sabato 2 marzo 2019

La conversione ridona la vista



(Nicola Gori) La conversione è come aprire gli occhi sui bisogni degli altri, come uscire dalla cecità ed entrare in una dimensione. A pochi giorni dall’inizio della Quaresima, monsignor Segundo Tejado Muñoz, sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, commenta con «L’Osservatore Romano» i temi centrali del messaggio del Papa presentato lo scorso 26 febbraio.
La salvaguardia del creato può essere considerata un esercizio spirituale al pari di altri strumenti che la tradizione della Chiesa propone in Quaresima?
Direi piuttosto che la salvaguardia del creato presuppone che esista un uomo che è in pace e in comunione con Dio, con se stesso, con il prossimo e con il creato. Il Papa, parlando dell’uomo, dice che ha una tendenza a vivere per se stesso. E il solo vivere per se stesso tradisce la relazionalità che egli ha con Dio, con l’altro e con il creato. Questo è il peccato. Se uno vive per se stesso non ha cura dell’altro e non ha cura della creazione. La conversione che il Papa ci chiede non è altro che un guardare se stessi per cambiare di indirizzo alla nostra vita, cioè l’espressione della “metanoia”. Se  l’uomo vive da figlio di Dio, se vive da persona redenta, che si lascia guidare dallo Spirito Santo, fa del bene anche al creato, cooperando alla sua redenzione. In caso contrario, importano solo il tornaconto e il piacere personali, e vince la logica del “tutto e subito”, dell’avere sempre di più a danno degli altri.
Lo sfruttamento del creato rientra tra i nuovi peccati dei nostri tempi?
Più che una questione di nuovi o vecchi peccati, il punto è che nasce tutto dalla stessa radice, cioè il cuore dell’uomo. Se esso non è riconciliato con Dio, non è riconciliato né con gli altri né con il creato. Come ho detto prima, è il guaio, la trappola dell’uomo che vive del proprio — e nel proprio — egoismo: chi non vede nient’altro che il proprio centro crea subito una periferia, uno scarto, una emarginazione rispetto a quella relazionalità interrotta, che mette fuori gli altri. Se poi vogliamo chiamarlo «nuovo peccato», bene; ma non è questo il punto. La Quaresima è il tempo che va proprio a questa radice: il nostro cuore e le sue dinamiche.
Nel messaggio del Papa per la Quaresima si parla del pentimento e del perdono come forze risanatrici. Non potrebbe essere letto come una sorta di abdicazione dall'intervenire davanti alle ingiustizie?
Forse sì, ma in realtà è esattamente il contrario! Se in noi si dà il vero pentimento, la vera conversione, allora noi acquistiamo la visione corretta sulle ingiustizie. Un uomo risanato, risorto, può lottare efficacemente per la giustizia perché vede correttamente. Invece, l’autoreferenzialità e l’egocentrismo — che è la malattia micidiale dell’uomo moderno — non fanno percepire l’altro e le ingiustizie che vengono commesse contro il prossimo: o meglio, si crede di vederle ma si lotta per se stessi, per le proprie cose, per il proprio io. Più ci si converte, invece, e più si vede che le ingiustizie — contro i poveri, contro i bambini, contro le donne, contro tutto — vanno contro il piano di Dio e il piano della natura. E allora sì che possiamo combatterle. Ma se non ci convertiamo, rimaniamo ciechi rispetto alle reali situazioni degli altri. Che battaglia vogliamo condurre? Al massimo potrà essere una vendetta.
La preghiera non costa denaro. Non è troppo comodo offrire delle preghiere per il prossimo invece che del tempo prezioso o della condivisione dei beni?
Le due cose vanno insieme: preghiera e condivisione dei beni o del tempo. Nella preghiera si dà a Dio il protagonismo nella propria vita. Vuol dire sapere che c’è un Altro. E se si mette un Altro al centro della propria vita nella preghiera, subito si darà spazio anche al prossimo. Altrimenti non è un vero rapporto con Dio. Perciò la domanda che Dio fa ad Adamo: “Dove sei?”, è la stessa che fa a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. Se questo non si traduce in un rapporto sincero e positivo con l’altro e con il creato, allora il rapporto con Dio è finito: è solo spiritualismo, non serve a niente. Ed è un continuo alimentare se stessi. Si sente a volte che il credere aumenterebbe la cosiddetta “qualità della vita” o benessere, dimenticando invece che lo stesso Gesù ci ha “promesso” divisioni e persecuzioni. Altro che “benessere”! Poi, certo, la Chiesa ci invita ad azioni concrete nella Quaresima, al digiuno e all’elemosina, che è appunto la condivisione dei beni. Non parliamo qui dei pochi spiccioli che possiamo donare fuori dalla chiesa o per la strada, o delle cose da vestire che portiamo in parrocchia svuotando i nostri armadi a fine inverno. Tutte cose utili, sia chiaro; ma qui si tratta della carità, cioè una condivisione della vita, del dolore, della gioia con il povero. La carità è Dio stesso: Deus Caritas est. È amare come Dio ci ama, e amare proprio perché per primi siamo stati amati da Lui.
Ci sono nuovi modi di digiunare che non siano legati alla moda o al salutismo? E in che modo nella pratica del digiuno può rientrare anche l’astenersi da internet e dai social network?

La Chiesa, e quindi il Papa, non fanno un elenco di cose dalle quali digiunare. Non è questo il loro compito. Perché altrimenti ognuno potrebbe sentirsene escluso: se il Papa chiede di digiunare dalla carne, chi la carne non la mangia mai si sente sollevato; se il Papa chiede di digiunare da internet o dai social media, chi non ha la possibilità della connessione non lo farà... e così via. Ma non è questo ciò a cui il Papa ci chiama con il messaggio quaresimale. Astenersi da qualcosa che ci chiude in noi stessi, vuol dire aprirsi di nuovo al rapporto con l’Altro e con il mio fratello. Ognuno sa da che cosa deve astenersi per tornare ad avere questa relazione. Ognuno sa cosa si deve togliere per essere solidale con gli altri. E ricordiamoci, infine, che la cosa importante della Quaresima è la Pasqua, cioè la resurrezione. Nella Pasqua Dio ha vinto la morte e il peccato, cioè tutto ciò che tiene l’uomo prigioniero di se stesso. La Pasqua apre per l’uomo la possibilità della rigenerazione che ci viene dal battesimo. Non a caso nella Pasqua rinnoviamo le promesse battesimali. Il battesimo ci fa tutti figli di Dio e quindi capaci di curare noi stessi, di curare gli altri, di curare le cose che ci stanno attorno e così il creato. Tornare in comunione con Dio non è una cosa magica: la Chiesa, che è madre, ci invita a fare azioni concrete perché torniamo ad avere un rapporto vero e sincero con il Creatore.
L'Osservatore Romano