sabato 18 febbraio 2012

Omelie sulla Trasfigurazione




Il Vangelo di oggi 18 febbraio è quello della Trasfigurazione del Signore. Propongo di seguito alcuni commenti e omelie su questo testo tanto importante. In ordine gli autori sono:

J. Ratzinger - Benedetto XVI
p. Raniero Cantalamessa ofmcap.
Tommaso Federici
Romano Guardini
Card. Gianfranco Ravasi
Card. Carlo Caffarra
A. Nocent
Eloi Leclerq
Mons. Bruno Forte
Carmen Hernandez (in spagnolo)

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J. Ratzinger. La Trasfigurazione (da Gesù di Nazaret)

In tutti e tre i sinottici la confessione di Pietro e il rac­conto della trasfigurazione di Gesù sono collegati tra loro da un'indicazione temporale. Matteo e Marco di­cono: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Gia­como e Giovanni» (Mt. 17,1; Mc. 9,2), Luca scrive: «Circa otto giorni dopo questi discorsi ... » (Lc 9,28). Ciò significa innanzi tutto che i due avvenimenti in cui Pietro svolge sempre un ruolo preminente han­no a che fare l'uno con l'altro. In un primo momento potremmo dire: entrambe le volte si tratta della divi­nità di Gesù, il Figlio; ma entrambe le volte l'appari­zione della sua gloria è legata anche al tema della pas­sione. La divinità di Gesù va insieme alla croce; solo in questo legame riconosciamo Gesù in modo giusto. Giovanni ha espresso questo intimo intreccio di croce e gloria dicendo che la croce è l’«esaltazione» di Gesù e che la sua esaltazione non si compie se non sulla cro­ce. Ora dobbiamo tuttavia andare un po' più a fondo circa questa singolare datazione. Esistono due inter­pretazioni differenti che però non devono escludersi a vicenda.
In particolare Jean-Marie Van Cangi e Michel Van Esbroeck hanno sviscerato il rapporto con il calenda­rio delle festività giudaiche. Essi richiamano l'atten­zione sul fatto che soltanto cinque giorni separano due grandi feste giudaiche nell’autunno: prima vi è lo Yom Kippur, la grande festa dell’espiazione; sei giorni dopo viene poi celebrata la festa delle Capanne (Sukkot) che dura una settimana. Ciò starebbe a significare che la confessione di Pietro ha avuto luogo durante il grande giorno dell’espiazione e che teologicamente andrebbe anche interpretata sullo sfondo di questa festa, l'unica occasione dell’anno in cui il sommo sacerdote pronun­cia solennemente il nome YHWH nel Santo dei Santi del tempio. In questo contesto la confessione di Pietro in Gesù Figlio del Dio vivente acquisirebbe un'ulte­riore dimensione di profondità. Jean Daniélou ricolle­ga invece l'indicazione della data fornita dagli evange­listi esclusivamente alla festa delle Capanne, che - co­me già detto - durava un'intera settimana. In sostanza, dunque, le indicazioni temporali di Matteo, Marco e Luca concorderebbero. I sei, rispettivamente circa ot­to giorni, si riferirebbero quindi alla settimana della festa delle Capanne; la trasfigurazione di Gesù avreb­be pertanto avuto luogo l'ultimo giorno di questa fe­sta, che ne costituiva insieme il culmine e la sintesi in­terna.
Le due interpretazioni sono accomunate dal fatto che la trasfigurazione di Gesù ha a che fare con la fe­sta delle Capanne. Vedremo che, in effetti, questa rela­zione si manifesta nel testo stesso e ci consente una comprensione più profonda dell'intero avvenimento. Oltre la peculiarità di questi racconti emerge un tratto fondamentale della vita di Gesù, delineato soprattutto da Giovanni, come abbiamo visto nel capitolo prece­dente: i grandi avvenimenti della vita di Gesù hanno un rapporto intrinseco con il calendario delle festività ebraiche; sono, per così dire, avvenimenti liturgici in cui la liturgia, con la sua commemorazione e la sua attesa, diventa realtà, diventa vita, che riconduce a sua volta alla liturgia e che da lì vorrebbe ridiventare vita.
Proprio nell’analisi delle relazioni tra la storia della trasfigurazione e la festa delle Capanne vedremo anco­ra una volta con chiarezza, che tutte le feste giudaiche hanno in sé tre dimensioni. Derivando da celebrazioni della religione naturale, parlano del Creatore e della creazione; si trasformano poi in ricordi dell’agire stori­co di Dio e infine, in base a ciò, in feste della speranza che vanno incontro al Signore che viene, nel quale giunge a compimento l'agire salvifico di Dio nella sto­ria e si risolve al tempo stesso nella riconciliazione di tutta la creazione. Vedremo come queste tre dimensio­ni delle feste si approfondiscano ulteriormente e acquistino un nuovo carattere mediante la loro realizza­zione nella vita e nella passione di Gesù. A questa interpretazione liturgica della data se ne con­trappone un’altra, sostenuta con insistenza soprattutto da Hartmut Gese, che non reputa sufficientemente fondata l'allusione alla festa delle Capanne e legge in­vece l'intero testo sullo sfondo di Esodo 24 - la salita di Mosè sul monte Sinai. In effetti, questo capitolo, in cui viene descritta la stipulazione dell’Alleanza di Dio con Israele, è una chiave interpretativa essenziale per l'evento della trasfigurazione. Vi si legge: «La Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube» (Es 24,16). Il fatto che qui­a differenza dei Vangeli - si parli del settimo giorno non deve smentire un legame tra Esodo 24 e l'evento della trasfigurazione; mi sembra tuttavia più convin­cente la datazione basata sul calendario delle festività giudaiche. Del resto, non vi è nulla di inconsueto nel fatto che diversi collegamenti tipologici confluiscano negli avvenimenti del cammino di Gesù, dimostrando così che Mosè e i Profeti parlano tutti di Gesù.
Veniamo ora al testo stesso della trasfigurazione. Vi si dice che Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovan­ni e li portò sopra un monte alto, loro soli (cfr. Mc 9,2). Ritroveremo questi tre discepoli sul monte degli Ulivi (cfr. Mc 14,33) nell'estrema angoscia di Gesù come immagine di contrasto con la trasfigurazione, sebbene i due episodi siano inscindibilmente legati tra loro. Qui non si può non vedere il riferimento a Esodo 24, dove Mosè porta con sé nella sua salita Aronne, Nadab e Abiu - ma anche settanta anziani d'Israele.
Come già nel Discorso della montagna e nelle notti trascorse in preghiera da Gesù, incontriamo di nuovo il monte come luogo della particolare vicinanza di Dio; di nuovo dobbiamo pensare ai vari monti della vita di Gesù come a un tutt'uno: il monte della tentazione, il monte della sua grande predicazione, il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell'angoscia, il monte della croce e infine il monte dell'a­scensione; su di esso il Signore - in contrasto con l'of­ferta del dominio sul mondo in virtù del potere del de­monio - dichiara: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Sullo sfondo si stagliano però anche il Sinai, l'Oreb, il Moria - i monti della rivela­zione dell'Antico Testamento, che sono tutti al tempo stesso monti della passione e monti della rivelazione e, dal canto loro, rimandano, anche al monte del tempio su cui la rivelazione diventa liturgica.
Nella ricerca di un'interpretazione, senza dubbio si profila dapprima sullo sfondo il simbolismo generale del monte: il monte come luogo della salita - non solo della salita esteriore, ma anche dell'ascesa interiore; il monte come un liberarsi dal peso della vita quotidia­na, come un respirare nell' aria pura della creazione; il monte che offre il panorama dell'ampiezza della crea­zione e della sua bellezza; il monte che mi dà elevatez­za interiore e mi permette di intuire il Creatore. La storia aggiunge a queste considerazioni l'esperienza del Dio che parla e l'esperienza della passione, che culmina nel sacrificio di Isacco, nel sacrificio dell'a­gnello, prefigurazione dell'Agnello definitivo, sacrifi­cato sul monte Calvario. Mosè ed Elia avevano potuto ricevere la rivelazione di Dio sul monte; ora sono a colloquio con Colui che è la rivelazione di Dio in per­sona.
«Si trasfigurò davanti a loro» dice semplicemente Marco e, con un po' di goffaggine, quasi balbettando dinanzi al mistero aggiunge: «Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaia sulla terra potrebbe renderle così bianche» (9,2s). Matteo dispo­ne già di parole più impegnative: «Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (17,2). Luca è l'unico ad aver indicato già in precedenza lo scopo della salita: «Salì sul monte a pregare», e da lì spiega poi l'avvenimento di cui i tre discepoli diventano testimoni: «E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne can­dida e sfolgorante» (9,29). La trasfigurazione è un av­venimento di preghiera; diventa visibile ciò che acca­de nel dialogo di Gesù con il Padre: l'intima compe­netrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce. Ciò che Egli è nel suo intimo e ciò che Pietro aveva cercato di dire nella sua confessione - si rende percepibile in questo momento anche ai sensi: l'essere di Gesù nella luce di Dio, il suo proprio esse­re luce come Figlio.
Qui diventano visibili il riferimento alla figura di Mosè e la differenza: «Quando Mosè scese dal monte Sinai [ ... ] non sapeva che la pelle del suo viso era di­ventata raggiante, poiché aveva conversato con il Si­gnore»(Es 34,29). Attraverso la conversazione con Dio, la luce di Dio si irradia su di lui e lo rende a sua volta raggiante. Tuttavia, si tratta, per cosi dire, di un raggio che lo raggiunge dall'esterno, e ora fa risplen­dere anche lui. Gesù, invece, risplende dall'interno, non riceve solo luce, ma è Egli stesso Luce da Luce.
L'abito di Gesù, bianco come la luce durante la trasfi­gurazione, parla tuttavia anche del nostro futuro. Nella letteratura apocalittica le vesti bianche sono espressione della creatura celeste - le vesti degli angeli e degli eletti. così, l'Apocalisse di Giovanni parla delle vesti candide che verranno indossate dai salvati (cfr. soprattutto 7,9.13; 19,14), Essa, però, ci dice anche qualcosa di nuo­vo: le vesti degli eletti sono candide perché essi le hanno lavate nel sangue dell' Agnello (cfr. Ap 7,14) - vuol dire: perché mediante il battesimo sono stati uniti alla passio­ne di Gesù e la sua passione è la purificazione che ci re­stituisce la veste originaria, perduta nel peccato (cfr. Le 15,22!). Mediante il battesimo siamo con Gesù rivestiti di luce e siamo diventati noi stessi luce.
Ora appaiono Mosè ed Elia e parlano con Gesù. Ciò che il Risorto spiegherà ai discepoli sulla via di Em­maus è qui un'apparizione visibile. La Legge e i Profe­ti parlano con Gesù, parlano di Gesù. Soltanto Luca ci riferisce - almeno in un breve accenno - di che cosa conversavano i due grandi testimoni di Dio con Gesù: «Apparsi nella loro gloria, parlavano della sua diparti­ta che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (9,31). Il loro argomento di conversazione è la croce, intesa tuttavia in senso ampio come esodo di Gesù, che doveva aver luogo a Gerusalemme. La cro­ce di Gesù è esodo, un uscire da questa vita, un attraversare il «Mar Rosso» della passione e un passare nella gloria, nella quale tuttavia restano sempre impresse le stimmate.
In tal modo si chiarisce che il tema fondamentale della Legge e dei Profeti è la «speranza di Israele» ­l'esodo che libera definitivamente; che il contenuto di questa speranza è il sofferente Figlio dell'uomo e ser­vo di Dio che, soffrendo, apre la porta verso la libertà e la novità. Mosè ed Elia sono essi stessi figure e testi­moni della passione. Parlano con il Trasfigurato di ciò che hanno detto sulla terra, della passione di Gesù; ma, mentre ne parlano con il Trasfigurato, diventa pa­lese che questa passione porta salvezza; che è permea­ta dalla gloria di Dio, che la passione viene trasformata in luce, in libertà e gioia.
A questo punto dobbiamo anticipare la conversazione che i tre discepoli intrattengono con Gesù durante la discesa dal «monte alto». Gesù parla con loro della sua futura risurrezione dai morti che, appunto, include la croce come precedente passaggio. I discepoli, invece, pongono domande sul ritorno di Elia annunciato dagli scribi. Gesù dice loro: «Sì, prima viene Elia e ristabili­sce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uo­mo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fat­to di lui quello che hanno voluto, come di lui sta scritto» (Me 9,9-13). Gesù conferma così, da una parte, l'attesa del ritorno di Elia, ma dall'altra completa e corregge al con tempo l'immagine che ci si era fatti di quell’evento. Identifica tacitamente l'Elia che ritorna con Giovanni Battista: nell'attività del Battista ha avu­to luogo un ritorno di Elia.
Giovanni era venuto per riunire Israele, per prepa­rarlo all' avvento del Messia. Se però il Messia è Egli stesso il sofferente Figlio dell'uomo e solo così apre la via verso la salvezza, allora anche l'attività preparato­ria di Elia deve stare in qualche modo sotto il segno della passione. E infatti: «Hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come di lui sta scritto» (Mc 9,13). Qui Gesù ricorda, da una parte, l'effettivo destino del Battista, ma dall' altra, con il riferimento alla Scrittu­ra, allude forse anche a tradizioni esistenti, che predi­cevano il martirio di Elia: Elia veniva considerato «l'unico a essere sfuggito al martirio durante la perse­cuzione; al suo ritorno deve subire anch'egli la morte» (Pesch, Markusevangeliurn IIp. 80).
L'attesa della salvezza e la passione vengono pertan­to comunemente associate tra loro, sviluppando così un'immagine della redenzione che, in fondo, è confor­me alla Scrittura, ma che possiede una novità travol­gente rispetto alle aspettative esistenti: la Scrittura an­dava e va continuamente riletta con il Cristo sofferen­te. Sempre di nuovo dobbiamo lasciarci introdurre dal Signore nel suo dialogo con Mosè ed Elia, continua­mente dobbiamo imparare di nuovo a partire da Lui, il Risorto, a comprendere la Scrittura.
Torniamo al racconto stesso della trasfigurazione. I tre discepoli sono sconvolti dalla grandezza dell' apparizio­ne: il «timore di Dio» li pervade, come abbiamo visto in altri momenti in cui avvertono la vicinanza di Dio in Ge­sù, intuiscono la propria miseria e sono quasi paralizzati dalla paura. «Erano stati presi dallo spavento» ci dice Marco (9,6). E tuttavia Pietro prende la parola, anche se nel suo stordimento, «non sapeva [ ... ] che cosa dire» (9,6): «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!» (9,5).
Di queste parole per così dire estatiche, pronunciate nel timore ma anche nella gioia della vicinanza di Dio, si è discusso molto. Hanno forse a che fare con la festa delle Capanne, nel cui ultimo giorno ebbe luogol'ap­parizione? Hartmut Gese contesta questa ipotesi e ri­tiene che il vero punto di riferimento nell' Antico Testa­mento sia Esodo 33,7ss, dove viene descritta la «ritua­lizzazione dell' episodio del Sinai» . Secondo questo te­sto, Mosè piantò «fuori dell'accampamento» la tenda della rivelazione, su cui scese poi la colonna di nube. Lì il Signore e Mosè parlarono «faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (33,11). Qui Pietro vorrebbe dunque dare continuità all' evento della rivelazione ed erigere tende di rivelazione; il particolare della nube che ora avvolge i discepoli potrebbe confermarlo. Una reminiscenza di questo testo della Scrittura potrebbe senz' altro essere presente; l'esegesi ebraica e paleocri­stiana conosce un intreccio in cui differenti riferimenti alla rivelazione confluiscono e si completano a vicenda. Il fatto che debbano essere costruite tre tende della ri­velazione è tuttavia in contrasto con un simile riferi­mento o almeno lo fa apparire secondario. Il rapporto con la festa delle Capanne diventa con­vincente se si considera l'interpretazione messianica di questa festa nel giudaismo all'epoca di Gesù. Jean Da­niélou ha approfondito questo aspetto in maniera con­vincente, collegandolo alla testimonianza dei Padri, in cui le tradizioni ebraiche erano senz' altro ancora note e venivano reinterpretate nel contesto cristiano. La fe­sta delle Capanne presenta la medesima tridimensio­nalità caratteristica - come abbiamo già potuto vedere - delle grandi feste giudaiche in generale: una festa tratta originariamente dalla religione naturale diventa al tempo stesso una festa dei ricordi storici delle azioni salvifiche di Dio, e il ricordo diventa speranza di sal­vezza definitiva. Creazione - storia - speranza si colle­gano tra loro. Se durante la festa naturale delle Capan­ne con la sua offerta dell' acqua si era implorata la pioggia necessaria in una terra arida, la festa diviene ben presto il ricordo della peregrinazione di Israele nel deserto, dove gli ebrei avevano vissuto nelle tende (ca­panne, sukkot) (cfr. Lv 23,43),Daniélou cita prima Riesenfeld: «Le capanne furono concepite non solo come ricordo della protezione divina nel deserto, ma [ciò che è importante] anche come una prefigurazione dei sukkot [divini] nei quali i giusti avrebbero abitato nel secolo a venire. Sembra, quindi, che con il rito più caratteristico della festa delle Capanne, così come que­sta era celebrata nei tempi del giudaismo, era collega­to un significato escatologico molto preciso» (p. 451). Nel Nuovo Testamento, ritroviamo in Luca il discorso delle eterne tende dei giusti nella vita futura (16,9). «L'epifania della gloria di Gesù» così Daniélou «è in­terpretata da Pietro come il segno che i tempi messianici sono arrivati. E uno dei caratteri dei tempi messia­nici era il soggiorno dei giusti nelle tende di cui quelle della festa delle Capanne erano figura» (p. 459). L'esperienza della trasfigurazione durante la festa delle Capanne permise a Pietro di riconoscere, nella sua estasi, «che le realtà prefigurate dai riti della festa era­no realizzate [ ... ]. La scena della trasfigurazione indica dunque che i tempi messianici sono venuti» (p. 459). Solo durante la discesa dal monte Pietro dovrà impa­rare ancora in modo nuovo a comprendere che l'epo­ca messianica è innanzitutto l'epoca della croce e che la trasfigurazione - il diventare luce in virtù del Signo­re e con Lui - comporta il nostro essere arsi dalla luce della passione.
A partire da questi collegamenti acquista nuovo si­gnificato anche la frase fondamentale del Prologo di Giovanni, dove l'evangelista riassume il mistero di Ge­sù: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare [lette­ralmente: pose la tenda] in mezzo a noi» (Cv 1,14). Sì, il Signore ha piantato la tenda del suo corpo in mezzo a noi, inaugurando così l'epoca messianica. Seguendo questa traccia, Gregorio di Nissa ha commentato il rapporto tra la festa delle Capanne e l'incarnazione in un testo magnifico, che parte dalla constatazione che la festa delle Capanne veniva sempre celebrata ma non era compiuta: «La vera festa della costruzione delle Capanne, infatti, non c'era ancora. Ma proprio per questo, conformemente alla parola profetica [allusio­ne al Salmo 118,27], Dio il Signore dell'universo si è rivelato a noi, per compiere la ricostruzione della ten­da distrutta della natura umana» (Gregorio di Nissa, De anima, PC 46, 132 B; cfr. Daniélou, pp. 464-466). Con negli occhi questa panoramica, torniamo ora al racconto della trasfigurazione. «Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!"» (Me 9,7). La nube sacra è il segno della presenza di Dio stesso, la Shekinah. La nube sopra la tenda della rive­lazione indicava la presenza di Dio. Gesù è la tenda sa­cra sopra la quale si trova la nube della presenza di Dio e dalla quale essa avvolge «nell'ombra» ora anche gli altri. Si ripete la scena del battesimo di Gesù, quan­do il Padre stesso dalla nube aveva indicato Gesù co­me Figlio: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi so­no compiaciuto» (Mc 1, 11).
A questa solenne proclamazione della dignità filiale si aggiunge però ora l'imperativo: «Ascoltatelo! ». Qui torna visibile la relazione con la salita di Mosè sul Si­nai, che all'inizio avevamo visto come sfondo della sto­ria della trasfigurazione. Sul monte, Mosè aveva ricevuto la Torah, la parola d'insegnamento di Dio. Ora, con riferimento a Gesù, ci viene detto: «Ascoltatelo! ». Hartmut Gese ha commentato questa scena con per­spicace correttezza: «Gesù è diventato la stessa Parola divina della rivelazione. I Vangeli non possono presen­tarlo in modo più chiaro e più possente: Gesù è la stes­sa Torah» (p. 81). L'apparizione è così terminata, il suo significato più profondo è riassunto in quest'unica parola. I discepoli devono ridiscendere con Gesù e im­parare sempre di nuovo: «Ascoltatelo!».
Se impariamo a interpretare così il contenuto del rac­conto della trasfigurazione - irruzione e inizio dell'epoca messianica - riusciamo anche a comprendere la parola oscura che Marco inserisce tra la confessione di Pietro e l'insegnamento ai discepoli, da una parte, e il racconto della trasfigurazione, dall'altra: «E diceva lo­ro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza"» (9,1). Che cosa significa? Gesù predice forse che alcuni degli astanti saranno ancora in vita al momento della sua Parusìa, dell'irruzione definitiva del regno di Dio? Oppure preannuncia qualcos’altro?
Rudolf Pesch (II 2, p. 66s) ha osservato in modo convincente che la collocazione di questa parola subi­to prima della trasfigurazione indica con molta chia­rezza il rimando a questo avvenimento. Ad alcuni ­che sono poi i tre accompagnatori di Gesù nella salita sul monte - viene promesso che faranno l'esperienza della venuta del regno di Dio «con potenza». Sul mon­te, i tre discepoli vedono splendere la gloria del regno di Dio in Gesù. Sul monte, la nube sacra di Dio li av­volge nell'ombra. Sul monte - nel dialogo di Gesù tra­sfigurato con la Legge e i Profeti - essi riconoscono che la vera festa delle Capanne è arrivata. Sul monte apprendono che Gesù stesso è la Torah vivente, l'inte­ra parola di Dio. Sul monte vedono la «potenza» (djnamis) del regno che viene in Cristo.
Tuttavia, proprio nello spaventoso incontro con la gloria di Dio in Gesù devono imparare ciò che Paolo dice ai discepoli di tutti i tempi nella Prima Lettera ai Corinzi: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cri­sto potenza di Dio [dinamis] e sapienza di Dio»(1,23s). Questa «potenza» (dynamis) del regno futuro appare loro nel Gesù trasfigurato che parla con i testi­moni dell' Antica Alleanza della «necessità» della sua passione come via verso la gloria (cfr. Lc 24,26s). Ve­dono così la Parusìa anticipata; vengono così iniziati pian piano all'intera profondità del mistero di Gesù.


