domenica 19 febbraio 2012

La Roccia sulla quale Dio ha fondato il mondo





«La Madonna aiuti me e i miei collaboratori a lavorare instancabilmente per l’unità del Popolo di Dio e per annunciare a tutte le genti il messaggio di salvezza, compiendo umilmente e coraggiosamente il servizio della verità nella carità». Lo ha detto il Papa durante l’Angelus, dopo la messa con i 22 nuovi cardinali, che ha creato nel concistoro di ieri.


«Questa domenica – ha ribadito il Pontefice - è particolarmente festosa qui in Vaticano, a motivo del concistoro avvenuto ieri».  


Benedetto XVI ha poi fatto riferimento alla messa che ha avuto «la gioia di celebrare questa mattina» proprio con i nuovi cardinali, «intorno alla Tomba dell’Apostolo che – ha spiegato - Gesù chiamò ad essere la “pietra” su cui costruire la sua Chiesa».
  

Per questo papa Ratzinger ha chiesto ai fedeli di «pregare per i nuovi cardinali» che «oggi sono ancora più impegnati a collaborare con me nella guida della Chiesa universale e a dare testimonianza al Vangelo fino al sacrificio della propria vita». Per questo indossano la porpora, che è «il colore del sangue e dell’amore». I cardinali, ha spiegato ancora Benedetto XVI, «fanno parte del collegio che più strettamente coadiuva il Papa nel suo ministero di comunicazione e di evangelizzazione; li accogliamo con gioia, ricordando ciò che disse Gesù ai dodici apostoli: «Chi vuol esser il primo tra voi sarà schiavo di tutti... ».
  

Quindi Benedetto XVI ha riassunto per le persone radunate in piazza le considerazioni sulla cattedra di San Pietroche aveva svolto nell’omelia in basilica, «simbolo della speciale missione di Pietro e dei suoi successori di pascere il gregge di Cristo tenendolo unito nella fede e nella carità». La cattedra di Pietro è segno di autorità, ma - ha rimarcato - di quella di Cristo, basata sulla fede e sull’amore». (A. Tornielli)

Riporto di seguito il testo dell’omelia che il Santo Padre ha tenuto questa mattina.



Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
 

Nella solennità della Cattedra di san Pietro Apostolo, abbiamo la gioia di radunarci intorno all’Altare del Signore insieme con i nuovi Cardinali, che ieri ho aggregato al Collegio Cardinalizio. Ad essi, innanzitutto, rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziando il Cardinale Fernando Filoni per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti.
Estendo il mio saluto agli altri Porporati e a tutti Presuli presenti, come pure alle distinte Autorità, ai Signori Ambasciatori, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, venuti da varie parti del mondo per questa lieta circostanza, che riveste uno speciale carattere di universalità.

Nella seconda Lettura poc’anzi proclamata, l’Apostolo Pietro esorta i “presbiteri” della Chiesa ad essere pastori zelanti e premurosi del gregge di Cristo (cfr 1 Pt 5,1-2). Queste parole sono anzitutto rivolte a voi, cari e venerati Fratelli, che già avete molti meriti presso il Popolo di Dio per la vostra generosa e sapiente opera svolta nel Ministero pastorale in impegnative Diocesi, o nella direzione dei Dicasteri della Curia Romana, o nel servizio ecclesiale dello studio e dell’insegnamento. La nuova dignità che vi è stata conferita vuole manifestare l’apprezzamento per il vostro fedele lavoro nella vigna del Signore, rendere onore alle Comunità e alle Nazioni da cui provenite e di cui siete degni rappresentanti nella Chiesa, investirvi di nuove e più importanti responsabilità ecclesiali, ed infine chiedervi un supplemento di disponibilità per Cristo e per l’intera Comunità cristiana. 

Questa disponibilità al servizio del Vangelo è saldamente fondata sulla certezza della fede. Sappiamo infatti che Dio è fedele alle sue promesse ed attendiamo nella speranza la realizzazione di queste parole dell’apostolo Pietro: “E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1 Pt 5,4).

Il brano evangelico odierno presenta Pietro che, mosso da un’ispirazione divina, esprime la propria salda fede in Gesù, il Figlio di Dio ed il Messia promesso. In risposta a questa limpida professione di fede, fatta da Pietro anche a nome degli altri Apostoli, Cristo gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la “pietra”, la “roccia”, il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). 

Tale denominazione di “roccia-pietra” non fa riferimento al carattere della persona, ma va compresa solo a partire da un aspetto più profondo, dal mistero: attraverso l’incarico che Gesù gli conferisce, Simon Pietro diventerà ciò che egli non è attraverso «la carne e il sangue». 

