni, di calzini a terra e discussioni sui metodi educativi, di “cosa c’è per cena” e “stavolta tocca a te alzarti”… Nella morsa della quotidianità, non è sempre semplice mantenere la barra dritta, e dirigersi senza timore verso il “dono sincero di sé“. Ed è ancora più difficile farlo quando ci si trova immersi in un mondo in cui la “fedeltà per sempre” è vissuta più come un peso, che come una grazia.
Eppure, nonostante tutto, sì, il matrimonio cristiano può essere, anzi, è una vocazione. Lo è per le tante donne che cercano ogni giorno di essere mogli migliori, lottando per il proprio matrimonio, diventando le “fan n° 1″ del proprio marito, cercando nuove idee per rendere viva e attuale la grazia del sacramento, scontrandosi con le proprie debolezze, ma pronte sempre a ricominciare e, in tutto questo (e grazie a questo) sempre disponibili ad incoraggiare altre compagne di vocazione. Sì, perché se il matrimonio è una vocazione, all’interno del matrimonio una vocazione particolare è quella della donna, chiamata ad essere moglie e mamma.
E’ con questa consapevolezza che abbiamo creato il gruppo “Mogli e Mamme per Vocazione, presente su Facebook da oltre un anno ormai, che riunisce più di mille donne cattoliche sposate.  Il gruppo è diventato una risorsa preziosa per tante donne, che qui hanno trovato tante amiche a cui chiedere e dare consigli, con cui confrontarsi in libertà su temi come la fedeltà, il ruolo della moglie nella famiglia, la vita di coppia, la spiritualità del matrimonio, l’educazione cristiana dei figli, la sessualità e i metodi naturali e molto altro ancora.
Un luogo virtuale nel quale le donne non si sentono sole nel loro cammino, un gruppo che aiuta e sostiene le mogli e mamme nelle battaglie quotidiane, una “compagnia dell’agnello” in cui trovare tante amiche con cui condividere gioie e dolori, soddisfazioni e preoccupazioni.
Ogni giorno riceviamo nuove testimonianze che ci dimostrano quanto questo gruppo, davvero (come avevamo sognato), sia diventato una risorsa utile per tante mogli cattoliche, che si sentono così meno sole nelle gioie e nelle fatiche della propria vocazione e meno abbandonate nel contesto secolarizzato nel quale ci troviamo a vivere.
Un gruppo che piano piano sta diventando anche reale, con M&M che si danno appuntamento, che si incontrano, che rendono reale un’amicizia nata come virtuale. Perché, come dice papa Francesco, “la rete può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone”.