J. Ratzinger-Benedetto XVI "Gesù di Nazaret, pg. 352-366

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R. CANTALAMESSA. LA DISCESA DAL MONTE TABOR

Di questa pagina cosí nota e familiare del Vangelo vorrei mettere a fuoco un momento che mi pare particolarmente fecondo per una riflessione quaresimale. Siamo sul Tabor. Davanti ai tre apostoli Pietro,Giacomo e Giovanni è apparsa la visione del Signore trasfigurato. Un'atmosfera di gloria e di indicibile pace è calata sul monte e li avvolge tutti. Per i tre apostoli,reduci da fatiche, dubbi e contrasti, è come sentirsi improvvisamente dentro un porto tranquillo dopo la tempesta. « E' bello per noi stare qui... ». Vogliono fermarsi; pensano già concretamente a come realizzare il progetto:«facciamo tre tende ». Ma ecco che Gesú si alza, li scuote e dice loro: « Alzatevi! » e, senza fiatare, anche se a malincuore, si avviano al piano, dove trovano la folla e gli altri apostoli, dove ritrovano la fatica, il dubbio e il contrasto. Questo momento del Vangelo illumina un'esperienza che ogni cristiano, prima o poi, deve fare nella sua vita. Arriva il momento che nell'esistenza di una persona o di una famiglia si stabilisce una certa calma, o addirittura la felicità. Le difficoltà si sono appianate, ci si intende, si è contenti del proprio lavoro, dei propri figli; la vita appare bella e piena di promesse per l'avvenire. Ci sembra di essere finalmente sul Tabor. La spinta ad adagiarci in questa situazione è irresistibile. Vorremmo non sentir parlare piú di dolore, di lutti intorno a noi; vorremmo andare avanti cosí all'indefinito. E' bello stare qui! Qualche volta il Signore, nei suoi piani, lascia l'uomo per parecchio tempo o per sempre in questo porto tranquillo. Gli occorre che ci siano anche segni di questo tipo nel mondo. Ma è l'eccezione. Il piú delle volte, ci viene vicino, ci scuote e dice anche a noi: Alzati! E ci ributta cosí nel vortice della vita, tra pene, contraddizioni, contrasti e malattie. Uno è costretto a fare salti mortali per far quadrare il bilancio familiare, uno si trascina da un ospedale all'altro al capezzale di un congiunto, uno infine è tradito nell'affetto, o è avvolto dal buio dell'incertezza.
Fin qui è il destino di ogni uomo, credente o non credente. Non è solo il discepolo di Gesú che passa per questa esperienza. In ciò siamo tutti uguali. Anche l'ateo ha il suo Tabor, dal quale deve scendere per salire il Calvario. La differenza è solo nell'atteggiamento che l'uomo assume di fronte a questa esperienza, nello spirito con cui la vive. Qui il discepolo di Gesú deve distinguersi dachi non ha la fede. Come distinguersi? Dalla risposta che darà a quell' « Alzati e cammina! ». Per Abramo, questa voce del Signore si espresse con le parole che abbiamo sentito nella prima lettura: « Esci dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre ». Egli stava cosí bene tra i suoi; era felicemente sposato con Sara, non desiderava forse che avere numerosi figli, tanti armenti e giungere a tarda età circondato dalla schiera dei figli dei suoi figli. La voce misteriosa del Signore gli intima: « Alzati e va'! ». E' un comando doloroso, ma non gratuito o capriccioso, da parte di Dio,perché quello che gli promette è molto piú di quello chegli chiede: « In te saranno benedette tutte le famiglie della terra ». « Abramo parti, come il Signore gli aveva ordinato ». Questo momento della vita di Abramo è l'espressione plastica della fede; per questo noi continuiamo a considerare questo pastore caldeo di quattromila anni fa « nostro padre nella fede ». Dio lo chiamò, lo invitò; egli rispose sí, fidandosi di lui, anche se non sapeva esattamente cosa l'attendeva e anche se non aveva garanzie. Questo « eccomi » della fede noi l'abbiamo pronunciato nel Battesimo, in una fase cioè della nostra vita in cui non potevamo dargli subito un contenuto. Ecco perché la Chiesa ci chiama, a diverse riprese, a realizzare e rendere cosciente quella scelta. La Quaresima è l'occasione per eccellenza per riportare alla luce questo impegno che giace sepolto nella nostra infanzia e nell'opacità della vita quotidiana. Chiamandoci a conversione, la Chiesa ci chiama, in realtà, a ripetere e fare nostra l'esperienza di Abramo e quella degli apostoli sul Tabor:uscire, scendere, andare. Uscire dalla routine della vita - dalla nostra Ur di Caldea - in cui siamo confortevolmente installati, la mente piena di progetti e di desideri terreni. Andare « verso il paese che il Signore ci indica », cioè verso il futuro della fede, aprendoci alle promesse che Dio ci fa e alle opere che ci chiede. Il paese che Dio indica, per Abramo era la terra promessa, la Palestina; per noi è il Regno di Dio. Non solo il Regno di Dio dopo la morte, ma quello che è già « tra noi », in terra, e per l'avvento del quale preghiamo nel « Padre nostro »; quel Regno di Dio che altro non è se non la volontà di Dio su di me che aspetta di essere compiuta: « Venga il tuo regno », cioè « sia fatta la tua volontà ». Uscire da Ur di Caldea e scendere dalTabor altro non significa, dunque, che andare coraggiosamente incontro alla volontà di Dio. Se non vogliamo però rimanere sul piano delle parole e delle buone intenzioni, illudendo pericolosamente noi stessi, dobbiamo tradurre, in questo tempo, la nostra disponibilità con qualche gesto concreto che esprima il nostro « sí » a Dio. Alla gioia luminosa della Pasqua, i tre apostoli non sarebbero giunti se si fossero fermati sul Tabor, magari all'ombra delle tre tende. Anche noi non ci giungeremo se non seguendo coraggiosamente il Signore. Se abbiamo fede per riconoscerlo, questo è il momento in cui egli ci viene vicino, come a Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor, anzi viene dentro di noi e ci invita a seguirlo verso Gerusalemme. Ci dice: Alzatevi, andiamo!
Si trasfigurò davanti a loro
Perché la fede, le pratiche religiose sono in declino e non sembrano costituire, almeno per i più, il punto di forza nella vita? Perché la noia, la stanchezza, la fatica nell'assolvere i propri doveri di credenti? Perché i giovani non si sentono attirati? Perché, insomma, questo grigiore e questa mancanza di gioia tra i credenti in Cristo? L'episodio della trasfigurazione ci aiuta a dare una risposta a queste domande.
Cosa significò la trasfigurazione per i tre discepoli che assistettero ad essa? Finora essi avevano conosciuto Gesù nella sua apparenza esterna, un uomo non diverso dagli altri, di cui conoscevano la provenienza, le abitudini, il timbro di voce... Ora conoscono un altro Gesù, il vero Gesù, quello che non si riesce a vedere con gli occhi di tutti i giorni, alla luce normale del sole, ma è frutto di una rivelazione improvvisa, di un cambiamento, di un dono.
Perché le cose cambino anche per noi, come per quei tre discepoli sul Tabor, bisogna che succeda nella nostra vita qualcosa di simile a quello che capita a un giovane o a una ragazza quando si innamorano. Nell'innamoramento l'altro, l'amato, che prima era uno dei tanti, o forse uno sconosciuto, di colpo diventa l'unico, il solo al mondo che interessi. Tutto il resto indietreggia e si colloca come su uno sfondo neutro. Non si è capaci di pensare ad altro. Avviene una vera e propria trasfigurazione. La persona amata viene vista come in un alone luminoso. Tutto appare bello in lei, perfino i difetti. Se mai, ci si sente indegni di lei. L'amore vero genera umiltà. Qualcosa cambia anche concretamente nelle proprie abitudini di vita. Ho conosciuto ragazzi che al mattino i genitori non riuscivano a tirare fuori dal letto per far andare a scuola; se si trovava loro un lavoro, dopo un po' lo abbandonavano; oppure si trascinavano negli studi senza laurearsi mai... Poi, ecco che, una volta innamoratisi di qualcuno e diventati fidanzati, al mattino saltano dal letto, sono impazienti di terminare gli studi, se hanno un lavoro se lo tengono caro. Cosa è successo? Niente, semplicemente quello che prima facevano per costrizione, ora lo fanno per attrazione. E l'attrazione è capace di far fare cose che nessuna costrizione riesce a far fare; mette le ali ai piedi. "Ognuno, diceva il poeta Ovidio, è attratto dall'oggetto del proprio piacere".
Qualcosa del genere, dicevo, dovrebbe succedere una volta nella vita per diventare cristiani veri, convinti, gioiosi di esserlo. "Ma la ragazza o il ragazzo, si vede, si tocca!" Rispondo: Anche Gesù si vede e si tocca, però con altri occhi e con altre mani: quelli del cuore, della fede. Egli è risorto ed è vivo. È un essere concreto, non un'astrazione, per chi ne fa l'esperienza e la conoscenza. Anzi con Gesù le cose vanno ancora meglio. Nell'innamoramento umano, ci si inganna, attribuendo all'amato doti che forse non ha e con il tempo si è spesso costretti a ricredersi. Nel caso di Gesù, più si conosce e si sta insieme, più si scoprono nuovi motivi per essere innamorati di lui e confermati nella propria scelta.
Questo non vuol dire che bisogna starsene tranquilli ad aspettare, anche con Cristo il classico "colpo di fulmine". Se un ragazzo, o una ragazza, se ne sta tutto il tempo chiuso in casa, senza vedere nessuno, non succederà mai niente nella sua vita. Per innamorarsi bisogna frequentarsi! Se uno è convinto, o semplicemente comincia a pensare che è bello e vale la pena conoscere Gesù Cristo in questo modo diverso, trasfigurato, allora bisogna che cominci a "frequentarlo", a leggere i suoi scritti. Le sue lettere d'amore sono il Vangelo! È lì che egli si rivela, si "trasfigura". La sua casa è la Chiesa: è lì che lo si incontra.


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P. Raniero Cantalamessa. Ascoltatelo!


“Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”. Con queste parole, Dio Padre dava Gesù Cristo all’umanità come suo unico e definitivo Maestro, superiore alla Legge e ai profeti. 

Dove parla Gesù oggi, per poterlo noi ascoltare?. Ci parla anzitutto attraverso la nostra coscienza.. Essa è una specie di “ripetitore”, installato dentro di noi, della voce stessa di Dio. Ma da sola essa non basta. È facile farle dire quello che piace a noi ascoltare. Ha bisogno perciò di essere illuminata e sorretta dal Vangelo e dall’insegnamento della Chiesa. Il vangelo è il luogo per eccellenza in cui Gesù ci parla oggi. Sappiamo però per esperienza che le anche parole del Vangelo possono essere interpretate in modi diversi. Chi ci assicura una interpretazione autentica, è la Chiesa, istituita da Cristo proprio a tale scopo: “Chi ascolta voi, ascolta me!”. Per questo è importante che cerchiamo di conoscere la dottrina della Chiesa, conoscerla di prima mano, come essa stessa la intende e la propone, non nella interpretazione, spesso distorta e riduttiva, dei mass-media. 

Quasi altrettanto importante che sapere dove parla Gesù oggi, è sapere dove non parla. Egli non parla di certo attraverso i maghi, gli indovini, i negromanti, i dicitori di oroscopi, i sedicenti messaggi extraterrestri; non parla nelle sedute spiritiche, nell’occultismo. Nella Scrittura leggiamo questo ammonimento al riguardo: “Non si trovi in mezzo a te chi esercita la divinazione, o il sortilegio, o l’augurio, o la magia; né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti, o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore” (Dt 18, 10-12). 

Questi erano i modi tipici di rapportarsi al divino dei pagani che traevano auspici consultando gli astri, o le viscere di animali, o il volo degli uccelli. Con quella parola di Dio: “Ascoltatelo!”, tutto questo è finito. C’è un solo mediatore tra Dio e gli uomini; non siamo costretti ad andare più “a tentoni”, per conoscere il volere divino, a consultare questo o quello. In Cristo abbiamo ogni risposta. 

Oggi purtroppo quei riti pagani sono tornati di moda. Come sempre, quando diminuisce la vera fede, aumenta la superstizione. Prendiamo la cosa più innocua tra tutte, l’oroscopo. Non c’è, si può dire, giornale o stazione radio che non propini giornalmente ai suoi lettori e ascoltatori l’oroscopo. Per le persone mature, dotate di un minimo di capacità critica o di ironia, esso non è che una innocua presa in giro reciproca, una specie di gioco e di passatempo. Ma intanto guardiamo gli effetti a lungo andare. Che mentalità si forma, specie nei ragazzi e negli adolescenti? Quella secondo cui il successo nella vita non dipende dallo sforzo, da applicazione nello studio e costanza nel lavoro, ma da fattori esterni, imponderabili; dal riuscire a volgere a proprio vantaggio certi poteri, propri o altrui. Peggio ancora, tutto ciò induce a pensare che, nel bene e nel male, la responsabilità non è nostra, ma delle “stelle”, come pensava il Don Ferrante di manzoniana memoria. 

Devo accennare a un altro ambito in cui Gesù non parla e dove invece lo si fa parlare tutto il tempo. Quello delle rivelazioni private, messaggi celesti, apparizioni e voci di varia natura. Non dico che Cristo o la Vergine non possano parlare anche attraverso questi mezzi. Lo hanno fatto in passato e lo possono fare, evidentemente, anche oggi. Solo che prima di dare per scontato che si tratti di Gesù o della Madonna che parla e non della fantasia malata di qualcuno, o, peggio, di furbi che speculano sulla buona fede della gente, occorre avere delle garanzie. Bisogna, in questo campo, attendere il giudizio della Chiesa, non precederlo. Sono ancora attuali le parole di Dante: “Siate, cristiani, a muovervi più gravi, / non siate come penna ad ogni vento” (Par. V, 73 s.). 

San Giovanni della Croce diceva che da quando, sul Tabor, ha detto di Gesù: “Ascoltatelo!”, Dio è diventato, in certo senso, muto. Ha detto tutto, non ha cose nuove da rivelare. Chi gli chiede nuove rivelazioni, o risposte, lo offende, come se non si fosse ancora spiegato chiaramente. Dio continua a dire a tutti la stessa parola: “Ascoltate lui!, leggete il vangelo: vi troverete più, non meno, di quello che cercate”.

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Tommaso Federici: La Trasfigurazione del Signore 

Per comprendere il filo di queste Domeniche sarà buona norma rifarsi alla Domenica precedente, ma anche dare una scorsa alle Domeniche che seguono, cercando di possedere mentalmente la logica sviluppata da testi di eccezionale importanza.
1) Ant. ingr.: Sal 26,8-9a, « Salmo di fiducia individuale ». La meditazione costante del Salmista fedele, che sale dal suo « cuore », ossia dal centro della sua anima, è « cercare il Volto » del Signore. Il «volto » indica la persona. Il fedele vive nell'impegno della sua vita, che viene dalla promessa del Signore di farsi trovare se sarà cercato. Si è visto che il luogo propizioper cercare il Signore è il suo santuario (Es 33,7). L'Orante dunque è teso al conseguimento di questa promessa (v. 8b). Né egli si dimentica che il Volto divino indica anche l'aspetto nuziale: la Sposa desidera con ogni sua forza di vedere il Volto dello Sposo, preludio dell'unione nuziale trasformante.È il medesimo desiderio dello Sposo, di Ct 2,14: « Mostra a me il volto tuo - fa che io ascolti la voce tua » (cfr anche Ct 8,13). Perciò l'Orante innalza la sua epiclesi ansiosa, in forma negativa, affinché mai il Signore cessi di mostrare il Volto suo (v. 9a). Infatti se il Signore distoglie la sua Presenza e la sua cura benevola, la povera realtà umana resta immersa nella tristezza del peccato (Sal 50,13), dell'abbandono di morte (Sal 21,2; 68,18; 101,3; 142,7; Ger 7,15). L'Orante invece desidera solo vivere alla luce di questo Volto divino.
2) V/ Ev.: Mt 17,5, adattato, la Voce del Padre nella Trasfigurazione. Il testo orienta la lettura che segue, e dunque va riletto nel contesto. L'imperativo del Padre a noi è a dare ascolto totale al Figlio. La teologia simbolica ci dice che stessa, la presenza concreta; l'occhio vuole sempre vedere il volto, come l'orecchio vuole sempre ascoltare la voce e questo in Dio stesso: Ct 2,14, Orante vuole sempre godere di questa visione trasformante, del Volto-Presenza, Volto d'amore e di bontà (v. 8a).
3) EVANGELO: Mt 17,1-9, la santa Trasfigurazione del Signore. Per due eventi essenziali della Vita del Signore, Matteo non presenta la «formula d'adempimento »: il Battesimo e laTrasfigurazione, benché essi con la Croce e la Resurrezione siano le massime operazioni del Disegno divino per il Figlio. Essi vanno dunque riletti sempre come un unico determinante contesto. In sé, la Trasfigurazione è così importante, che seguendo i Padri che la trattarono a fondo, le Chiese orientali ne fannoil cardine capitale della loro spiritualità. Per la comprensione del fatto, occorrerà sempre rifarsi alloschema di Marco, il quale appare meno incisivamente in Matteo e Luca. La Trasfigurazionesta dunque in uno schema preciso, con le sue anticipazionie le sue riprese, come si vede ponendo a confronto Marco e Matteo:
Mc8,27-30: Pietro confessa la fede messianica 31: il Signore predice la Passione e Resurrezione per la 1a volta 32-33: antifede di Pietro, il «satana » 34-37: il vero discepolo del Signore 38: il Figlio dell'uomo viene nella gloria 9,1: con lui viene il Regno 9,2-8: IL SIGNORE È TRASFIGURATO 9: il Figlio dell'uomo risorge dai morti, Elia è tornato, la fede del padre del lunatico, il Signore gli guarisce il figlio, la fede dei discepoli, il Signore predice la Passione e Resurrezione per la 2a volta, il Signore istituisce gli apostoli. Lo schema è decisivo, e va compreso così, battezzato dal Padre con lo Spirito, al Battesimo riceve il' suoprogramma battesimale nelle 3 Parole del Padre: « Il Figlio mio - il Diletto - in te Io già mi compiacqui »; sul suo Battesimo è tentato (Dom. Ia di Quaresima); svolge il suo Programma nello Spirito, annunciando l'Evangelo ed operando le opere del Regno. Come annota con più rigore Marco,ad un certo punto sul piano umano la sua missione è fallita; il Signore, non ha potuto radunare intorno a sé un popolo discepolo e missionario. Gli restano solo 12 discepoli, numero simbolico del «resto» delle tribù d'Israele. Adesso per proseguireha bisogno di una duplice «confermazione»: della fede di questi discepoli; e della Presenza del Padre con lo Spirito.Solo allora il suo Programma battesimale può proseguire finoalla Croce. D'altra parte, «intorno alla Trasfigurazione» si ha, prima e dopo, con la fede dei discepoli, con la figura del vero disce-polo, la Venuta del Figlio dell'uomo e la sua gloria del Regno, il 1° e 2° annuncio della Passione e Resurrezione, i veri fini della Trasfigurazione; e di nuovo l'istruzione dei discepoli. Gli esegeti annotano che per l'evento sulla Montagna il Signore prende con sé i 3 discepoli consueti, Pietro, Giacomo e Giovanni (v. 1; già quando guarisce la figlia di Giairo, Mc. 5,37; poi al Getsemani, Mt 26,37); li prende come testimoni,secondo la Legge (Dt 17,6; 19,15), sicché l'evento è vero, storico, testimoniabile da persone ben conosciute nella Comunità, e di immenso prestigio, non solo per allora, ma anche fino a noi ed oltre. Il Signore li « conduce in alto » (ana-phére), sul Monte elevato, « in privato ». I Padri qui hanno visto con acutezza che questo è l'inizio della « vita con Cristo », la vita mistica, essere innalzati a vivere solo con lui. E davanti ad essi (v. 2) « fu trasfigurato », metamorphósi, mutare forma; ed in specie attraverso i segni di una teofania: il Volto suo sfolgora come il sole (Sal 35,10; Ap 1,14; 10,1), le vesti diventano bianche come la luce (Sal 28,3; 103,2); è il Figlio dell'uomo nella sua gloria (Dan 7,9, l'Antico di giorni, il Dio eterno, che trasmette la sua gloria al Figlio dell'uomo). La Luce del Volto del Signore è la Luce increata di Dio, manifestatasi nel Verbo Dio (Gv 1,1-5), propriamente nella sua Umanità mortale. Questa per un istante riceve la Gloria trinitaria, che è l'esperienza della Resurre- zione, quella che poi sfolgorerà in Cristo (2 Cor 3,18). Le vesti bianche, indizio della Maestà infinita di Dio, sono qui personaggi celebri, Mosè ed Elia, che si mostrano ai due disepoli. L'A.T. al completo, la Legge ed i Profeti, testimoniano adesso il N.T. per intero. Le spiegazioni sui due personaggi sono varie ed interessanti. Ambedue avevano ricevuto la teofania divina sul Monte, il Sinai e l’ Horeb. Ambedue erano stati attratti in alto dal Signore, «in privato». Ambedue "erano restati soli di fronte all'apostasia del popolo. Ambedue avevano ricevuto la Parola divina da portare ai loro popolo. Ambedue erano morti misteriosamente, di Mosè non si co-nosceva il luogo della sepoltura, Elia era salito sul carro difuoco. Soprattutto, ambedue erano stati gelosi dei diritti delloro Signore, per cui avevano sofferto angosce mortali. Adesso i due «parlano con» Gesù. Il colloquio è indicibile, certoha come contenuto la realizzazione della Promessa antica, ma sotto il «segno » terribile della Croce (esplicitato da Lc 9,31: l'esodo che Cristo deve fare a Gerusalemme). Entra come sempre per primo in azione Pietro, un pocoper sua iniziativa sempre impetuosa, un poco a nome deiconfratelli intimoriti (v. 4). Al Signore dice che è il segno della Vittoria eterna, che si mostra a tutti gli uomini chiamandoli a contemplarla ed a viverla. Al v. 3 la teofania del Figlio di Dio nella teofania trinitaria che si espliciterà tra poco è visitata ossia buono restare lì, e si offre di drizzare 3 tende, perl Gesù, per Mosè, per Elia. Si tratta delle skénai, tende. E dunque della grande festa delle Tende o Tabernacoli, propriamente « delle Capanne » (cfr Es 23,16; descrizione in Lev23,33-43), la festa del raccolto finale d'autunno, la più solenne dell'anno, in quanto si era caricata di significato messianico ed escatologico, ed aveva come « segni » la luce e l'acqua, come centro l'altare del santuario, come tensione il dono dello Spirito Santo. Ancora una volta, come nel deserto i pani dalle pietre avrebbero anticipato il convito messianico senza la Croce, così Pietro, il « satana » (Mt 16,23, dunque poco prima),tenta di far inaugurare dal Signore l'era escatologica senza giungere a Gerusalemme ed alla Croce. È l'inconsapevole opposizione al Disegno divino. Pietro non può «porre le tende ». Lo può, solo il Padre, che pure aveva rivelato a Pietro che Gesù è « il Figlio del Dio Vivente » (ancora una volta,poco prima, in 16,16 e 17). Adesso (v. 5a) interviene con il seguito della teofania, che smentisce radicalmente ogni opposizione alla Croce: la Nube luminosa fa ombra su tutti loro. Il verbo qui è episkiàxó, il medesimo usato in Lc 1,35 per lo Spirito Santo, che fa nascere da Maria il Figlio di Dio. Si aprono così altre prospettive, e decisive. La teologia simbolica ci insegna che la Nube della divina Gloria si posa sul Sinai dopo l'alleanza (Es 24,16), e successivamente prende possesso del santuario (Es 40,18), mentre accompagna il popolo nel suo esodo verso la terra, protezione permanente, di giorno, mentre di notte assume la forma della colonna di Fuoco (Es 13,21-22); la spiegazione è che « il Signore in forma di Nube e di Fuoco li precedeva » (ivi). E mentre è chiaro che i servitori del santuario antico, del culto geloso al Dio Vivente erano Mosè ed Elia, è chiaro che i servitori del Santuario nuovo, quello futuro, sono i discepoli del Signore.Poiché questo Santuario annunciato, dove dall'Alto discenderà per abitare ed officiare la divina Sapienza (Eccli 24,1-11), è il Tempio nuovo (Gv 2,17-22), il Corpo del Risorto(ivi), che dalla terra, attraverso la Croce, raggiungerà il Cielodove sta la sua dimora eterna. Perciò i suoi discepoli potranno esclamare: «E noi contemplammo la Gloria di Lui, Gloria dell'Unigenito del Padre! » (Gv 1,14), dove inabita in eterno il Pléróma per intero (Col 1,19), il Pléroma intero,della Divinità (Col 2,9), lo Spirito Santo, che deve riversarsi con supereffluenza da questo Santuario, sua unica inesauribile Fonte (At 2,32-33). Al v. 5 le due formule solenni: « ecco la Nube luminosa », inattesa e temibile; e « ecco la Voce ». Questa parla, e ripetela proclamazione del Giordano, di cui è la confermazione. La Nube della divina trascendenza dunque nasconde qualunque visione corporea, tuttavia la rivela potentemente quale Presenza indicibile ed efficace, onnipotente. Il Padre che parlaadesso ha un'unica parola da rivolgere al Figlio, e mediante lui a tutti gli uomini, e questa parola ha come unico contenuto il Figlio. Matteo (e Lc 9,35) fa rivolgere questa parola ai discepoli, come anche a Mosè e ad Elia (Mc 9,7: invece il Padre si rivolge al Figlio): « Questo è, il Figlio mio - il Diletto in cui Io già mi compiacqui - ascoltate lui! ». Si ha così una duplice confermazione: a) del Battesimo, dell'investitura messianica, del Dono dello . Spirito, della missione di Figlio Re Popolo Servo Profeta (Is 42,1; Sal 88,3; Is 49,7, etc.); si veda anche la Dom. 1° per l'anno; b) della fede dei discepoli, i quali l'avevano proclamata sinceramente poco prima per bocca di Pietro (16,16-18); essi per ora non potranno comprendere; comprenderanno quando riceveranno lo Spirito del Risorto. Intanto però debbono operare il massimo atto verso Dio: ascoltare il Figlio suo, il Promesso come Profeta grande che parlerà le realtà di Dio (Dt 18,15), le quali si avvereranno dimostrandone l'autenticità (Dt 18,16-22). La predicazione apostolica dopo la Pentecoste se ne renderà molto bene conto (At 3,22). Intanto il Figlio, « il Diletto » (respingere qui l'ignoranza delle versioni moderne, che banalizzano più o meno così « il Figlio prediletto », distruggendo tutta una teologia), l'Isacco nuovo dunque (Gen 22,1-2) dovrà essere « ascoltato ». Ora, il gr. akoúo, l'ebr. shama`, indicano molto di più che l'ascolto materiale: ascoltare e obbedire, seguire, fare come. Il Figlio deve essere « ascoltato » dunque fino sulla Croce; e si sa che i discepoli tutti l'abbandoneranno (27,56b). La Luce, la Nube, la Voce sono dunque « visione e parola », le due componenti della Rivelazione biblica, qui prodottesi nella teofania. Se ne può dare uno schema assai istrut-tivo:A) visione teofanica: a) Trasfigurazione; b) splendore; c)sole; d) vesti di luce; e) appaiono Mosè ed Elia; B) parola teofanica: a) la Voce; b) parlante; c) le 3 Parole. Accanto a questo si pone la reazione dei discepoli (Pietro): « rispose » senza essere interpellato direttamente (v.4a); ancora parlava quando dalla Nube viene la Voce (v. 5a);e questo alla visione. Dopo la Voce, essi « ascoltano» e cadono in terra. Nelle chiese che vogliono essere cristiane debbono starele sante icone (non gli orribili quadri naturalistici, né le statue paganeggianti). Le sante icone si compongono di lucel'oro), di visione del Volto, della Parola biblica che individua l'icona: « Iésoús Christós - ho On », Gesù Cristo (Mc 1,1),Colui che è (Es 3,14). La visione deve essere controllata dallaParola. I discepoli dunque ascoltando la Voce cadono in terra; è la reazione umana alla teofania divina (cfr Gen 17,3.17; Ez1,28; Ap 1,17). Così sarà per le Donne fedeli al sepolcro vuoto del Signore. La causa è il terrore dell'Immane che si accosta alla fragilità. Tale terrore è sempre salutare, non schiaccia l'uomo, ma lo rigenera (v. 6). Gesù lo sa. Con grande benevolenza si accosta ad essi e li tocca per confortarli (cfr Dan 8,18; 9,21; 10,10.18), e gli porge parole dense di significato: « Rialzatevi e non temete! » (v. 7). Il primo verbo è egéire, che si usa per la resurrezione: dalla prostrazione estrema di chi si sente annullato dalla Divinità, allo stare in piedi davanti alla medesima Divinità. Il timore è dunque rimosso, e lo dovrebbe essere persempre. Ma questo avverrà a causa della Resurrezione, quan-do tutti noi al battesimo riceviamo « lo Spirito della filiazione », non « del timore » né « della schiavitù » (Rom 8,15;cfr Gal 4,6). Rialzatisi, i discepoli vedono ormai davanti ad essi solo Gesù. La teofania per ora è terminata con l'effetto voluto.La visione del Signore resta per sempre negli occhi dei discepoli. Hanno visto la sua Divinità, da adesso vedranno la suaUmanità. Che sanno che è portatrice della Divinità. È la Divinità (v. 8). Adesso discendono dal Monte, per tornare alla missione del Signore, missione battesimale che termina alla Croce. Il Signore raccomanda di non parlare della « visione » « finché il Figlio dell'uomo dai morti risorga » (anistknó) (v. 9). In- fatti, la Resurrezione che altro è, se non la Trasfigurazione resa eterna nell'Umanità del Signore? E se a lui, dunque anche a noi (Rom 8,11). Così i discepoli nella Trasfigurazione e Resurrezione realmente « videro la Gloria di Lui» (Gv 1;14). 4) Ant. com.: Mt 17,5, adattato, « Ascoltate lui! ». « Questo è il Figlio mio - il Diletto - ascoltate lui! » è la rivelazione permanente che lo Spirito del Padre fa a noi oggi qui » per l'eccesso superabbondante della divina Bontà. È la confermazione battesimale perenne per noi, come lo fu per il Signore, come lo fu per la fede di Pietro e dei discepoli di allora. E noi oggi qui ascoltiamo il Signore in questa sua divina Parola, in questa sua divina Mensa dei Misteri,in questa divina Sposa che è la Chiesa Madre nostra unica.E « ascoltando » obbediamo e seguiamo il Signore dovunque vada, a partire da questa triplice unitaria comunione alla suaParola, alla sua Mensa, alla sua Sposa, comunione donatacidallo Spirito. Solo così noi anche siamo tutti « figli del Pa-dre », i « diletti del Padre », l'oggetto del Compiacimentodel Padre. E i catecumeni presenti ascoltano le realtà inimmaginabili che essi stessi si apprestano a ricevere ed a vivere, anzi, ad essere.
5) A.T.: Gen 12,1-4a, «Abramo!... e Abramo parti.». La tentazione a cui Adamo soggiace provoca negli uominisuoi discendenti catastrofi a catena, da Caino e Lamek, dallaperdita dello Spirito di Dio al diluvio, fino alla Torre di Babele (cfr Gen 4,1-15; 4,19-24; 6,1-3; 6,4-7; 6,8 - 9,17; 11,1-9). Di fronte a tanta rovina, il Disegno di Dio, che sembraimpedito, in realtà opera sapientemente, e « riassume » la realtà per condurla al fine predecretato in forza della legge biblica della « selezione regressiva », o concentrazione regressiva, ossia tra tutti scegliere i pochi, o uno. Dopo Caino, Dio sceglie Set. Poi sceglie Noè. Poi sceglie Abramo. Questo uno,lo scelto, sarà lo strumento della salvezza per gli altri. È la teologia del « resto santo ». Con il « Regno » infatti il Signore opera la « sussunzione progressiva » o « riassunzione universale » degli uomini, raggiunti tutti dalla Grazia divina concentrata sul Resto affinché sia donata a tutti quelli che tale Resto vorranno accettare. Solo così si comprende la concentrazione finale, il Figlio di Dio, dichiarata nelle Genealogie (cfr ancora Dom. 4a d'Avvento). Lo Spirito Vivificante all'ultimo dei tempi è portato infatti agli uomini solo dal Figlio Risorto. La lunga Preparazione a questo, assume un'importanza nodale con Abramo. In Gen 10 la « Tavola dei popoli » èelencata ai vv. 1-5, come una meraviglia, poiché il Signore crea tante stirpi, tante culture, tanti volti, tutti ad « immagine e somiglianza » sua. Ma ai vv. 6-20 comincia una prima approssimazione concentrazionale, con la genealogia di Cani; la quale è seguita da quella più vicina ad Abramo, la genealogia di Sem, vv. 21-31, dove l'universalità è dichiarata al v.32: tutti discendono da Noè, come tutti discendevano da Adamo, e tutti debbono discendere da Abramo. Non solo, la Torre di Babele (11,1-9) e la sua catastrofe universale, la dispersione « delle lingue » per il peccato di superbia auto-idolatra, porta solo una frattura. Ai vv. 10-26 torna più da vicino la genealogia di Sem, la quale finalmente ai vv. 27-32 si concentra in quella di Terah (Tare), il padre d'Abramo. Ecco il tempo divino. Il Signore chiama Abramo, a comin-ciare da un imperativo duro ed irreversibile: « Vatti viadalla terra tua » (12,1). E questo è ribadito: « e dalla parentela tua », di più: « e dalla casa del padre tuo ». È lo strappo definitivo dalla patria e dalla cultura, dal gruppo parentale che è la protezione, come una madre, per ogni uomo, dalla famiglia più stretta, padre e fratelli, con cui si vive il medesimo destino e la medesima speranza. Una lacerazioneche attraverso tutta l'esistenza. Tanto più che il versetto è completato da una meta singolare poiché è ignota: « verso la terra che Io ti farò vedere », ti mostrerò. Questa analisiresterebbe, come piace tanto a noi moderni, alla psicologia ed al ripiegamento « sull'uomo ». Ma alziamo finalmente gli occhi! Chi era Abramo? Un idolatra: « Così parla il Signore: “I padri vostri, Tare padre di Abramo e di Nahor, abitavano al principio oltre il Fiume, e servivano gli dèi stranieri » (Gios 24,2). La dichiarazione di Giosuè a Sichem, prima delladivisione delle tribù per occupare ciascuna la terra assegna-tale, è brutale. Tuttavia essa è temperata dal seguito: « Tuttavia, Io presi Abramo padre vostro di là dal Fiume, e loguidai per tutta la terra di Canaan, e moltiplicai la sua discendenza, e gli donai Isacco » (Gios 24,3). Significa che il Signore opera tutta la sua Bontà. Per formarsi il Resto deve schiantare intorno a lui tutto, come faràper il Re messianico di Is 11,1 (Dom. 2a d'Avvento). Una chirurgia dolorosa, ma a lungo andare benefica. Il Padre è il divino Contadino, che sa usare divinamente l'arte della po-tatura, affinché i rami residui producano molto frutto, dirà il Signore nella Cena (Gv 15,1-2). La potatura dolorosa chiede di più: la fede immediata ecerta. Il Signore non comunica ad Abramo se non le linee del suo Disegno: « la terra che dopo Io, quando sarà il tempo,ti mostrerò ». Così la fede chiede l'abbandono del vecchio,e l'abbandono nel Signore. La dote con cui il Signore accompagna il suo Abramo è tuttavia di inaudita abbondanza, e si può distinguere in 4 linee confluenti: a) la terra; il « luogo » normale dove il futuro popolo d'Abramo vive con il Signore; b) Abramo stesso, reso « benedizione » dalla divina benedizione. E qui ancora una volta vale richiamare il biblico significato di questo atto supremo: « la benedizione torna sul Benedicente ed unisce a Lui il benedetto »; cfr qui anche Gen14,18-20, la benedizione di Malkisedeq, la prima realizzazione; poi 24,1.35; 27,9; quindi Num 24,9; Dt 26,5; 1 Re3,8. È la prosecuzione in crescendo della divina benedizione nella creazione, Gen 1,28 e 2,3. Da questa benedizione il nome, l'essenza d'Abramo, sarà magnificato tra gli uomini, ma anche davanti al Signore stesso; c) la discendenza, « un popolo grande », che deriverà da Abramo (v. 2);d) la «benedizione di fraternità »: in Abramo si benediranno, si riconosceranno benedette dal Signore tutte le « stirpi » (mishpehet, termine di difficile traduzione) della terra; è l'aspetto universale che il Signore ricostituisce nell'uomoche ha prescelto. E questo avverrà così: le stirpi si benedi-ranno per riconoscersi sotto la discendenza d'Abramo, equeste allora saranno benedette dal Signore. Le benedizioni,atti di comunione, si incrociano indissolubilmente. Ma il Si-gnore pone come centro e mediatore universale solo Abra-mo. Per questo dà una sanzione severa: quanti non benedi-ranno Abramo, lo « malediranno », ossia si desoliderizze-ranno da lui, il Signore li « maledirà », ossia li rigetterà, sidesolidarizzerà da loro (cfr Es 23,22). Già in Gen 18,18; 22,18 comincia la ratifica di questabenedizione universale. L'elogio sarà cantato in Eccli 44,21. Il N.T. richiamerà con insistenza Abramo e la sua storiache termina in crescendo nella sua Discendenza, Gesù Cri-sto (Gal 3,8.16.18). In Rom 4 tutto il capitolo, centratoinizialmente su Abramo, termina poi con la « benedizione »abramitica realizzata, Cristo Risorto, il Figlio della Promessa(Gal 3,6), già presente in Abramo nell'episodio delle decime di Malkisedeq (Gen 14,20b, perciò Sommo Sacerdote perfetto. Infatti questa Promessa d'Abramo discesa adesso sui pagani(Gal 3,14), così che « se voi siete di Cristo, dunque siete discendenza d'Abramo, perciò voi siete eredi secondo la Promessa » (Gal 3,29). Ad opera esclusiva dello « Spirito del Figlio » di Dio, effuso nei cuori, « il quale grida Abbi'!, Padre! » (Gal 4,6; Rom 8,15). Insomma, « fratelli, voi siete figli della Promessa, come Isacco » (Gal 4,28). Immensa teologia della storia, che investe noi battezzati fedeli, e sta per investire anche i catecumeni, chiamati « di là dal Fiume », dalle loro patrie e lingue e culture e parentele, a formare l'unica Famiglia di Dio. Questo è possibile solo per un gesto decisivo di Abramo, narrato con la totale semplicità biblica: « Allora, andò Abramo » (v. 4a). È l'accettazione non contrattata, ma incondizionata. Totale e silenziosa. Umile e fidente. L'epistola agli Ebrei ne farà l'elogio, quando parlerà così: « Per la fede, chiamato, Abramo obbedì per uscire verso il luogo che stava per ricevere in eredità, ed uscì non sapendo dove va. Per lafede abitò nella terra della promessa come straniera, in tende avendo abitato, insieme con Isacco e Giacobbe, i coeredi della promessa medesima » (Ebr 11,8-9). E la spiegazione splendida segue subito: « Si aspettava infatti la città avente le fondamenta, della quale Artèfice e Creatore è Dio »(v. 9). La fede senza luce d'Abramo, sarà poi provata e tentata con la richiesta del sacrificio dell'unico figlio, Isacco, « il diletto » suo. La Notte della Resurrezione questa sarà una Lettura risonante.
6) Sal 32,4-5.18-19.20 e 22, « Inno di lode ». Questo Salmo per i vv. 6 e 9, dove si canta dell'operadivina con la Parola e con lo Spirito, ha formato l'oggettodi profonde e suggestive riflessioni dei Padri. I vv. 1-3 è un seguito di « imperativi innici » ad esultare, lodare, celebrare, inneggiare, cantare al Signore il « cantico nuovo » (cfr Es15,1-18: cantico antico e sempre « nuovo », sempre il medesimo). Il v. 4 ne dà la motivazione, che prosegue pertutto il corpo del Salmo. Il Signore dunque va celebrato, poiché la Parola sua è « retta », giusta. Essa proclama solo la Bontà divina, l'inflessibile intervento soccorritore, causato dalla Fedeltà di-vina che non deflette (v. 4a). Di qui discende che in questa Fedeltà indicibile provengano opere perfette (v. 4b; Dt32,4; Dan 4,34; Ap 15,3), come riconosce l'Orante. Infatti, per il bene degli uomini che ama, il Signore può esserefedele solo a se stesso, alla Parola che esce dal Cuore suo,Parola creante ed operante, Parola trasformante. Egli non può né deve essere « fedele all'uomo », con tutti i suoi peccati e apostasie e ripensamenti e capricci e viltà. L'antropolatria che pare abbia investito i cristiani del nostro secolo (ma le radici lontane stanno nell'eterno oscillare agostinista e pelagiano di tutto l'Occidente, così povero in teologia, in spiritualità ed in religiosità) usa l'espressione « fedele all'uomo » come una bandiera dietro cui sta il nulla. Se cosìvogliamo esprimere che vogliamo servire tutti i nostri fratelli, allora occorrerà tornare, o cominciare forse, a proclamare che vogliamo essere « fedeli solo al Signore ». La motivazione della glorificazione del Signore prosegueal v. 5a con l'acclamazione grata al Signore che ama solo« giustizia e giudizio », due termini analoghi per indicare il suo intervenire per la salvezza, e sempre con amore, in specie a favore dei poveri e degli oppressi a causa del Nome suo. È un tratto biblico costante (cfr Sal 10,8; 36,28; 44,8; 98,4; 145,9; e Mt 23,23), che sarà poi trasmesso conlo Spirito al Re messianico (Is 61,1; vedi la Messa crismale). E la misura di questo non può essere data, bensì solo di-chiarata, poiché l'immensa Bontà del Signore, la Misericordia che è la « morale dell'alleanza » da Lui rigorosamente rispettata, riempie la terra (Sal 103,24; 118,64), e consi-ste d'altra parte nella sua Gloria (Is 6,3 ), che trasmetterà anche da questa parte al Re messianico (Is 11,9; vedi Dom.2a d'Avvento). È la Misericordia, istanza ultima e prima di ogni salvezza (Ab 3,3). motivo grande, dunque, della lode al Signore (v. 5b).Chi «teme il Signore », ossia vuole con tutto il cuore adempiere alla sua Volontà rivelata, adesso sa dall'Oranteche ha il privilegio unico, meraviglioso, della costante perenne Presenza del Signore con lui. La metafora è bellissima, gli Occhi del Padre buono sono fissati con amore struggente sui piccoli figli bisognosi di tutto. Quel Volto divino si volge sempre e solo verso i figli si preoccupa di essi, pronto ad intervenire per esaudirli (Sal 33,16;10,5; 140,8). Lo sa bene chi soffre (Giob). Lo ripete il sapiente ai giovani (Eccli 15,20; 34,19; Sap ). Lo canta tutta Sion, a questo invitata (Sal 146,11). E lo conferma la fede apostolica (1 Pt 3,12). Chi spera solo nella divina Misericordia, si trova confermato (v. 18b). Il primo effetto di questi Occhi divini è dunque l'intervento misericordioso. Ed anzitutto questo produce lo scampo dalla morte che sta sempre in agguato (v. 19a), poi siconfigura come il Convito divino, con il Cibo che salva dallafame e porta alla vita (v. 19b; 38,10-11; 36,19.25; 110,5;Giob 5,20; Lc 1,53, il Magnificat). La risposta dell'Orante a nome di tutta la comunità diventa adesso proclamazione. l'adesione volenterosa,di fede, al Signore, tante volte dal Salmista (20a; 24,3; 61,2; 105,13; 129,4), e gioiosamente ma ferreamente ribadita dai Profeti (Is 8,17). E non può essere altrimenti, poiché solo nel Signore si trova l'Aiuto ed il Protettore (v. 20b; 113,9-11), non esistendo negli uomini nes-suna speranza, neppure nei capi dei popoli (145,2d; 117,9 ),dagli uomini non parte mai la salvezza (117,8; Is 2,22).Così che, smentendo l'ottimismo pelagiano moderno che sifonda « sull'uomo », Geremia dirà la parola più forte dell'A.T.: « maledetto l'uomo che confida nel geber », nell'eroe forte (Ger 17,5). Il Salmo termina con un'epiclesi: a quanto speriamo noi, corrisponda sempre la divina Misericordia (v. 22). Così ècompletato lo schema stupendo di questo inno, che a rileggerlo sì presenta così. La Misericordia divina dell'alleanza opera: a) con la Parola, v. 4; b) con la Parola e lo Spirito, v. 6; c) con la Parola creatrice, v. 9; d) attuando il Disegno eterno, v. 11; e) con l'assiduo sorvegliare gli eventiumani, v. 13; f) con la Mente divina fissa sugli uominiamati, v. 15; g) con gli Occhi provvidenti, v. 18. In tutto questo l'unica nota: l'Amore divino fedele, permanente, efficace. R/ v. 22: l'epiclesi del v. 22 serve oggi da splendido ritornello.
7) Apostolo: 2 Tim 1,8b-10, il Signore chiama e dona laluce sua. Nei vv. 6-7 l'Apostolo richiama il discepolo diletto, Timoteo, a tenere sempre in opera la Grazia divina ricevuta con l'imposizione delle mani di Paolo; attraverso questa egli ricevé lo Spirito della carità, e la sobrietà, ossia la presenza integra ed operante. Adesso Paolo si pone come l'esempio vivente per Timoteo, e mediante lui per tutta la comunità. Egli si gloria, non si vergogna, di essere stato chiamato per testimoniare il Signore Risorto, neppure nella situazione oppressiva, miserabìle, di stare prigioniero a causa dell'Evangelo. Anzi esorta Timoteo a non mettere in uso gli sforzi umani, ma al contrario a mettere fiducia nella Grazia che proviene dalla Potenza divina che è stata conferita, lo Spirito Santo. È lo spiegamento di tutto il Disegno divino, che adesso Paolo riassumerà per linee rapide. Infatti Dio già ci salvò, operazione terminata con irreversibilità totale (Gal 4,21;5,1; Tit 3,5; Rom 8,28; Ebr 3,1), ed il segno finale di questa salvezza è che, donandoci la vocazione a formare la Ekklésis hagía, fece di noi questa «Santa Convocazione ». Non si tratta della santità della vocazione personale, come si potrebbe leggere a prima vista, ma di elezione ed innalzamento a vivere davanti al Signore quale Ekklésía, la Chiesa, la Santa Convocazione, termini ricorrenti nel vocabolario paolino: 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,2; Rom 1,7. Da questa inserzione salvifica nella Comunità dei santi, ovviamente sono escluse le « opere previe » in base alle quali gli uomini po-trebbero acquisirsi dei meriti da rivendicare davanti a Dio (v. 9b), poiché nessun uomo è giusto, semmai potrà essere solo « giustificato » da Dio (Rom 3,28). Ma questa inserzione salvifica deriva esclusivamente dal Progetto e Grazia,ossia dal Disegno prestabilito da Dio, che opera secondo laGrazia dello Spirito. E la Grazia ci venne come esclusivoed immeritabile Dono del Padre « in Cristo Gesù », il che significa che occorre vivere ormai « in lui » per beneficiarne (cfr Rom 8,9). Viene la descrizione dell'indicibile Disegno divino. Questa Grazia fu concessa a noi dal Disegno eterno divino, dunque dall'eternità beata, « prima dei tempi dei secoli », ossia prima della creazione delle ere, le quali perciò furono create in funzione di quella Grazia (v. 9c). Tratto paolino tipico: Rom 16,25; Efes 1,4; Tit 1,2. Tuttavia la rivelazione divina finale (verbo phaneróó, un termine tecnico della rivelazione) fu manifestata « adesso », quando si ebbe l'epifania che è la Resurrezione di Cristo Gesù, così costituito come il Salvatore (Rom 16,26; Tit 2,11; 1 Cor 15,55), avendo calpestata, conculcata la morte ed avendo illuminato la vita e l'immortalità incorruttibile (cfr Sal 55,13;Giob 33,30). Ma tutto questo in concreto per noi avviene nella predicazione dell'Evangelo portata dagli Apostoli (v. 10).Coll.: il Padre ci comanda di obbedire al Figlio suo Unico,e noi gli rivolgiamo l'epiclesi, affinché nutra il nostro spi-rito con la Parola sua, e purifichi le nostre facoltà al fineche possiamo gioire della Visione trasformante di Lui.

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                 Romano Guardini. La Trasfigurazione

Le parole con le quali Gesù annunzia ai suoi, con insistenza sempre nuova, che dovrà patire e morire, racchiudono qualche cosa di speciale, a cui vogliamo rivolgere ora la nostra attenzione. Questo affiora già prima, quando gli avversari esigono che egli compia il grande prodigio messianico. Egli risponde che nessun prodigio sarà concesso a quella generazione incredula, tranne il prodigio del profeta Giona. Poi il significato recondito:« Come Giona stette tre giorni e ,tre notti nel ventre del cetaceo, così starà il Figliuol dell'uomo tre giorni e tre notti nel seno della terra» (Mt XII 40). Nelle solenni predizioni della sua passione, che si succedono durante l'ultimo viaggio a Gerusalemme - in tutte e tre - si dice che egli patirà e morirà, ma al terzo giorno risorgerà. Ora, se si dice, a proposito degli apostoli, che « non intendevano nulla di questo discorso, ed era oscuro per essi, talmente che non lo capivano » (L IX 45), senza dubbio è da ritenere che riesce loro oscuro, diciamo pure incomprensibile, per il loro modo di raffigurarsi il Messia, come l'inviato di Dio debba andare incontro alla morte - ma ancora più oscure debbono essere statele parole circa la resurrezione. La luce non venne che a Pasqua. Racconta Luca: « Essendosi esse (le pie donne) impaurite, e tenendo china la faccia a terra, quelli (i due personaggi) dissero loro - Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è più qui, ma è resuscitato: rammentate quel che vi disse quand'era ancora in Galilea e diceva: È necessario che il Figliuol dell'uomo sia dato nelle mani di uomini peccatori, e sia crocefisso, erisorga il terzo giorno - » (L XXIV 5-8). Da queste parole, come da tutta la linea della vita del Signore, una cosa balza chiara: che la sua vita ha messo capo alla morte, ma - attraverso la morte - alla resurrezione. La nuda morte, nella coscienza propria di Gesù, non c'è. Egli stesso ha proclamatola sua morte, e ne ha parlato con crescente insisten-za, ma sempre in modo che alla morte, stava indissolubilmente vincolata la resurrezione. Si dice che i discepoli, i quali ne fanno cenno, volessero a que-sto modo far salire a un'epoca precedente quella fede che in realtà ebbero chiara soltanto a Pasqua, e questo (si aggiunge) si rifletterebbe nelle parole di Gesù circa la sua morte imminente.Tutta la sua predicazione avrebbe avuto carattere escatologico fin dall'inizio, vale a dire sarebbe stata ispirata in pieno dall'attesa di un prodigio venturo. Quest'attesa gli evangelisti se la sarebbero attribuita, in base alle predizioni sulla resurrezione, dalla fede dispensata loro più tardi. Non è facile confutare siffatte obbiezioni. Si potrebbe dire: se i discepoli hanno anticipato nel tempo il fatto della resurrezione, perché non hanno anticipato pure la conoscenza specifica di quel fatto? Perché mettersi nella condizione meschina di persone ignoranti che abbandonano il loro Signore? Ma' cosi non si procederebbe punto, perché ad ogni argomento si opporrebbe sempre un argomento contrario, e ad un'espressione geniale un'altra più geniale ancora. Tutti questi pensieri non entrano nel merito della questione. In fondo, non vi è che la fede. La fede, beninteso, allo scopo di predisporre e gettare le fondamenta, si vale di ogni suggerimento della storia e della psicologia, ma l'elemento decisivo si ha unicamente attraverso la grandiosa trasformazione, secondo la quale l'uomo non si erige più a giudice di Gesù, ma da lui impara e lo ascolta. Il criterio di ciò che può essere o no, il fedele non lo desume da una possibilità psicologica o storica, ma lo riceve dalla stessa parola del Signore. Qui poi sta il fatto che Gesù non ha parlato della propria morte se non associandola alla propria resurrezione.
Ha vissuto Gesù la nostra vita umana? Perfettamente. Ha sperimentato la nostra morte? Senza alcun dubbio. La nostra redenzione dipende dal fatto che egli « è passato per ogni prova,allo stesso modo (nostro), fuor del peccato » (Eb IV,15). Eppure, oltre la sua vita e la sua morte, si cela qualche cosa che trascende vita e morte concepite in senso stretto; qualche cosa a cui noi, in fondo, dovremmo dare un nome diverso da quello di vita e di morte - o a cui, per la meno, come avviene in Giovanni, dovremmo serbare esclusivamente il nome di « vita », dando invece a tutto il resto un nome nuovo, il quale non tenesse che un riflesso del primo. In Gesù vi era un'esuberanza infinita e una sacra inviolabilità, in virtù delle quali gli era possibile essere in tutto uno di noi e, nonostante ciò, in tutto diverso da noi; vivere la nostra vita, ma per ciò stesso mutarla e strappare così il pungiglione alla nostra vita e alla nostra morte (I C XV 56). La nostra vita - che strana cosa! È il presupposto d'ogni altra realtà: la prima che, se in pericolo, desta quella incondizionata reazione che chiamiamo « legittima difesa » e che ha il suo proprio diritto. Preziosa realtà, così preziosa che il miracolo della vita, a volte, può dar le vertigini - e ci si interrompe, e non si sa con quali termini descrivere adeguatamente la gloria di essere. Gioisce, rinuncia, soffre. Lotta e crea. Si unisce alle cose e, in tale unirsi, le anima. Si disposa ad altre vite, e non ne risulta una somma, ma cose nuove e varie. È per noi il fondamento e il principio di tutte - eppure quanto ci torna strana! O non è forse strano che noi, per guadagnare una méta, ne dobbiamo abbandonare un'altra? Per compiere positivamente qualche cosa, dobbiamo decidere, ossia staccarci dal resto? Volendo essere giusti con gli uni, facciamo torto altrui, fors'anche semplicemente per questo, che non riusciamo a comprenderli nell'occhio e nel cuore, perché l'occhio e il cuore non hanno posto per tutti. Nell'atto in cui l'esperienza ci fornisce dei dati, non possiamo avere la percezione immediata di tutto il processo. Poi, appena prendiamo consapevolezza, per ciò stesso interrompiamo il.corso di quel processo. Mirabile cosa l'essere vigilante! Ma noi ci stanchiamo e, affidandoci al sonno, sfuggiamo a noi stessi. Fa bene dormire, ma non è avvilente che una metà della vita si debba consumare nel sonno? Vivere è unità: vuol dire essere presenti a se stessi e assimilare quello che ci circonda; serbare integra la propria personalità frammezzo ai fenomeni, e saper immettere, dall'altro lato, in ogni singolo atto, la pienezza del tutto. Senonché, dappertutto si annunziano incrinature. Dapper- tutto si pone il dilemma: o questo o quello. E guai se recalcitriamo, perché l'onestà della vita dipende proprio dall'impostare nettamente il dilemma. Non appena presumiamo di piacere a tutti, diveniamo spregevoli. Non appena cerchiamo di cogliere tutto, non abbiamo più nulla in ordine. Non appena mettiamo mano al tutto, la nostra personalità si sfalda. Allora ci gettiamo in una decisione netta. Ma di nuovo: guai a noi! Noi dilaniamo la nostra esistenza. Proprio, la nostra vita ha qualche cosa d'impossibile. Essa deve volere ciò che non può - come quando in un piano determinato si inserisce fin dall'inizio un errore che .poi influisce su tutto. E la fugacità, l'ineluttabile fugacità! È possibile che una realtà debba esistere unicamente al prezzo della sua distruzione? Non è la vita nulla più di unpassaggio? E non accelera il passo questo fatale andare nellamisura della intensità con cui viviamo? Non si muore già mentre si vive? Non corrisponde a un'esasperante verità la definizione biologica che fa della vita il moto verso la morte? D'altro lato, che paradosso definire la vita in funzione della morte! Ma è giusto poi quanto si afferma a proposito della morte? Dobbiamo proprio accettare le conclusioni della biologia? Le ricerche scientifiche insegnano che nei primi tempi i popoli sperimentavano la morte altrimenti da noi. Non la sentivano affatto come naturale, quasi il normale polo opposto alla vita. Per il loro sentimento la morte non ha bisogno di essere, e non ci deve neppure essere: se sopravviene, vuol dire che si rimonta verso una causa speciale, e precisamente verso una maligna potenza spirituale- anche. là ove si tratti di una vita ormai consumata,o di una sciagura, o della morte in guerra. Cerchiamo un po' di prender la cosa sul serio. Persuadiamoci: dov'è in gioco il senso supremo dell'esistenza, il semplice mortale potrebbe essere anche più' competente del dotto. È proprio così naturale la morte? Se lo fosse, ci si dovrebbe adattare, e precisamente con il sentimento di un supremo dovere,sia pur così duramente, pagato. Ma dov'è una morte siffatta? Vi è chi sacrifica la propria esistenza per un grande ideale, oppure, stanco sotto la pressura delle miserie della vita, accoglie la morte come una liberazione. Ma v'è un uomo solo che affermi la morte come un piano coronamento della sua esistenza? Io non l'ho ancora trovato, e quanto ho sentito a questo riguardo non era altro che chiacchiere intese a nascondere timore. L'atteggiamento normale dell'uomo di fronte alla morte è un atteggiamento di difesa e di protesta, che parte precisamente dall'intimo del suo essere. La morte non è naturale, e ogni tentativo d'intenderla a questo modo si risolve in un'infinita malinconia.
Questa nostra morte e questa nostra vita si appartengono a vicenda. Il romanticismo, assumendo vita e morte come i due poli dell'esistenza, quasi luce e tenebre, altezza e profondità,aurora e tramonto, dà prova di un vacuo estetismo, sotto il quale si nasconde un inganno infernale. Ha però un'anima diverità: la nostra attuale vita e la nostra attuale morte si appartengono a vicenda. Sono due pagine di una sola ed identica realtà. E appunto questa realtà in Gesù non c'era. In lui era qualche cosa di trascendente sulla vita e sulla morte.Questo non ha però impedito che egli la vivesse totalmente almodo nostro - anzi appunto di là egli trasse la vita con puritàe profondità radicalmente diverse da quanto non sia possibile anoi. È stato notato quanto fosse povera la vita di Gesù; quanto precaria di contenuto, di eventi e di incontri... La vita di Buddapare abbia sperimentato tutte le cose del mondo, dei sensi e dello spirito: potenza, arte e saggezza, famiglia ed isolamento, ricchezza e di nuovo rinunzia assoluta; soprattutto par essergli toccata in sorte una vita lunga, e con questo la possibilità di spe-rimentare della vita ogni evenienza e triste e lieta. Stranamentebreve, al contrario, la vita di Gesù; povera di contenuto; frammentaria in opere e in azioni. Un giorno poi la vita del Signore prese forma di sacrificio, di rifiuto da parte del mondo, e inquesto modo la sua figura non poteva essere ricca. In compenso,ciò che egli viveva, ogni tratto dell'esistenza, ogni azione edogni incontro, li sperimentava con una profondità e con una forza travolgente. Quando incontrava il pescatore e il mendicantee il centurione, vi era qualcosa di ben più grande che non quando Budda imparava a conoscere cosa significhi vita umana...Gesù ha realmente vissuto la nostra vita, e sperimentato la nostramorte. È proprio morto della nostra morte, e lo sgomento eratanto più formidabile quanto più casta e forte era in lui la vita.Ciononostante tutto si compiva in lui diversamente che in noi.
Qual è, in fondo, il costituitivo della vita umana? Agostino ha un pensiero che, a primo incontro, ci apparestrano, ma che poi introduce molto addentro nella natura dell'esistenza. Parlando dell'anima umana e della natura spirituale de-gli angeli, egli pone il quesito se siamo immortali, e risponde: no. Evidentemente, l'anima umana non potrebbe morire come il corpo; spirituale, e quindi indistruttibile, in essa non vi è luogo a scomposizione. Ma questa non è ancora l'immortalitià, di cui parla la Sacra Scrittura. Quest'ultima non sgorga dall'anima stessa, ma da Dio. Il corpo ha la sua vita dall'anima, e in questa si distingue dal bruto. La natura del corpo umano consiste nel fatto che la sua vita erompe dall'anima come un arco di luce. A sua volta, la vita dell'anima, della quale parla la Rivelazione, viene da Dio in quell'arco di luce che si chiama «grazia ». Di questa vita poi non partecipa soltanto lo spirito, ma pure il corpo. L'uomo di fede vive tutto di Dio, corpo ed anima. Soltanto così va intesa la vera, sacra immortalità. Dio ha plasmato misteriosamente la vita umana. L'intimo del suo essere deve elevarsi direttamente a Dio, e attingere da lui la sua vita. La vita umana deve procedere dall'alto, non dal basso. È la vita del bruto che procede dal basso. Il corpo umano deve desumere la sua vita dall'anima spirituale; l'anima, da Dio e, mediante l'anima, tutto quanto l'uomo. È appunto questa unità vitale dell'uomo che la, colpa ha infranto. Colpa fu precisamente la volontà umana di vivere da sé, autonoma, « come Dio » (Gn 111 5). L'arco di luce, allora, si estinse. Tutto crollò. Rimase, beninteso, l'anima spirituale che, immortale, non poteva distruggersi, ma il suo non era che un fantasma di immortalità: l'immortalità di una pena. Pure il corpo c'era ancora, ché in esso era l'anima; ma questa, semispenta, non era più in grado didispensare quella vita che Dio aveva vagheggiato per l'uomo. Così la vita era nello stesso tempo ordine e confusione, stabilitàe passaggio. Appunto questo è diversamente in Cristo. L'arco di luce inlui rimane divinamente puro e forte. In lui si chiama non solograzia, ma Spirito Santo. La natura umana assunta da Lui vivedi Dio nella pienezza dello Spirito. Per opera dello Spirito eglifu concepito, e nella pienezza di tale Spirito si attua la sua vita. Non solo come la vitaa di un uomo amante di Dio, ma come vitadi Uno che è ad un tempo uomo e Dio. Di più: essere uomocome Cristo può soltanto colui che non è solo « unito » a Dio,ma che è Dio. Vale a dire, la sua umanità è altrimenti vivente dalla nostra. L'arco di luce tra il Figlio di Dio e la natura umana di Gesù - soltanto il nostro povero intelletto parla di interferenza, là dove invece è una penetrazione di incomparabile intimità quest'arco di. luce è quel qualche cosa di cui parlavamo. Esso sta oltre la sua vita e la morte. Da lui Gesù vive la nostra vita d'uomo, e muore della: nostra morte d'uomo, più profondamente di quanto sia dato a noi, e appunto per questotrasformando e l'una e l'altra. Da lui si fa diversa pure la nostravita e la nostra morte. Di là sorge una nuova possibilità di vita e di morte.
Al capo decimosettimo di Matteo leggiamo: « Sei giorni dopo,Gesù, presi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, li condusse in disparte sopra un monte. E fu trasfigurato dinanzi ad essi, e il suo volto risplendette come il sole, e le sue vesti divennero bianche come la neve. E ad un tratto apparvero loro Mosè ed Elia, i quali discorrevano con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: - Signore, è buono per noi lo star qui; se a te piace, facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia -. Mentre egli parlava ancora, una nube risplendente li avvolse. Ed ecco dalla nuvola una voce che disse: - Questo è il mio Figliuolo prediletto, nel quale mi son compiaciuto: ascoltatelo -. Udito ciò, i discepoli caddero bocconi per terra ed ebbero gran timore. Ma Gesù si accostò loro e disse: - Levatevi,e non temete -. E, alzati gli occhi, non videro nessuno, tranne Gesù. E nello scendere dal monte, Gesù ordinò loro così: Non parlerete di questa visione con nessuno prima che il Figlio dell'uomo non sia risuscitato da morte» (1-9). L'ultima frase collega l'avvenimento coll'annunzio della passione e resurrezione. La scena si pone tra la prima e la secondapredizione ed avviene durante l'andata a Gerusalemme. Si potrebb'essere tentati di concepire il tutto come una visione. E sarebbe anche giusto, a patto di intendere per visione il modo speciale di concepire il fenomeno di cui si tratta, che cioèqualche cosa di sottratto alla esperienza umana entri in questaesperienza con tutto il carattere misterioso e inquietante di tale irrompere. Lo insinua anche l'indole dell'apparizione: così la luce, che non è la luce consueta dell'universo, ma quella delle sfere interne, luce intellettuale; o la nube, che non è il noto fenomeno meteorologico, ma qualche cosa per cui non c'è nessun termine adeguato - chiarità che vela; dato celeste che, pur rimanendo impenetrabile, si fa manifesto. Della visione essa ha infine la subitaneità: come le figure vengono e vanno improvvisamente, e come si sente la desolazione dell'angolo della terra abbandonato dal cielo. Però, se è così, visione non implica qualche cosa di soggettivo, non un'immagine posta comunque in risalto,ma il modo di concepire una realtà superiore - così come l'esperienza dei sensi rappresenta il modo di concepire la realtà corpo.rea di ogni giorno. Questo avvenimento non solo investe Gesù,non solo si riferisce a lui, ma erompe anche da lui. È unarivelazione del suo essere. In essa si manifesta ciò che è in lui:quell'elemento vitale superiore ad ogni forma di vita; quell'arco di luce di cui discorremmo. Il Logos è entrato come luce celestiale nelle tenebre della natura caduta. Ma le tenebre resistono. «Non lo comprendono»(G I 5). Respingono verso l'interno la sua carità bramosa di espandersi - sofferenza che trascende ogni intelletto umano, nota a Dio solo! La via dì Gesù s'immerge nelle tenebre, sempre piùin profondità, fino a « l'ora vostra » (dei nemici) e a « la potenza delle tenebre » (L XXII 53). Qui però, sul monte, rifulge perun istante la luce, e si manifesta la Luce che è venuta in questo mondo, e che sarebbe capace di « illuminare tutto » (G 1 9). Sulcammino che conduce alla morte brilla come un lampo quella magnificenza che può essere rivelata soltanto al di là della mo-te. Quanto fu detto della morte e del risorgere prende figura e si rende visibile. Ancora: ciò che qui appare chiaro, non è una gloria del purospirito, ma dello spirìto attraverso il corpo, del corpo nello spirito, dell'uomo. Non soltanto magnificenza del Signore, qualeera nell'arca santa, ma la magnificenza del Verbo di Dio nel Figlio dell'uomo. E l'arco di luce. L'Unità ineffabile. La Vita nata a dominare vita e morte: vita del corpo, ma dallo spirito;vita dello spirito, ma dal Verbo; vita di Gesù-Uomo, ma dal Figliuol di Dio.
Così la Trasfigurazione è il lampeggiare della futura resurrezione di Gesù e il pegno della nostra propria resurrezione, poiché una tal vita ha da venire pure in noi. Esser redento vuol dire appunto aver parte alla vita di Cristo. Anche noi dobbiamo risorgere. Anche in noi il corpo dovrà essere trasformato dallo spirito, e lo spirito da Dio (I C XV). Anche in noi, in noi come uomini, dovrà ridestarsi la beata immortalità. Questa è la vita eterna in cui noi crediamo. Eterno non vuoldire unicamente incessante. Questo, dacché Dio ci ha creati esseri spirituali, ci compete per natura. Ma la indistruttibilità del nostro essere come tale non è ancora la vita eterna e beata della Rivelazione. Questa ci viene esclusivamente da Dio. Questo es-sere eterno non induce, in fondo, nessuna determinazione di durata; non l'opposto di caducità. Nel migliore dei modi si di-rebbe che è la vita eterna, la quale consiste nella partecipazione alla vita di Dio. Questa vita ha da Dio il carattere definitivo, la comprensione,l'unità nella pluralità, l'infinità, l'unità interiore - tutto ciò acui aspira la nostra esistenza quaggiù, e contro la cui privazione noi eleviamo protesta, e dobbiamo elevare protesta per, amoredella dignità di cui Iddio ci ha donati. Nella nuova vita quell'eternità c'è sia per il santo, sia per il più piccolo nel regno di Dio (Mt XI Il). Le differenze si pongono solo dentro l'eternità, e sono indubbiamente grandi come le differenze della carità. Questa vita eterna però non viene soltanto dopo la morte. È già presente. È proprio, infatti, della coscienza cristiana il fatto di essere costrutta sulla fede in questa eternità interiore. In essa si dànno gradi a perdita d'occhio: gradi di luminosità, di forza e di presenza; gradi di decisione, con cui quella vita è valorizzata in noi; gradi di misura, secondo cui viene vissuta ed attuata; gradi a seconda che noi siamo rassicurati della sua presenza unicamente per docilità di fede, o che l'oggetto della nostra fede diviene argomento di esperienza intima. Ad ogni modo è sempre vero che anche in noi, oltre la nostra vita, oltre la nostra morte, elargito per grazia ed accolto per fede, vi è quell'inafferrabile che abbiamo detto proprio di Cristo: quell'arco dì luce che la prima volta si squarciò sul monte per ricomparire trionfalmente nella Resurrezione.

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Gianfranco Ravasi. La sua vera carne trasfigurata

«Il Cristo glorioso non cancella la verità dell’Incarnazione». Pubblichiamo la relazione del prefetto della Biblioteca Ambrosiana al convegno sul “Volto dei volti” che si è tenuto nell’ottobre 2001 alla Pontificia Università Urbaniana.
La nostra sarà una lettura particolare della scena della Trasfigurazione. La considereremo, infatti, come un vero e proprio “dramma” nel senso originario del termine. Struttura, svolgimento, attori, scansioni temporali fanno sì che l’evento sia capace di riproporsi davanti ai nostri occhi nella sua azione e nel suo messaggio con una sua efficacia rappresentativa. I dati del testo – che, come è noto, ci è offerto nella triplice redazione sinottica (Mt 17,1-9; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36)1 – saranno da noi ricomposti secondo una trama affidata a sette personaggi che, a livelli diversi e secondo ruoli differenti, reggono l’intero “dramma”.

Gesù, il protagonistaE proprio perché una rappresentazione solenne ha bisogno di una sua colonna sonora ideale, noi subito proponiamo come filo musicale un oratorio moderno, quello che Olivier Messiaen ha composto tra il 1965 e il 1969 per coro misto, sette solisti strumentali e una grande orchestra (alla prima furono in tutto 216 esecutori!), intitolandolo La Transfiguration de Notre-Seigneur Jésus Christ2. Eseguita per la prima volta il 7 giugno 1969 a Lisbona in occasione del festival Gubelkian e il 29 ottobre dello stesso anno al Palais de Chaillot di Parigi, quest’opera è simile a una grandiosa cattedrale armonica (dura almeno un’ora e mezzo). Complessa nella sua articolazione in due settenari eppure lineare nella sua monumentalità, essa si basa sul racconto matteano della Trasfigurazione oltre che sui testi liturgici e persino su citazioni dellaSumma Theologiae di Tommaso d’Aquino – tutti rigorosamente in latino –, ma anche con evocazioni strumentali esotiche (cembali turchi, crotali, marimba, gong, tamtam, xilorimba, vari strumenti folclorici e così via). Il tutto sfocia nel corale finale della luce della Gloria, basato sul Salmo 26,8: «Signore, io amo la bellezza della tua casa e il luogo ove abita la tua gloria!». E Messiaen commenta: «La Gloria ha abitato la montagna della Trasfigurazione, la Gloria abita il Santo Sacramento delle nostre chiese, la Gloria abiterà l’eternità».
E se proprio non ci sarà possibile avere a disposizione un così monumentale commento musicale, basterà ricorrere alla più semplice ma deliziosa composizione per pianoforte di Franz Liszt, intitolata appunto In festo Transfigurationis Domini nostri. Come fondale per il nostro “dramma” è difficile non pensare subito alla celebre tela di Raffaello conservata ai Musei Vaticani (1520), ma anche all’affresco del Beato Angelico nel convento fiorentino di San Marco (1441), ad Andrej Rubliov, con la sua icona della Metamorfosi (1405), a Giovanni Bellini con una tela (1480) presente a Napoli nella Galleria di Capodimonte. Tanti altri pittori, però, ci offrono la possibilità di creare lo sfondo ideale di questa scena. Uno sfondo che può essere costituito anche da una foto di quella vetta che tradizionalmente è identificata come il monte anonimo della Trasfigurazione evangelica, cioè il Tabor, con i suoi 582 metri e con il profilo della basilica francescana eretta dall’architetto Antonio Barluzzi tra il 1919 e il 1924. Ma ormai è giunto il momento di introdurre il primo personaggio, il protagonista.
Egli dominerà per tutto lo svolgimento del “dramma” ed è subito presentato col suo nome proprio Iesous4 scandito quattro volte nel la redazione marciana (Mc 9,2.4.5.8). A lui saranno destinati altri titoli solenni che sono proposti nel prosieguo del racconto e nell’apparire dei vari attori dell’evento. Per ora ci accontenteremo di segnalare il trittico terminologico che è messo in bocca a un altro personaggio della Trasfigurazione, Pietro. Egli si rivolge a Gesù interpellandolo comeKyrie, “Signore”, secondo Matteo (Mt 17,4): è il riconoscimento della signoria suprema di Cristo sull’essere e sulla storia, ma è anche – allusivamente – il rimando alla divinità se è vero che nella Bibbia greca cristiana il nome sacro JHWH di Dio era reso proprio con Kyrios (cfr. Fil2,9-11). Gesù è invocato da Pietro secondo Marco (Mc 9,5) come rabbì, che nella sua radice ebraico-aramaica (rab, “grande”) ricalca il titolo precedente, ma che si carica pure della connotazione di “maestro” supremo della verità di Dio. E infine, secondo Luca (Lc 9,33), Gesù èepistáta (vocativo di epistátes), un appellativo peraltro caro al terzo evangelista (Lc 5,5; 8,24.45; 9,49; 17,13). Il termine può essere considerato come la resa greca del precedente rabbì: al concetto di “maestro” si intreccia quello del primato, della superiorità, della reggenza o ispezione. In questa luce potremmo dire che il trittico dei titoli cristologici converge nell’attribuire a Gesù la signoria non solo all’interno della scena della Trasfigurazione, ma anche sulla ribalta della storia intera e della verità (in pratica potremmo pensare al francese “maître” che in sé ingloba la funzione di “signore, padrone” e quella “magisteriale”).
Il ritratto di Gesù, comunque, sarà completato, anzi colto nella sua identità più intima e profonda dall’ultimo personaggio, come avremo occasione di vedere. Gli esegeti, infatti, sono concordi nel ritenere che la finalità ultima della scena è proprio quella di svelare la persona di Cristo come signore della gloria, maestro, figlio di Dio e la sua missione di profeta e legislatore perfetto e definitivo. In questa luce dobbiamo raccogliere una serie di particolari. Iniziamo con la collocazione spaziale della sua figura sul “monte alto” (Mt 17,1; Mc 9,2), un’evocazione anche simbolica non priva di una certa allusività biblica: come non pensare a una specie di Sinai galilaico o al monte dell’apparizione pasquale galilaica di Matteo (Mt 28,16)? C’è, poi, una coordinata temporale esaltata da Marco (Mc 9,2) e da Luca (Lc 9,28): secondo Marco è «dopo sei giorni» che si celebra l’evento, quindi siamo nel settimo giorno pasquale, mentre per Luca è l’«ottavo giorno», forse un modo di stampo più greco-romano per formulare la stessa idea di una pienezza temporale pasquale già raggiunta.
Non per nulla, anche se non si può pienamente rintracciare nel nostro evento lo schema delle apparizioni pasquali, è certo che la “metamorfosi” (Mt 17,2; Mc 9,2; Luca evita il termine per non creare equivoci nei suoi lettori abituati alle “metamorfosi” degli dèi sotto aspetto umano, come insegna Ovidio) è una cristofania in cui Gesù appare aureolato dalla luce pasquale. Infatti è il suo Volto immerso nello splendore (Mt 17,2) e divenuto “altro” nel suo aspetto (Lc 9,29) ed è la sua veste divenuta candida in modo sorprendente (è famoso il “tratto” di Marco, Mc 9,3) a segnalare la gloria della Pasqua e l’eternità divina. Persino François Rabelais, nel capitolo X del suo celebre Gargantua(1534), scriveva: «Il bianco significa gioia, giubilo, festa… Nella Trasfigurazione di Nostro Signore vestimenta eius facta sunt alba sicut lux e questo candore luminoso fece intuire ai suoi tre apostoli presenti, Pietro, Giacomo e Giovanni, l’idea e la sostanza delle gioie eterne»3. Intrecciando, dunque, elementi pasquali e apocalittici, evocando con la nube – che è segno della presenza divina esodica (Mt 17,5; Mc 9,7; Lc9,34), la teofania sinaitica (Es 19,9; 24,15-16; 33,9) sulla quale ritorneremo – si ha un profilo di Gesù dai contorni epifanici. A metà del suo itinerario terreno Cristo svela il suo autentico Volto, per ora celato sotto i lineamenti dell’uomo di Galilea. Non per nulla si parla di una “visione” (oftê in Mt 17,3; Mc 9,4; cfr. Lc 9,31 e Mt 17,9: si tratta del verbo tipico delle apparizioni pasquali, anche se ora non è applicato direttamente a Gesù).
Esiste però un altro particolare da segnalare per completare il ritratto del protagonista. È Luca, come sua consuetudine, a indicarlo quando annota che Gesù sale sul monte a pregare ed è durante la preghiera che si apre la visione. È noto che il terzo evangelista colloca gli eventi capitali della vita di Cristo in un contesto orante: è emblematica la scena del battesimo al Giordano (Lc 3,21), per molti versi analoga a quella della Trasfigurazione. Potremmo allora dire che l’evento che si consuma sul monte avviene nella cornice quasi di un’estasi mistica che è rivelazione e incontro con il mistero di Dio. Non per nulla gli spettatori resteranno abbacinati e avranno bisogno, alla fine, del tocco di Gesù (Mt 17,7) per essere riportati alla quotidianità. E in quel momento essi incontreranno autòn Iesoun mónon (Mt 17,8; cfr. Mc 9,8; Lc 17,36): è il solo Gesù che alla fine campeggia in tutta la scena, come era accaduto agli inizi. Ma là, dopo la cristofania, la sua sarà un’unicità simbolica che fa eclissare ogni altra presenza, pur grandiosa, come è quella di Mosè ed Elia. Lui solo ci basterà, lui solo sarà la meta verso cui convergerà il nostro “ascolto” – obbedienza (Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 17,35).

I tre spettatori, Pietro, Giacomo e Giovanniölla solenne epifania del protagonista assistono tre attori che nei Vangeli hanno un rilievo particolare. È un gruppo privilegiato che, a più riprese, riveste una posizione eminente così da costituire, come ha osservato un esegeta, Joachim Gnilka4, «i portatori speciali della rivelazione di Cristo». Nella stessa lista dei Dodici emerge questa specie di primato: «Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono» (Mc 3,16-17). Ad assistere alla risurrezione della figlia di Giairo Gesù «non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo» (Mc 5,37). Anche nella notte tenebrosa del Getsemani egli «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni…» (Mc 14,33).
Nel nostro racconto l’elencazione ha qualche variante: Pietro, Giacomo e Giovanni (Mt 17,1; Mc 9,2); Pietro, Giovanni e Giacomo (Lc 9,28). Ciò che permane è il primato di Pietro (cfr. Mt 10,2) che anche nel nostro “dramma” ha la funzione di portavoce. Infatti è sua l’unica dichiarazione che sale dalla terra incrociandosi con quella celeste: “kyrierabbì,epistáta, è bello per noi essere qui”; ad essa segue, con variazioni lievi secondo i tre Sinottici, la proposta di erigere tre tende, una per ciascuno dei tre attori della teofania, Gesù, Mosè ed Elia. Non è nostro compito, in questa sede, cercare le ragioni di una simile reazione che, tra l’altro, è bollata come insensata da Marco (Mc 9,6), né isolarne la matrice simbolica o sinaitica o legata alla solennità delle Capanne (Lv 23,42; Zc14,16-19) o alle «dimore eterne» (Lc 16,9). Evidentemente le parole di Pietro sono segnate da un equivoco: il discepolo vorrebbe trattenere per sempre quella pregustazione della beatitudine celeste, evitando così la sequela della via della croce e cancellando la Passione e la Morte. I tre, infatti, sono avvolti dalla nube luminosa teofanica, partecipano quindi dell’intimità divina e, dopo aver ascoltato la voce celeste, sono prostrati a terra e pervasi dal timore (Mt 17,6-7) tipico delle esperienze epifaniche (Lc 1,12; 1,29; 2,9; 5,10; 8,35). Sono questi i tratti caratteristici delle “apocalissi” divine (Dn 8,17; 10,9-10; Ap 1,17).
I tre discepoli, perciò, vivono sul monte un vero e proprio ingresso nel trascendente e nel mistero, ed è Gesù a riportarli col suo tocco e con il suo appello a “non temere”, classico nelle teofanie, alla storia nella quale si deve compiere l’itinerario dell’Incarnazione. Una storia che comprende, appunto, la sofferenza (Mt 17,12) e la morte (Mt 15,23). Di quell’esperienza esaltante, comunque, rimarrà l’eco nel cuore di Pietro, come è attestato da un passo della seconda Lettera che la tradizione ha attribuito all’apostolo: «… noi siamo stati testimoni oculari della grandezza [del Signore nostro Gesù Cristo]. Egli ricevette onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Costui è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte…» (2Pt 1,16-18).

I due grandi testimoni, Mosè ed EliaAl centro dell’epifania che ha per protagonista Gesù si collocano anche due grandi testimoni della Prima Alleanza, anzi, «gli estremi mediatori dell’Alleanza: rappresentano l’inizio e la fine della storia che si adempie in Gesù, giudice escatologico» (così scrive un commentatore del Vangelo di Matteo, Jean Radermakers5).
Curiosamente Marco inverte i due personaggi, forse per rimarcare la tipologia profetico-eliana con cui spesso è tracciato il Volto di Gesù nei Vangeli. L’ordine storico-tradizionale anticipa, comunque, la figura di Mosè, il legislatore del Sinai. Infatti, se si segue la guida dell’Esodo fino al Sinai, ci si accorge che non mancano allusioni possibili presenti nella nostra scena. Anche Mosè sale il monte accompagnato da tre discepoli scelti, Aronne, Nadab e Abiu (Es 24,1.9); anche nella teofania del Sinai c’è la menzione dell’ultimo giorno, quando Dio chiama Mosè (Es 24,16). La nube e il fuoco, simili alla nube luminosa della Trasfigurazione, appaiono come segno della Gloria del Signore (Es 24,16-17). E anche Mosè, come Cristo, avrà il volto risplendente dopo essere stato in comunicazione con Dio (Es 34,29).
Se Mosè è per eccellenza l’incarnazione della legge divina che egli rivela a Israele, Elia rappresenta la profezia che da lui prende idealmente l’avvio. Una profezia che è letta dal Nuovo Testamento come un indice puntato verso Cristo, tanto è vero che subito dopo la Trasfigurazione, «mentre discendevano dal monte», Gesù dichiara che «Elia è già venuto» e i discepoli comprendono che «egli parlava di Giovanni il Battista» (Mt 17,12-13). Elia, perciò, è il Precursore per eccellenza con la sua parola. Ma lo è anche con la sua morte gloriosa, che si svela come ascensione al cielo (2Re 2,11), anticipando quella di Cristo. Anzi, in questa prospettiva anche Mosè può essere coinvolto perché la sua morte dal sepolcro misterioso (Dt 34,5-6) è stata interpretata dalla tradizione giudaica come un’assunzione nella gloria divina (così l’apocrifo Assunzione di Mosè) e la stessa tradizione giudeo-cristiana (Gd 9) si è mossa in questa linea.
Non per nulla Luca – che è attento a porre come meta della vita di Cristo l’ascensione (cfr. Lc 9,51; 24,50-51; At 1,9-11) – nel suo racconto della Trasfigurazione introduce anche il tema del dialogo di Gesù con Mosè ed Elia che «appaiono nella gloria»: essi parlano dell’«éxodos che [Cristo] stava per portare a pienezza [pleroun] in Gerusalemme» (Lc9,31). Si delinea, così, l’esaltazione gloriosa del Risorto; la croce che attende Cristo e la sua morte sfociano nell’Ascensione, cioè nell’ingresso nell’orizzonte dell’eternità, dell’infinito e del divino. Un ingresso che era stato indicato dalla fine di Mosè ed Elia e che è attuato in pienezza (pleroun) da Gesù risorto ed esaltato nella gloria. Siamo ormai giunti alle soglie dell’ultimo atto del “dramma” della Trasfigurazione. Ora sarà dal cielo che si affaccerà l’ultimo personaggio a suggellare l’evento, rivelandosi come l’altro protagonista con Gesù.

Il protagonista finale, il PadreA decifrare in modo pieno il profilo del primo protagonista, Gesù, e a sciogliere l’enigma della scena della Trasfigurazione è una presenza-assenza, quella del Padre, il protagonista finale che pone il suggello all’intero “dramma” presentandosi con la sua voce. La sua parola è segno di trascendenza (il suo Volto, infatti, non appare), ma anche di vicinanza e di comunicazione. Essa ha come scopo quello di delineare il ritratto perfetto del Cristo elaborato attraverso il ricorso alle Scritture. È pure evidente che questo intervento rende la Trasfigurazione parallela al battesimo ove la stessa voce divina aveva solennemente presentato al mondo Gesù come figlio prediletto e inviato dal Padre (Mt 3,17; Mc1,11; Lc 3,22). Le dichiarazioni dei Sinottici nella Trasfigurazione riflettono sostanzialmente due schemi.
Lo schema di Matteo (Mt 17,5) ingloba anche la formula di Marco (Mc9,7) ampliandola: «Costui è il Figlio mio amato nel quale mi sono compiaciuto». C’è innanzitutto il profilo messianico del Figlio sulla scia del Salmo 2,7; c’è la proclamazione della sua unicità e predilezione divina con riferimento anche a Isacco, il figlio amato e sacrificato (Gn22,2); c’è il compiacimento che è adesione, approvazione, esaltazione con rimando al Servo sofferente del Signore «nel quale Dio si compiace» (Is 42,1). Ora l’altra formula, quella di Luca (Lc 9,35), si fissa maggiormente su quest’ultimo tratto: «Costui è il mio Figlio, l’eletto», espressione che ricalca proprio Is 42,1: «Ecco… il mio eletto in cui mi compiaccio»6. Dunque in tutti i Sinottici, sia pure con accenti diversi, il Padre rivela che il Figlio sarà glorificato, ma attraverso la via della sofferenza. Gesù è intronizzato nella sua persona divina, ma anche nella sua missione salvifica.
Il Padre, perciò, completa il ritratto del Volto di Cristo che è certamente Signore, rabbì, maestro, culmine della legge e della profezia, ma che è soprattutto Figlio e Salvatore. Verso di lui deve convergere tutta la scena e l’adesione dei tre spettatori che incarnano i discepoli dell’intera storia cristiana. L’imperativo finale: «Ascoltatelo!» non è solo l’appello a rivolgersi a Cristo come al profeta definitivo, secondo la rilettura messianica del Deuteronomio (Dt 18,15.19): «Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto… Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto». L’imperativo del Padre è un invito anche all’obbedienza piena al Figlio costituito come Signore della storia. Allora, come scriveva un esegeta, H. Baltensweiler, in un saggio dedicato proprio alla Trasfigurazione, «il vero discepolato di Gesù Cristo non consiste in una qualche insensata attività e in una vuota intraprendenza, quale quella che vediamo nei discepoli quando vogliono costruire le capanne, ma soltanto nell’ascolto adeguato del Kyrios, il Gesù trasfigurato»7.
Al centro della scena, dunque, si erge il Figlio intronizzato dal Padre. Quel Figlio che non perde la sua umanità facendola svaporare nella teofania. Alla fine egli, come si è visto, tocca per mano (Mt 17,7) i tre apostoli spettatori, avvicinandosi a loro, cancellando il loro timore sacro e ridiscendendo con loro le pendici del monte per ritornare a percorrere le valli e le pianure della storia ove si annida il male e il demoniaco (Mt17,14-21; Mc 9,14-29; Lc 9,37-42) e per puntare verso Gerusalemme, la città della sofferenza e della morte, ma anche dell’“esodo” (Mt 17,22-23; Mc 9,30-32; Lc 9,44-45). Giustamente Beda il Venerabile commentava: «Transfiguratus Salvator non substantiam verae carnis amisit»8, il Cristo glorioso non cancella la verità dell’Incarnazione. E noi abbandoniamo con lui la vetta del “monte alto” rievocando le sette presenze che hanno popolato quello spazio che è mistico e geografico, cioè trascendente e storico. Ecco per primo Gesù, Signore, rabbì, maestro, legislatore, profeta, Figlio unigenito e Servo sofferente. Ecco poi la Prima Alleanza con Mosè ed Elia, e i discepoli della Nuova, Pietro, Giacomo e Giovanni. Ed ecco, alla fine, il Padre che pone il primo protagonista Gesù di nuovo al centro della scena.

NOTE

1 L’analisi esegetica di questa scena è ampiamente sviluppata in tutti i commentari ai tre Sinottici e in un considerevole numero di saggi specifici tra i quali segnaliamo, a mo’ di esempio, J.P. Heil, The Transfiguration of Jesus, Roma 2000; E. Nardoni, La transfiguración de Jesús y el dialogo sobre Elias, Buenos Aires 1977 e J.M. Nützel, Die Verklärungserzählung im Markusevangelium, Würzburg 1973.
2 F.R. Tranchefort (a cura di), Guide de la musique sacrée et chorale profane de 1750 à nos jours, Paris 1993, pp. 628-636.
3 Citato in Dizionario culturale della Bibbia, Torino 1992, p. 247.
4 J. Gnilka, Marco, Assisi 1987, p. 478.
5 J. Radermakers, Lettura pastorale del Vangelo di Matteo, Bologna 1974, p. 248.
6 «Luca, sostituendo agapetós, prediletto, con eklelegménos, eletto, secondo Is 42,1, assimila di più il testo a Is 42,1 (cfr. 23,35)… In questo modo Luca vuole esprimere con il dovuto risalto l’importanza unica di questo Figlio e del suo compito» (H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, Brescia 1983, p. 876).
7 H. Baltensweiler, Die Verklärung Jesus. Historisches Ereignis und synoptische Berichte, Zürich 1959, p. 136.
8 PL 92,217.

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Card. Carlo Caffarra, Omelie sulla Trasfigurazione

SECONDA DOMENICA QUARESIMA
Cattedrale Ferrara, 8 marzo 1998


La volta scorsa abbiamo detto due cose, fondamentalmente.
La prima: la quaresima è il tempo nel quale Cristo vuole rivivere in noi il mistero della sua tentazione e della sua vittoria. La seconda: rivivere il mistero significa convertirci, cioè compiere come una sorta di “viaggio di ritorno” dalla condizione di errore e male in cui ci siamo cacciati alla verità e bontà del nostro essere in Cristo.
Iniziamo la seconda tappa del nostro cammino penitenziale. La parola di Dio oggi ci introduce in una nuova dimensione della nostra partecipazione al mistero di Cristo, rivivere il mistero di Cristo, negativamente significa (come abbiamo già detto) rinnegare il nostro “se stessi” falsificato, positivamente significa essere trasfigurati in Cristo e come Cristo. Oggi la parola di Dio ci rivela il mistero della trasfigurazione di Cristo e della nostra trasfigurazione.1. La trasfigurazione di Cristo. Accade qualcosa di straordinario in Gesù stesso. Ancora molti anni dopo, Pietro, uno dei tre testimoni, ne parlerà con commozione, scrivendo ai suoi fedeli (cfr. 2Pt 1,17). La gloria dell’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità, era stata come velata, nascosta nel mistero della sua incarnazione. Egli infatti non considerò come un tesoro da custodire gelosamente la sua condizione di uguaglianza al Padre, ma umiliò se stesso.
Nella trasfigurazione, quella gloria investe con tutta la sua forza l’umile umanità di Cristo e la rende piena dello splendore della sua divinità. In particolare Luca, unico fra gli evangelisti, dice che questa pienezza di splendore avviene nel volto di Cristo. Il volto è la persona: nel volto ed attraverso il volto la persona dice, esprime se stessa. Il volto trasfigurato di Cristo è la sua divina persona che si manifesta splendidamente in un volto umano. Questo è il mistero della trasfigurazione. Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su alcuni particolari.
Luca, come sempre, sottolinea che la trasfigurazione di Gesù avviene “mentre pregava”. E’ nell’incontro col Padre, quale si ha nella preghiera, che il suo volto di trasfigura: viene illuminato. La preghiera trasfigura il volto di Cristo, poiché lo introduce nella gloria del Padre.
Ed infatti, questo ingresso nella gloria del Padre viene manifestato attraverso un simbolo: “venne una nube e li avvolse”. La nube nella S. Scrittura era il segno visibile che la gloria di Dio era scesa in mezzo al suo popolo e così ora può essere svelata interamente l’identità di Cristo: “questi è il Figlio mio l’eletto”.
Ecco questo è il mistero della trasfigurazione del Signore. Essa in realtà anticipa per un istante il mistero della sua Risurrezione. Ciò che Gesù trasfigurato è stato per qualche momento, Gesù Risorto ora è per sempre: è il definitivo ingresso della sua umanità umile e distrutta dalla sofferenza e dalla morte nella stessa gloriosa vita eterna della S. Trinità. Luca ci svela il contenuto della conversazione che Mosè ed Elia tennero con Gesù: essi “parlavano del suo esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”. Non è detto la sua morte semplicemente. E’ il suo esodo, cioè il suo passaggio da questo mondo al Padre, non in senso locale, ma di condizione di vita: passa dalla nostra condizione alla condizione in cui la sua umanità è pienamente divinizzata.
2. Vi ho detto che la quaresima è il tempo in cui il Cristo vuole rivivere in noi il mistero della sua trasfigurazione: trasfigurarci a sua immagine e somiglianza.
Come è possibile questo? L’apostolo Paolo ci insegna nella seconda lettura che la nostra trasfigurazione in Cristo è possibile “in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose”. Il Cristo esercita in ciascuno di noi il potere che Egli possiede, di configurarci a Sé inviando in noi il suo Santo Spirito. E’ Questi la forza intima che abitando in noi ci vuole trasfigurare in Cristo.
E’ necessaria la nostra corrispondenza, il consenso della nostra libertà all’azione trasfigurante. L’apostolo parla di sottomissione di tutto, suggerendo così che il nostro consenso all’azione dello Spirito implica anche una violenza fatta contro quel falso io che abbiamo acquisito col nostro peccato.
E’ questo il cammino quaresimale: lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, allontanandoci da tutto ciò che ci impedisce di essere pienamente trasfigurati in Cristo.


SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
Assemblea ACI
Seminario, 20 febbraio 2005

La Chiesa ci conduce con sapiente pedagogia verso la celebrazione del mistero pasquale. Domenica scorsa ci ha mostrato Cristo tentato per noi nel deserto, perché con Lui ed in Lui, iniziando il cammino quaresimale, affrontiamo vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male. Oggi la Chiesa nella celebrazione del mistero della Trasfigurazione del Signore, ci mostra la meta a cui è orientato il nostro cammino penitenziale. Colla Trasfigurazione infatti "veniva dato fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che l’intero corpo di Cristo potesse conoscere quale trasformazione gli sarebbe stata donata, e le membra potessero rendersi sicure di aver parte a quella bellezza che aveva rifulso nel capo" [S. Leone M., Sermone 38,3.4].
1. "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte".
È l’azione di Cristo all’origine della decisiva esperienza che i discepoli stanno facendo. Un’azione che consiste nel "prendere con sé" l’uomo e nel "condurlo in disparte su un alto monte". Si istituisce su iniziativa del Cristo un rapporto colla sua persona mediante la fede; essa rende l’uomo obbediente alla guida di Cristo che lo conduce in disparte, poiché l’obbedienza della fede pone il discepolo contro il mondo; viene condotto su un alto monte: verso un’esperienza di incontro col Mistero che leva l’uomo sopra tutto ciò che è caduco e corruttibile. "Se dunque" scrive Origene "uno di noi vuole che Gesù lo prenda con sé, lo porti su un alto monte e lo renda degno di contemplare in disparte la sua trasfigurazione … che non ami più il mondo e ciò che è in esso [cfr. 1Gv 2,15], non concepisca più alcuna brama mondana … e abbandoni tutto quello che per natura circuisce e attira l’anima lontano dalle realtà più nobili e divine. La fa decadere e aderire all’inganno di questo mondo" [Commento al Vangelo di Matteo/1, CN ed., Roma 1998, pag. 351].
2. "E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la neve". Sono queste parole che descrivono il mistero che oggi celebriamo: che è dato di celebrare in verità e non solo nel rito, e a cui è dato di partecipare solo a coloro che Gesù prende con sé, li conduce in disparte su un alto monte. Che cosa è accaduto a Gesù? Che cosa accade a noi?
La Trasfigurazione rende visibile non la divinità del Verbo in se stessa: è impossibile all’uomo. Rende visibile quello splendore regale che è proprio della natura umana assunta dal Verbo. Di questo splendore essa prenderà possesso definitivo nella Risurrezione; nella Trasfigurazione viene momentaneamente anticipato. Ai tre discepoli è dato di contemplare il "grande sacramento", Gesù Cristo Signore. Egli è il "grande sacramento" non solo nel senso che opera la salvezza, ma perché in primo luogo è lo splendore del Padre nella nostra umanità.
Che cosa accade al discepolo che contempla questo mistero? Lo dice l’apostolo nella seconda lettura: la grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, viene ora rivelata e conferita con l’apparizione del salvatore nostro Gesù Cristo. È la grazia della nostra vittoria sulla morte, perché essa consiste nella partecipazione alla stessa vita di Dio. "E noi tutti" ci insegna l’Apostolo "a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore" [2Cor 3,18]. La nostra trasfigurazione, cioè la nostra divinizzazione, è il riflesso e la partecipazione della trasfigurazione del Signore: tutta l’umanità diogni persona umana è ora assoggettata alla gloria del corpo di Cristo.
Giosuè ha pregato che il sole non tramontasse per poter sconfiggere tutti i nemici di Israele. Il sole di giustizia, Cristo trasfigurato-risorto, non si affretta a tramontare: è nella sua Chiesa fino alla fine del mondo, perché possiamo trionfare su tutti i nemici che insidiano la nostra destinazione a Cristo. Dobbiamo lasciarci illuminare: "ascoltatelo". Ascoltare significa fare spazio alla sua presenza nella nostra vita, senza residui; significa seguire, obbedire, fare come Lui dice, vuole ed opera.
3. Carissimi, non pensate che l’atto che siete chiamati oggi a compiere sia estraneo del tutto al grande mistero che celebriamo. Sono le guide del vostro cammino che voi eleggerete. Il vostro cammino di AC è indicazione di come vivere in Cristo, di come trasfigurare voi e il mondo in cui vivete, nella gloria del Signore, nel suo Regno.
A voi questo è possibile perché siete nella Chiesa. La Chiesa è il mondo trasfigurato in Cristo e nello stesso tempo lo strumento di questa trasfigurazione. Sarete tanto più efficaci quanto più sarete viventi in essa.

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A. Nocent. Essere trasfigurato

Ma colui che ha scelto, che ha accettato la lotta,vede ciò che sarà: egli sarà trasfigurato come il Cristo. Mosè ha digiunato quaranta giorni. Elia ha digiunato per quaranta giorni; l'uno e l'altro sono saliti sulla santa montagna. Oggi essi appaiono col Cristo trasfigurato dinanzi agli Apostoli: E fu trasfigurato dinanzi a loro; il suo volto brillò come il sole, le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui (Mt 17, 1-9).
È significativo vedere Mosè ed Elia in questa intimità col Signore. In realtà nella loro vita, in mez-zo al loro popolo, essi erano già stati chiamati alla amicizia col Signore. Un digiuno di quaranta giorni li aveva preparati a questi incontri. Dopo otto giorni di Quaresima i catecumeni; come i battezzati, hanno potuto vedere abbozzate le realtà cristiane della loro esistenza. Nella prima domenica noi abbiamo assistito alla tentazione del Signore. Poi la Chiesa ci ha mostrato le attenzioni del Signore per i suoi, ma anche le lotte, le prove, le asprezze del cammino. Ora, nella seconda domenica, assistiamo alla Trasfigurazione, nella quale ritroviamo Mosè ed Elia. La scelta di questa proclamazione evangelica ha molta importanza, per cui non possiamo non insistervi un po'. La Chiesa ha davanti a sé i catecumeni. Essa li ha condotti nell'austerità, a imitazione di Mosè e di Elia. Insieme con gli Apostoli ora li conduce alla Trasfigurazione. Il Cristo sarà glorificato, ma passerà attraverso la sofferenza e la morte. È tutto un programma per chi vuol ricalcare la sua vita su quella di Cristo. immergendosi nel fonte battesimale. Qui noi siamo già in pieno mistero pasquale: attraverso la croce il Cristo raggiungerà il massimo della gloria. Osserviamo pure che i testimoni della Trasfigurazione sono gli stessi dell'agonia: Pietro,Giacomo e Giovanni. Inoltre questo episodio segue la confessione di Cesarea: « Chi dice la gente che io sia? », e la risposta di Pietro ispirato dalla fede. Nella Trasfigurazione Pietro sente come una conferma della sua professione di fede: la parola del Padre che proclama: « Questi, è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo ».Il racconto di san Luca ci fa conoscere il tema della conversazione del Cristo con Mosè ed Ella: « Par-lavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento in Gerusalemme » (Lc 9, 30). Parlavano apertamente della sua salita verso la Passione,parlavano del suo Esodo, della sua Pasqua. Questo stupisce, tanto più che il racconto della trasfigurazione comincia con « Sei giorni dopo » in san Matteo (17, 1), « Circa otto giorni dopo » in san Luca(9, 28). Se ci si interroga su cosa è stato il punto di partenza dell'avvenimento, si vede che si tratta dell'annuncio dato da Gesù della sua prossima Passione. La trasfigurazione del Signore ci richiama totalmente al mistero pasquale. E non soltanto in modo contemplativo, come se dovessimo soltanto osservare Gesù che fa il suo « passaggio », morire e risorgere, ma in modo attivo. Questo mistero riguarda anche noi. Noi pure dobbiamo « agire » col Cristo. Il cristiano e il catecumeno devono fare i quaranta giorni con Mosè e con Elia per giungere sulla montagna: occorre percorrere il nostro Esodo e non soltanto, come i discepoli, contemplare il Cristo trasfigurato; dobbiamo essere noi pure trasfigurati come il Cristo. Sant'Ambrogio, commentando il rito post-battesimale, nel quale i battezzati ricevono la veste bianca, scrive nel suo Trattato sui Misteri: « Colui che è battezzato è puro, secondo il Vangelo, perché le vesti del Cristo erano bianche come neve quando egli manifestava nel vangelo la gloria della sua risurrezione. Perché colui al quale è rimesso il peccato diventa bianco come la neve ».
Noi abbiamo avuto l'occasione, studiando il battesimo nel Giordano, di sviluppare certi aspetti che ritroviamo qui, e specialmente il significato profondo delle parole del Padre. La trasfigurazione è connessa al compimento della volontà del Padre. San Leone, in un sermone ripreso nell'Ufficio delle letture per la seconda domenica di Quaresima, ci dà uno splendido commento della trasfigurazione e del suo significato profondo per noi: “(Il Signore) dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa, perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato oggetto, e anche perché le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria che era brillata nel Capo. Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro, e la stessa cosa affermava anche l'apostolo Paolo dicendo: Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. E in un altro passo: Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà il Cristo, vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

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Eloi Leclerq. La trasfigurazione

Alcuni giorni dopo il primo annuncio dellasua morte, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su di una montagna. Là apparve trasfigurato ai loro occhi. «E mentre pregava il suo volto cambiò d'aspetto...» (Lc 9,29). «Il suo volto brillò come il sole», dice Matteo (Mt 17, 2). Anche le sue vesti avevano il fulgore della luce; risplendevano come neve al sole. Tutto il suo essere non era altro che luce. Questa Trasfigurazione non va intesa comeuna semplice metamorfosi esteriore, come un fenomeno meraviglioso e magico. Gesù non è un illusionista; non dà spettacolo di sé. Ciò che gli evangelisti esprimono qui, adottando la grande simbologia del sole e della luce, è uno sguardo di fede sul mistero di Gesù e del Vangelo. Il racconto evangelico della Trasfigurazione ci rivela il suo segreto solo a partire dal momento in cui si rinuncia a sapere cosa è storicamente successo quel giorno e come sia avvenuto. Solo a questa condizione possiamo sperare di entrare nella luce interiore di quanto viene qui evocato. La Trasfigurazione cessa allora diessere un avvenimento a parte nella vita di Gesù, una sorta di intermezzo meraviglioso. Diviene un tutt'uno con l'annuncio del Regno; essa è questo annuncio che, improvvisamente, si chiarisce nella sua profondità, a partire da ciò che Gesù vive nel suo intimo, nella sua relazione con il Padre. In tutto il suo insegnamento, e in particolare nelle parabole, Gesù aveva presentato il regno di Dio mettendo l'accento sul suo carattere nascosto. Il Regno viene, si è avvicinato; ma dal di fuori non appare in modo eclatante; non è niente di spettacolare e di sensazionale. Non è nascosto solamente nel mistero dell'al di là, ma anche qui. Si presenta sotto il velo del quotidiano; si inserisce nello svolgimento della vita ordinaria, come il lievito nella pasta. È presente nel cuore di un mondo familiare che ognuno di noi conosce, quello delle attività di tutti i giorni, quello dei dolori e delle gioie di tutti. Ai farisei che lo interrogavano sulla venuta del Regno e sui segni che avrebbero permesso di riconoscerlo Gesù rispose: «Il Regno di Dio nonviene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: eccolo qui o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,20-21). Così il Regno viene inosservato da coloro che si aspettano segni straordinari, fantastici. Ma se è nascosto in un presente tutto quotidiano e familiare, non è in alcun modo essostesso una realtà quotidiana e familiare. È una prossimità del tutto nuova di Dio al mondo,una presenza meravigliosa, insperata, insuperabile, una rivelazione di tenerezza che trasfiguratutto, in modo tale che colui che la accoglie può dire in verità: «Essere qui è splendido». Con la sua venuta l'esistenza più comune viene trasfigurata in tutte le sue relazioni; si vede penetrata, trasportata dall'afflato di misericordia e di tenerezza che viene dal Padre, attraverso questa relazione singolare, unica, fatta di intimità, che Gesù intrattiene con il Padre. Esteriormente nulla è cambiato. Tuttavia tutto viene vissuto diversamente: nella luce del Figlio diletto. L'annuncio del Vangelo, pertanto, è interamente trasfigurazione. Per penetrare pienamente il senso della trasfigurazione, così come ci viene presentata da-gli evangelisti, bisogna fare un ulteriore passo avanti. Questo potere trasfigurante del Regno si esercita con più forza, proprio dove apparepiù nascosto: nell'esperienza della umiliazione, della sofferenza e della morte. Nel cuore del fallimento e dell'abbandono. Gli evangelisti ci dicono che, nel momento della Trasfigurazione, Mosè e Elia, apparsi in gloria, si intrattenevano con Gesù. E, precisa Luca, «parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 30, 31). Siamo qui nel cuore del mistero. La salita di Gesù a Gerusalemme, la sua sofferenza e la sua morte, si trovano come avvolte in questa luce di gloria che circonda Mosè ed Elia. E, in questa luce, appaiono come il luogo privilegiato del Regno. Impegnandosi sulla via delle tenebre, Gesù porterà anche là la nuova prossimità di Dio,e, con essa, il Regno. Quest'ultimo vì sarà nascosto come in nessun altro luogo; ma il suo potere trasfigurante sarà presente come da nessun'altra parte. Con la sua sofferenza e la sua morte, Gesù instaurerà il Regno, non in un paese lontano, di sogno, ma nel cuore della condizio-ne umana più dura, più deturpata, più inumana. A tutti gli esclusi, gli emarginati, gli abbandonati, a tutti i crocefissi, egli porterà l'oggi del Regno. E la sua presenza al loro fianco ti mostrerà che Dio li ha raggiunti nel loro abisso e che il Regno di luce è venuto fino a loro. Nella storia del Cristianesimo occidentale si è pensato all'avvento della salvezza più spessoin termini di liberazione che non di trasfigurazione. Tuttavia la liberazione portata da Gesù si realizza veramente solo nella trasfigurazione. Gesù lascia l'uomo con le sue debolezze e le sue sofferenze, la sua solitudine e la sua morte, ma trasfigura tutto ciò prendendolo su di sé e facendo della condizione umana più povera il segno stesso della prossimità di Dio al mondo. Questo sguardo trasfigurato su Gesù, che fa vedere come le sorti del Regno si compiano con la sua morte, ha potuto attuarsi solo a partire dalla Risurrezione. Ciò sembra evidente. Ma il racconto evangelico della Trasfigurazione lascia intendere che l'insegnamento di Gesù ai suoi apostoli, nel momento in cui si preparava a morire, andava in questa direzione, Egli prevedeva la sua stessa «dipartita» proprio in tal modo e la accettava. Gli apostoli dovevano saperlo: le umiliazioni, la sofferenza e la morte del loro Maestro, ben lungi dall'essere il fallimento del Vangelo e del Regno, ne sarebbero state, al contrario, il pieno compimento. Alcuni giorni dopo, Gesù rinnovò ai suoi l'annuncio della sua morte imminente. Questa volta nessuno di loro protestò. Lo seguivano rattristati, e, tuttavia, fiduciosi come bambini.

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Bruno Forte. FACCIAMO QUI TRE TENDE. LA TRASFIGURAZIONE, BELLEZZA CHE SALVA IL MONDO





La Trasfigurazione è la porta della bellezza che non tramonta, entrata nella storia per essere per chiunque creda nella Parola fatta carne la bellezza che salva nel tempo e per l'eternità: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4).
Un duplice dato evangelico aiuta a comprendere in che senso la bellezza rivelata sul Tabor e constatata nello stupore e nella gioia dall'Apostolo Pietro sia la via nuova e vivente che Cristo è venuto ad aprirci per andare al Padre. Il primo dato consiste nel fatto che il Pastore, che raccoglie le pecore nell'unità del Suo gregge, è presentato come il "bel Pastore", secondo l'esatta traduzione del testo greco evangelico. L'ora pasquale rivelerà il volto di questa bellezza nell'Uomo dei dolori che si consegna alla morte per amore nostro.
C'è però anche un altro dato evangelico che aiuta a riconoscere nella bellezza la via del Vangelo: la testimonianza, via preziosa per l'annuncio del Vangelo, è inseparabile dallo sfolgorio della bellezza negli atti del discepolo interiormente trasfigurato dallo Spirito: dove la carità si irradia, lì s'affaccia la bellezza che salva, lì è resa lode al Padre celeste, lì cresce l'unità dei discepoli dell'Amato, uniti a Lui come discepoli del Suo amore crocifisso e risorto. Alcuni testi del teologo russo Florenskij illuminano in maniera straordinaria questa lettura dell'episodio della trasfigurazione.
È dunque la rivelazione del Tabor che insegna a cogliere nella bellezza la via della salvezza donata dall'alto: essa educa a cogliere nella morte del Figlio di Dio nella tenebra del Venerdì Santo e nel Suo risorgere alla vita il frammento dove si è compiuta una volta per sempre l'irruzione del Tutto.

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Carmen Hernandez sulla Trasfigurazione

DALL'INTERVENTO DI CARMEN HERNANDEZ ALL'INCONTRO DEI GIOVANI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE ALLA GIORNATA DELLA GIOVENTU' A TORONTO
MIDLAND, LUGAR DEL MARTIRIO DE LOS MÁRTIRES CANDIENSES
(CANADÁ), JULIO DEL 2002.

Ayer lo leí por escrito, y me ha maravillado tanto, porque el Papa ha hecho de la catequesis algo fantástico, verdaderamente es increíble. He leído el texto entero, y el Papa ha dicho de todo, mucho mejor de cómo lo quería hacer él. Lo ha hecho mucho mejor que nosotros. Y espero, os recomiendo que en el autobús, mañana, en vuestra casa, donde estéis, leáis verdaderamente la catequesis que ha dicho el Papa, que jamás es moralista, y se vislumbra un espíritu que verdaderamente parece Pedro, Jesucristo hablándole a él que es en verdad la roca donde Jesucristo ha fundado su Iglesia: ¡Tu eres Pedro, y sobre esta piedra edificaré mi Iglesia, y los infiernos no la destruirán, ni el marxismo, ni el comunismo, ni nadie!!, Ni aunque toda la técnica de hoy, toda la masonería que hay, nada hará sucumbir nuestra Iglesia, porque esta edificada sobre una piedra angular que es Jesucristo, que es la piedra de la unidad y de la fuerza. A mi me ha entusiasmado ver al Papa que ha hablado bien (se le entendía n.d.r), porque últimamente se encontraba mal, y no se le oía hablar bien, es decir, ¡como él siente verdaderamente este encuentro!. ¡A mi me conforta porque yo soy enemiga de las masas y de esta reunión!, Kiko y el Papa están en cambio acostumbrados al "teatro". ¿Sabéis que me conforta ahora?, ¿sabéis que hora es?. Las 3:00, las 3:15, que es cuando muere Jesucristo, ¡en la cruz Jesucristo muere a esta hora!. A las tres muere Jesucristo, y ¿sabéis que dice la tradición hebrea?, la Torá oral, que han hecho muchos, muchos estudios de la Torá, y como dice uno al que le han dado el premio nobel hoy, que ha vivido el nazismo, se llama Wiesel, dice que la palabra de Dios es como un gran talismán, como una estatua enorme que tiene mil caras y es todo uno, y que incluso en medio de una multitud, de millones, ¡¡cada uno ve que Dios le habla a él solo!!. Cuando está en el Sinaí dirá Dios: "Yo soy el Señor tu Dios", no dice "Vuestro Dios", ¡¡Soy tu Dios!!, cada uno delante de Dios, a cada uno se le conoce por el nombre, ¡somos únicos!. Yo por ejemplo, si soy capaz de estar aquí es por la fe recibida, ¡porque el Espíritu Santo te viene a buscar aquí!, te está buscando en tu corazón, para abrir vuestro corazón verdaderamente a la palabra de Dios, y al destino impresionante de este universo que es la luz.
Con vista a este Encuentro me he preparado mil cosas que ahora al ver esta situación del sol y de la hora terrible que es...¡Esto lo ha montado Kiko y yo soy obediente a él, porque sino yo no habría aceptado esta hora aquí, ni la policía, ni los Jesuitas, ni no se cuantos!. Yo digo que el Papa todavía lo ha elegido mejor, porque al menos el lo ha hecho por la tarde, cuando el sol se pone...A los hombres no se les puede dejar solos.
Son las tres, la hora cuando el evangelio dice que Jesús expira, da su Espíritu al Padre, después de la agonía, de las palabras, de todo, es a esta hora; La tradición y los mismos Evangelios nos anuncian esta muerte de Jesucristo. En todos los Evangelios se ve a Jesucristo dentro de este contexto inmenso que es toda la historia de un pueblo, no de una persona, o un místico, o un mártir Jesuita, sino que es todo un pueblo entero que ha vivido una historia, y este pueblo en su tradición dice que...¿sabéis a que hora pecó Adán? , a las tres. Dios lo ha creado en el sexto día a las tres, y mientras estaba en el jardín cogió la fruta... y todo lo demás que pasó allí, a las tres, en ese momento pecaron, y entraron verdaderamente en un problema insoportable. Ahora se entiende porque a las tres no se mueve nadie en Oriente, ¡porque es insoportable la situación del sol!, bien, yo en el fondo me había preparado un programa y todo, y del Papa me gustaría releer algunas cosas, aunque pienso que vosotros lo conseguís rápido, releed por eso las palabras que ha dicho el Papa, porque se ve como es mayor (en la fe n.d.r), ha dado de si mismo a todos, y lo ha hecho así de bien, bien, bien, ¡en verdad algo impresionante!. Me han emocionado también los Obispos que estaban presentes, porque los Obispos son muy importantes en la Iglesia, ya que han sido constituidos después de los apóstoles, y me emocionaba porque lo han soportado todo. Yo digo que son verdaderos santos también estos Obispos por este desplazamiento, porque no son así, jovencitos como vosotros, porque los jóvenes os movéis todo lo que queréis, hacéis muchas cosas como ha dicho el Papa. El Papa ha dicho una cosa: la próxima reunión de la juventud será en Colonia, ¡Colonia!, donde está el Cardenal Meisner, al que queremos mucho y que nos ha ayudado tanto...(ha abierto un Redemptoris Mater, n.d.r) y a mi me ha impresionado la Catedral, que es una de las mejores que existen en Europa, la Catedral de Colonia, que se ha salvado de la guerra, de la guerra mundial. Y allí están los Magos, los Magos de Oriente, que están enterrados allí según la tradición, está lleno de monumentos, algo impresionante. Los Magos, ¿y quienes eran los Magos?, científicos, sabios que venían siguiendo la luz, ¡la estrella!, ¿comprendéis?. Esto me ha hecho pensar en lo importante que es hoy la ciencia, y tras nuestra mafia neocatecumenal, como yo dije una cosa en el Circo Máximo (a cerca de la importancia de la ciencia en el mundo de hoy n.d.r) que había impresionado tanto, uno me dijo: Te voy a dar yo una explicación científica de lo que tu has dicho teológicamente, y me ha mandado una serie de cosas que son muy interesantes; A mi me gustaría decir alguna de estas cosas, pero en esta situación es muy difícil, porque son cosas científicas, pero os voy a leer algunas frases de todo esto que me ha enviado la mafia Vaticana, digo la mafia neocatecumenal, porque el que me lo ha enviado es un gran profesor de ciencia, de química, de física, de bioquímica, de no se cuantas cosas...¡dejadme en paz con las fotografías por favor!... Leo solamente algunas frases de este profesor que me ha mandado esto, que es un profesor importante, y que sabe mucha física, y me ha traído para ver en un ordenador una serie de mapas sobre esto que el decía, sobre las fotografías de las moléculas, de los átomos, de todas las cosas del universo, una serie de cosas muy interesantes, ¡como está caminando hoy la ciencia!. La Luz, para la ciencia, es algo importantísimo. Os leo solamente alguna cosa. ¿Qué es la Luz?, esto os querría preguntar, ¿qué es la Luz?, porque os han bombardeado tanto, tanto con esto de ser la Luz, ser la Luz, la Luz; todas las predicaciones que nos han hecho, hecho y hecho sobre la Luz y la Sal, mas yo os pregunto: ¿che è la Luce?, ¿che è la Luce?, ¿What is the Light?, ¿Qu'est-ce la Lumiere?, en Español: ¿qué es la Luz?. Dice: ¡la Luz es definida por la física moderna como un conjunto de ondas electromagnéticas caracterizadas por distintas longitudes de onda!. No son como las olas del mar, la Luz es definida...me imagino que está aquí este profesor, porque el tiene muchos hijos, y también el lleva a muchos jóvenes, imagino que estará aquí; Es un pecado porque yo con esto quiero que cojáis un poco de gusto para estudiar física, y la ciencia de hoy, porque se necesitan sabios, sabios hoy que den respuestas y que tengan fe de fondo para poder interpretar los datos que origina la ciencia y que son muchos, ¡muy importantes!. El Papa ha dicho que el mundo tiende a ir a la técnica solo por los sueldos, y la ciencia tiene una revelación impresionante, para poder así conocer el misterio del universo, ¡a donde vamos, de donde venimos!; La ciencia tiene una cosa que es importantísima, yo por eso os invito no solamente a ser presbíteros, sino a ser también científicos buenos, ¡y estudiar la verdad!. La Luz, os repito, es definida por la física moderna, como un conjunto de ondas electromagnéticas, caracterizadas por distintas frecuencias de onda y energía. Es fundamental, esto es algo muy fundamental lo que ahora quiero decir, aprender que mientras la física Newtoniana, no se si sabéis quien era Newton, un gran físico de finales del siglo diecisiete que descubrió miles de cosas, y que para él era importantísimo el tiempo y el espacio. El espacio, porque nunca se acababa, y el tiempo, porque era imposible retener un minuto, y como el espacio y el tiempo están de forma absolutamente coordinada; ¡esto en el tiempo de la física del siglo diecisiete!. Después viene otro señor que se llama Einstein, y que casi es contemporáneo nuestro, y que descubre en cambio que tales "grandezas" no son absolutas, sino relativas, ¡ni el espacio, ni el tiempo!. Esto sería magnífico saberlo explicar, pero no tenemos tiempo, pero son relativas. Esta palabra "relativa" parece ser que a Einstein le gustaba, porque dice que todo es relativo. Y hoy con el relativismo se ha estropeado la moral, la religión, y todo, ¡ha provocado el desastre!. Y a Einstein le gustaba esta palabrita, ¡porque Einstein lo relativizaba todo!. Hoy la física dice que la luz viaja a 300.000 km. por segundo, ¡imagínate lo que es 300.000 km por segundo!, imagínate que la sonda americana, que ha sido un gran invento de los Estados Unidos, de la NASA, con ayuda Europea y no se cuantas cosas más, viaja a 64.000 km. por hora, no por segundo, ¡¡es como una carreta!!. Es hermoso que en la historia del universo existe la Luz; la Luz es una entidad absoluta, fantástica y maravillosa que va a una velocidad de 300.000 km. por segundo. La Luz con su velocidad, es una única entidad absoluta (Carmen está queriendo comparar la visión científica de la luz, con la visión teológica, dándose cuenta de la cantidad de similitudes n.d.r). Es interesante como la palabra que vamos a proclamar, ya la revelación identifica que ¡¡Dios es Luz!!. Es una cosa impresionante e increíble la Luz con su velocidad, y dice que ¡¡Dios es Luz!!... Como es imposible hablar de todo aquello de lo que querría hablar, porque es largo y no se que hora es, pero yo os invito a estudiar, porque es muy interesante como la Revelación, Dios que ha hablado, es Él...y si miráis la primera página del Génesis, dice que ve el universo, dice: en el principio creó el cielo y la tierra. Entonces la tierra estaba desierta, y las tinieblas recubrían el abismo, y el espíritu de Dios aleteaba sobre las aguas. Dios dice: "sea la Luz". Así que él la crea. Así que su palabra hace la Luz. La palabra que vamos a proclamar es interesante, aunque la hemos escogido nosotros hace una semana, aquella que ha leído y proclamado el Papa en la Vigilia, que es de la Primera carta de San Juan, y yo he visto una cosa aquí, en Canadá, he visto que a la entrada, a 40 km. de Toronto, hay una Iglesia muy bonita hecha en el 84, en la que ha estado el Papa y en la que ha participado con dinero para terminarla, porque le faltaba el techo, ¿sabéis cual es?, ¡la Iglesia de la Transfiguración!, ¡Transfiguración!. Yo querría deciros algo de la Transfiguración, pero entended primero que es esto del espectro, este gran espectro que tiene la Luz, y que parece imposible. Me imagino que el profesor que me estará escuchando pensará: ¡pobrecilla!...¡ El espectro electromagnético tiene una multitud inmensa de ondas!. Aquí están las ultravioleta,...y en el centro encontramos lo que se llama "luz visible", la luz que nosotros vemos, aquella que es visible, y que tiene muchos colores, ¡y tiene una unidad que es...!. A parte de la velocidad, que es algo maravilloso; Nosotros mismos parece que estamos aquí en una llanura, ¡sabed que estamos en una astronave!, la tierra es una astronave fantástica que todavía los Americanos sueñan con hacer algo parecido. Lo que han hecho ellos es una carreta; La tierra misma está navegando a una velocidad de 30 km. por segundo. Nuestro planeta no está quieto, está caminando a una velocidad de 30 km. por segundo, estamos en una astronave. Yo os digo esto porque imaginaos, ninguna nave, ningún avión que hayáis visto, tiene árboles dentro, ni piscinas, ni mares, en un avión, nosotros hemos venido en uno muy bueno que era de la compañía no se cual...¡lo que tienen es ridículo!!. Nosotros mismo estamos navegando en el Universo en una astronave fantástica. ¿Y quién la mueve?, ¿el petróleo de los Árabes?, ¿del Arabia Saudí?, ¿la mueve Bush?, ¿quién mueve esta nave?...Este es el misterio inmenso que estamos viviendo en el universo, y ¿de donde venimos y a donde vamos?. También esto es interesante. Ahora sin embargo es interesante la Transfiguración, y que Jesucristo es visto completamente ¡Luz!, y los apóstoles serán testigos de esto. No están todos los apóstoles, solo tres lo han visto, lo han oído, han tocado la realidad histórica que es la Transfiguración. Por esto entended lo importante que es la Transfiguración, que dice que la Luz, aquí nosotros no sabemos hablar mucho acerca de lo que es la luz, es algo verdaderamente interesante, la Luz, que desde un punto de vista científico es también muy interesante, también la interacción que tiene la Luz con la materia, osea, con los átomos, las moléculas. La propiedad de las ondas electromagnéticas que forman la Luz es la de excitar las moléculas y los átomos, osea que excita las moléculas y los átomos, enviando los electrones fuera del núcleo, y se alejan para después retornar a su estado fundamental. Y en esta fase, la energía adquirida por el átomo, la molécula, todavía puede ser liberada en forma de luz, o bien disipada en forma de calor. Cuando se disipa en forma de calor es cuando un cuerpo recibe la luz y se apropia de toda esta luz, por lo que este cuerpo se transforma en negro, es el color negro. Mientras que cuando la luz que coge el átomo, la molécula, la refleja toda, ¡este cuerpo se transforma en blanco!. Ahora mirad que la Transfiguración es el ejemplo máximo donde Jesucristo refleja al máximo el amor del Padre, y esto es fantástico como la Luz, que Dios nos llama a nosotros a ser Luz, a reflejar, a no quedarte nada para ti, sino a reflejar verdaderamente la fe y la Luz, ser verdaderamente blancos, no acabéis siendo negros. Hoy nosotros estamos también en este agujero inmenso en el universo que lo desencadena todo, y somos como algo terrible. Y ahora la Luz, en toda la Revelación aparece como el amor de Dios completamente, de cómo Jesucristo refleja este amor de forma total dándose completamente...La Transfiguración, sería muy importante leerla, y como esta Transfiguración no se la inventa Jesucristo...
...Y dice: ¡¡"Yo soy el Señor tu Dios"!!, y han visto también 10 palabras que marcaban todo el camino hacia la muerte, del desierto, y de las serpientes y todo, y son 10 palabras a las que nosotros hoy llamamos mandamientos, y son 10 palabras: ¡Amarás al Señor tu Dios con todo el corazón!, pero ¿por qué?, ¡porque primero has escuchado que yo soy el Señor tu Dios!. Este es el problema que tenemos siempre. Dios existe, Dios no existe, ¡existe siempre esta duda!. A donde vamos, quienes somos...y Dios se ha manifestado y te dice: ¡¡"Yo soy el Señor tu Dios"!!, "yo te conozco, se de donde vienes y a donde vas, yo tengo un proyecto para contigo, un proyecto fantástico y maravilloso, de llevarte verdaderamente a la divinización, a salir verdaderamente del problema de la muerte, de este problema"...sería interesante decir, pero es muy difícil. Quiero subrayar que esta capacidad de reflejar enteramente la Luz, como hace Cristo en la Transfiguración, no es un fenómeno corriente en la naturaleza. Todas las cosas absorven una parte y reflejan otra parte, así aparecen los colores, del rojo al verde, el azul, el gris, porque no lo reflejan todo. Por eso el blanco es la donación completa. La escritura, que habla del amor de Dios, es como un espejo en el que se refleja completamente la sabiduría de Dios. El espejo es algo material que refleja completamente cuanto le refleja la Luz. El Señor nos invita en toda esta explicación de la Luz, de la cual las Escrituras están llenas de estas cosas verdaderamente fantásticas, que aquello que está diciendo la ciencia lo ha dicho ya Dios, en su revelación, en todas partes. Como el misterio inmenso del Universo va todo caminando hacia una Transfiguración. Pensad también en las cosas más pequeñas, como un grano de Avena que puede dar energía y luz, por eso también todos los muertos enterrados que parece que no sirvan para nada...tiene dentro un misterio de átomos que se mueven, un ejemplo es la bomba atómica, ¿no?. Justamente caminamos hacia el 6 de Agosto, que es la fiesta de la Transfiguración, y que coincide con el día en que cayó la bomba atómica sobre Hiroshima. Cuando se pensaba que el átomo (no era nada n.d.r)...el primero que habló del átomo era un griego, significando la palabra átomo con indivisible, por lo que se pensaba que era indivisible, sin embargo se ha descubierto el misterio enorme que está dentro del átomo, la enorme explosión nuclear que puede dar un solo átomo, es decir, la materia puede verdaderamente dar lugar a una inmensa energía, como hemos visto con la bomba atómica. El misterio del Universo es muy, muy impresionante...la revelación es la Luz, es el sol también que tanto me está impresionando, es una lámpara en el Universo. Y las galaxias están viajando a una velocidad inmensa, y que es todo un misterio inconcebible también para la ciencia, que están descubriendo tantas cosas, pero ninguna en comparación con el misterio enorme que está entorno a la sabiduría de Dios, que no se puede medir por ninguna parte. Pero Dios nos está llamando verdaderamente a esta divinización para él, porque él no tiene materia, el tampoco no tiene luz, sino que es ¡espíritu puro!. El nos llama a una espiritualidad pura que será algo fantástico, y que todavía la ciencia esto no lo conoce, pero Cristo nos lo ha revelado, porque nos ha llevado para hacernos hijos de Dios. Ahora os digo una pequeña cosa de la Sal, porque la sal la habéis tenido en la mano, sabéis más que cosa es; En química se le llama Cloruro Sódico, es decir, que tiene el cloro y tiene el sodio. El sodio es un metal que puede explotar con Hidrógeno, el solo, es muy peligroso, ; el sodio también el solo es muy peligroso, una inhalación puede ser mortal. Es decir, con dos elementos que son muy peligrosos y pueden matar a alguien se forma un granito de cristal al que se llama sal, que es fantástico y maravilloso. Porque esta imagen que hay aquí, fantástico este científico que me ha dado estas cosas, debe de tener mucha fe...La sal, este cloruro sódico que está formado por componentes venenosos, ella misma es algo maravillosa, pero ¿cómo es maravillosa?, ¡deshaciéndose!, osea, muriendo a si misma, el cloruro de sodio forma iones cloro y iones sodio. Estos iones son capaces de atraer en torno a él, como la comunidad, las moléculas de agua gracias a su estructura; Es fantástico y maravilloso ver como la Sal verdaderamente da sabor a todo, sin embargo necesita disolverse y morir, desintegrarse ella misma. Esta es la imagen que hace esta maravilla que es la Sal, porque la Revelación une la Sal con la Luz. Si nosotros entendemos el misterio del ojo, que también es fantástico, porque en el centro de la pupila gracias también a la sal (formando otros compuestos en el cuerpo una vez deshecha n.d.r) la luz es comunicada al cerebro y nosotros vemos. Una cosa que es fantástica, Luz y Sal. La ciencia está diciendo cosas que van completamente de acuerdo con toda la revelación, con estos dos elementos absolutamente fantásticos. Sin embargo la Luz debe ser, para ser realmente luz , debe reflejarlo todo, no puede quedarse nada para si misma, y la Sal para ser verdaderamente sal, debe disolverse, que es morir. Por esto es interesantísimo esta muerte, que no es una angustia, sino que es una bienaventuranza. Por eso me ha gustado muchísimo el Papa cuando ha dicho esto de las bienaventuranzas como una escalera hacia la felicidad, que es ser verdaderamente felices, porque estas cosas que está diciendo van unidas a la vida, Luz y Vida. Y la Vida hoy, Dios ha amenazado a este planeta nuestro... el sexo que está al servicio de la vida, puede en una chica, transformarse en una pornografía insoportable, que es deshacer verdaderamente el problema de la Vida, y la matriz que tiene la esposa, la mujer que tiene la fábrica de la Vida, y que el hombre junto con la mujer pueden ser verdaderamente como la Trinidad, todo se puede destruir. Entrad verdaderamente en el misterio de Dios Padre que hace verdaderos hijos. Es algo fantástico y maravilloso toda la revelación, que es una palabra en este universo, en medio de estos falsos profetas, en este Internet, en esta estupidez enorme, que descubre verdaderamente la ciencia... buscad la sabiduría que hay dentro de la Palabra de Dios, que os hará felices, felices sin angustia, sin todas las cosas. Entonces, como yo no tengo más tiempo para nada de lo que quiero hacer, y había preparado tantísimas cosas, solamente si rezáis, como dice el Libro del Salterio,...Yo estoy muy contenta de que hayan aquí representantes Ortodoxos, porque la Ortodoxía observa muchísimo la Transfiguración, está en todos los iconos, la Transfiguración. Y en el mismo Sinaí, saliendo del Sinaí, allí hay un monasterio muy antiguo del siglo cuarto que se llama monasterio de la Transfiguración, y al que después han llamado monasterio de Santa Caterina por sus orígenes, allí hay un mosaico impresionante de la Transfiguración, como un testimonio de cómo Dios es Luz, y ha abierto un camino en el desierto y en la muerte con diez palabras fantásticas y maravillosas que son las mismas que las bienaventuranzas, las mismas, serás feliz sino adulteras, sino robas, etc...pero Cristo ha dicho esto mismo al revés ( es decir dichosos aquellos que son pobres, perseguidos,...n.d.r). Voy terminando.
¡¡Mártires Canadienses!!, y en esta transfiguración encontramos tres testigos, que son: San Juan y su hermano San Santiago y Pedro. Yo os querría decir alguna cosa de estos tres. Pedro es muy importante porque si leéis el Evangelio dice: "seis días después Jesucristo subió a un monte alto, y allí se transfiguró en su presencia. Seis días después u ocho días después que no cuentan, y ¿por qué pasan ocho días primero o seis días primero?. En estos días se está celebrando una fiesta, porque allí (en el Israel del momento n.d.r) encontramos muchas fiestas que son fantásticas, y está el día del gran perdón etc, y Jesucristo lleva a los apóstoles al límite de Israel con Siria, desde donde se ve donde empieza el Jordán, donde están las cascadas, y allí Jesucristo entabla este diálogo con Pedro: ¿quién soy yo según la gente, y quien soy yo según vosotros?. Y el dice: ¡Tu eres el Cristo, el hijo del Dios vivo!, es decir, que Dios se manifiesta y le dice su nombre a Pedro. En el mismo momento se está celebrando en Jerusalén una gran fiesta, y allí en el templo está Caifás, que era el Sumosacerdote de aquel momento, diciendo precisamente el nombre de Dios, la única vez que Israel puede decir el nombre de Dios (se celebraba la fiesta del perdón judía, o Yom kippur, y Carmen pone el acento en el paralelismo entre la revelación y culto divino, y el culto pagano. Como se desprende "Dios se manifiesta a los pobres de espíritu" n.d.r). Esto explicarlo bien es imposible...Yo quería deciros que el perdón es algo muy importante, que también Pedro después negará a Jesucristo y negará a la Luz (que es Cristo n.d.r) en el alba, sabed que canta el gallo anunciando la aurora, el día, la luz; Pedro volverá a la Luz y será testigo de la Transfiguración y también de su pecado. Después está también San Santiago, Santiago apóstol que es el patrón de España, y el Papa hizo un encuentro allí...pues Santiago ha sido el primer mártir de los Apóstoles. Todos ellos darán su vida, y después está San Juan, hermano de Santiago, y que es el único que resiste junto a la Virgen a los pies de Cristo, y del cual ahora proclamamos una palabra de testimonio de la Transfiguración. De la primera carta de San Juan Apóstol: "Lo que existía desde el principio, lo que hemos oído, lo que hemos visto con nuestros ojos, lo que contemplamos y tocaron nuestras manos acerca de la Palabra de vida, - pues la Vida se manifestó-son testimonios verdaderos, y no uno, ¡sino tres!- nosotros la hemos visto, y de eso os damos testimonio, y os anunciamos la Vida Eterna". Caminamos y atravesamos la barrera de la muerte en Jesucristo a la luz de la Resurrección, de la Transfiguración, del Espíritu, que nos hará entrar en Dios como hijos. Ser de su familia y estar en comunión, que es el amor, entrar verdaderamente en el amor del único que ha experimentado la Vida Eterna. Los hijos que te hacen perder la esperanza, el marido que es horrible, tu padre que no lo soportas, tu madre que te dice las cosas, y el sexo que es fantástico, y aquella chica con esos pechos...¡estas cosas no son nada!, sabed que después te quedas vacío. Lo único verdaderamente que queda en realidad no es el sexo, sino el amor verdadero. Dice que la vida, da testimonio San Juan, que la Vida se ha hecho visible, nosotros la hemos visto, y de ella damos testimonio y os la anunciamos, "anunciamos la Vida Eterna que estaba en el Padre, y de la cual nosotros somos testigos visibles", también si yo estoy aquí es porque verdaderamente para mi existe la Vida Eterna.
Yo he pasado mucha angustia, muchos túneles, pero siempre Dios te sostiene, y en esos momentos te muestra la Luz, porque la Resurrección del Señor va delante, y tenemos un testimonio; Nosotros queremos dar testimonio en el mundo de a donde va el hombre. Ahora Dios te ha elegido, y te está dando tantas gracias y tanta luz para que tu puedas iluminar el siglo veintiuno, como está diciendo el Papa. Tu tienes una misión impresionante, más que estar todo el día metido en el ordenador, caminar verdaderamente en mundo y llegar a ser un hijo, y tu serás el futuro, serás la sabiduría, serás la luz, serás el amor. " La Vida Eterna que estaba en el Padre se nos ha hecho visible a nosotros; Aquello que hemos visto y oído, os lo anunciamos, para que también vosotros estéis en comunión con nosotros. Nuestra comunión es con el Padre y con su único hijo Jesucristo. Estas cosas os escribimos para que nuestro gozo sea perfecta" - ahora continuaré, salto un trocito...Después Kiko seguirá y hará todas las tonterías que quiera - "Y este es el mensaje que hemos oído de él y que os anunciamos: Dios es Luz, en él no hay tiniebla alguna. Si decimos que estamos en comunión con él, y caminamos en tinieblas, mentimos y no obramos la verdad. Pero si caminamos en la luz, como él mismo está en la luz, estamos en comunión unos con otros, la sangre de su Hijo Jesús nos purifica de todo pecado. Hijos míos, os escribo esto para que no pequéis. Pero si alguno peca, tenemos a uno que abogue ante el Padre: a Jesucristo, el Justo. El es víctima de propiciación por nuestros pecados, no sólo por los nuestros, sino también por los del mundo entero..."
Ahora os quería decir una cosa muy importante que se me había olvidado...Cuando hicimos el encuentro en el Circo Máximo, otro de la mafia vaticana, no vaticana, neocatecumenal, me escribió una carta diciéndome: Querida Carmen, partiendo de una frase que dijiste en el encuentro de los jóvenes en el Circo Máximo acerca de la túnica de José, tuve curiosidad y te mando algunas cosas que encontré. Y ha encontrado cosas fantásticas sobre la importancia del vestido, y la importancia de la túnica. Habéis visto como son los talibanes, los del Bin Laden, aquellos del Afganistán. Habéis visto al primer ministro como vestía como un rey, poniéndose una túnica verde. El vestido es también hoy muy importante, y una de las cosas que hace todo el mundo es ir a la moda. A una mujer si se le mira como va vestida inmediatamente puedes saber como se encuentra interiormente, ¿entendéis la importancia del vestido?. Sabed que Adán pecó a las tres del Sabath, faltaban tres horas para comenzar el Sabath, tres horas, y es interesante que lo hace a la misma hora, esta coincidencia que dice la tradición con la muerte de Jesucristo a las tres; Y si vais a la Iglesia que está en Jerusalén, en el centro veréis que está la Resurrección y el Calvario, en el Gólgota (habla de la Iglesia del Santo Sepulcro n.d.r), y debajo hay una piedra que dice la tradición era de Adán. Resulta que Adán se encuentra desnudo, y que Dios le da una túnica, y dice que era una túnica de pelo. Dios lo manda fuera del paraíso, sin embargo le concede la posibilidad de no permanecer en las tinieblas, poniéndole una túnica de luz. Esta es una tradición fantástica y comprobada que no aparece solamente en la Escritura. La Biblia contiene un conjunto de tradiciones vivas, una liturgia, cosas muy interesantes y mucho más importantes que la túnica blanca, que parece que se la inventa Jesucristo en el Tabor (porque en el Antiguo testamento ya se habla de ella n.d.r), porque como decía antes, en el mismo momento en que Jesucristo se transfigura con esta vestidura blanca, el sumosacerdote está entrando en el SantaSantorum de la Sinagoga, todos vestidos con grandes túnicas reales, ¡¡y se pone la vestidura blanca!!. Es interesante ver que, después de la creación, Dios no se ocupa de enseñar tecnología, no enseña el uso del fuego, ni como hacer pan ni nada, sino que la única cosa que hace, es enseñar al hombre a vestirse, a la "moda", y este mandamiento del vestir a los que están desnudos, en la tradición hebrea, permanecerá siempre como el primer mandamiento de la misericordia. ¡¡Esto del vestido es muy importante!!. Esta túnica de luz que nos da al principio en el paraíso es muy interesante, porque está unida al perdón. Y este hombre que me ha enviado esto sobre el vestido, me dice que cuando hablé de José en Egipto él ¡no sabía quién era este José!, pero siendo algunos ya antiguos ¡como no sabéis nada de la escritura!. José es un patriarca como Abraham, Isaac, Jacob, y José pertenece a una cuarta generación. Pero es la figura que más hace presente ya en el futuro a Jesucristo, porque también el es vendido por veinte monedas, Jesucristo por treinta, un poco más. Le cogieron la túnica y se la pusieron en la sangre roja. El rojo de la sangre es siempre, o quiere decir que había dado la vida, y la habían manchado con la sangre de un cordero, y presentándosela al padre, le habían dicho que había muerto y que lo habían devorado las hienas. Es ya un preámbulo de que Jesucristo será verdaderamente el cordero, que coge verdaderamente el pecado con su sangre. Este pasar del rojo al blanco es interesantísimo, ¡esto es el perdón!. Por eso el Papa viste de blanco. Mirad como es importante el vestido. En oriente, y también aquí, con esto de las modas el vestido a pasado a ser algo muy importante. Uno puede ver como es la persona según como va vestida. Y el vestido dice verdaderamente quién tiene el poder, quién es el rey y que honores tiene. Estas túnicas significan que por delante está el honor y por detrás lo peor. Jesús lo mismo delante que detrás nos quiere decir que también lo peor (los pecados de la gente n.d.r) se transforma en honor, en la cruz, en una serie de significados simbólicos que son muy importantes, porque la simbología habla, y es algo fantástico...Mirad como es de importante la túnica de Jesucristo, y como se transformará su túnica con la Luz en blanco, y como se dice que los elegidos...nosotros hacemos la Elección finalizando con el Bautismo. También a vosotros desde pequeños, cuando os han bautizado os han puesto una túnica blanca, que significa verdaderamente el futuro, la Transfiguración, la luz, a donde vamos, hijos de la Luz, y es esto lo que significa.