L’esegeta Joachim Jeremias ha mostrato che sullo sfondo è presente il linguaggio simbolico della «roccia santa». Al riguardo può aiutarci un testo rabbinico in cui si afferma: «Il Signore disse: “Come posso creare il mondo, quando sorgeranno questi senza-Dio e mi si rivolteranno contro?”. Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse: “Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo”. Perciò egli chiamò Abramo una roccia». Il profeta Isaia vi fa riferimento quando ricorda al popolo «guardate alla roccia da cui siete stati tagliati… ad Abramo vostro padre» (51,1-2). Abramo, il padre dei credenti, con la sua fede viene visto come la roccia che sostiene la creazione. Simone, che per primo ha confessato Gesù come il Cristo ed è stato il primo testimone della risurrezione, diventa ora, con la sua fede rinnovata, la roccia che si oppone alle forze distruttive del male.

Cari fratelli e sorelle! Questo episodio evangelico che abbiamo ascoltato trova una ulteriore e più eloquente spiegazione in un conosciutissimo elemento artistico che impreziosisce questa Basilica Vaticana: l’altare della Cattedra. 

Quando si percorre la grandiosa navata centrale e, oltrepassato il transetto, si giunge all’abside, ci si trova davanti a un enorme trono di bronzo, che sembra librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro statue di grandi Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. E sopra il trono, circondata da un trionfo di angeli sospesi nell’aria, risplende nella finestra ovale la gloria dello Spirito Santo. Che cosa ci dice questo complesso scultoreo, dovuto al genio del Bernini? Esso rappresenta una visione dell’essenza della Chiesa e, all’interno di essa, del magistero petrino.

La finestra dell’abside apre la Chiesa verso l’esterno, verso l’intera creazione, mentre l’immagine della colomba dello Spirito Santo mostra Dio come la fonte della luce. Ma c’è anche un altro aspetto da evidenziare: la Chiesa stessa è, infatti, come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo. 

La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce. La Chiesa è il luogo dove Dio “arriva” a noi, e dove noi “partiamo” verso di Lui; essa ha il compito di aprire oltre se stesso quel mondo che tende a chiudersi in se stesso e portargli la luce che viene dall’alto, senza la quale diventerebbe inabitabile.

La grande cattedra di bronzo racchiude un seggio ligneo del IX secolo, che fu a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e fu collocato proprio su questo altare monumentale a motivo del suo alto valore simbolico. 

Esso, infatti, esprime la presenza permanente dell’Apostolo nel magistero dei suoi successori. Il seggio di san Pietro, possiamo dire, è il trono della verità, che trae origine dal mandato di Cristo dopo la confessione a Cesarea di Filippo. Il seggio magisteriale rinnova in noi anche la memoria delle parole rivolte dal Signore a Pietro nel Cenacolo: “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

La cattedra di Pietro evoca un altro ricordo: la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani chiama la Chiesa di Roma “quella che presiede nella carità” (Inscr.: PG 5, 801). In effetti, il presiedere nella fede è inscindibilmente legato al presiedere nell’amore. 

Una fede senza amore non sarebbe più un’autentica fede cristiana. Ma le parole di sant’Ignazio hanno anche un altro risvolto, molto più concreto: il termine “carità”, infatti, veniva utilizzato dalla Chiesa delle origini per indicare anche l’Eucaristia. 

L’Eucaristia, infatti, è Sacramentum caritatis Christi, mediante il quale Egli continua ad attirarci tutti a sé, come fece dall’alto della croce (cfr Gv 12,32). Pertanto, “presiedere nella carità” significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze. 

Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo. E l’Eucaristia è forma e misura di questa comunione, e garanzia che essa si mantenga fedele al criterio della tradizione della fede.

La grande Cattedra è sostenuta dai Padri della Chiesa. 

I due maestri dell’Oriente, san Giovanni Crisostomo e sant’Atanasio, insieme con i latini, sant’Ambrogio e sant’Agostino, rappresentano la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera fede dell’unica Chiesa. Questo elemento dell’altare ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità.

Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere. I Padri della Chiesa hanno nella comunità ecclesiale la funzione di garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Essi assicurano un’esegesi affidabile, solida, capace di formare con la cattedra di Pietro un complesso stabile e unitario. Le Sacre Scritture, interpretate autorevolmente dal Magistero alla luce dei Padri, illuminano il cammino della Chiesa nel tempo, assicurandole un fondamento stabile in mezzo ai mutamenti storici.

Dopo aver considerato i diversi elementi dell’altare della Cattedra, rivolgiamo ad esso uno sguardo d’insieme. E vediamo che è attraversato da un duplice movimento: di ascesa e di discesa. E’ la reciprocità tra la fede e l’amore. La Cattedra è posta in grande risalto in questo luogo, poiché qui vi è la tomba dell’apostolo Pietro, ma anch’essa tende verso l’amore di Dio. In effetti, la fede è orientata all’amore. Una fede egoistica sarebbe una fede non vera. Chi crede in Gesù Cristo ed entra nel dinamismo d’amore che nell’Eucaristia trova la sorgente, scopre la vera gioia e diventa a sua volta capace di vivere secondo la logica di questo dono. 

La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso.

Cari fratelli e sorelle, a noi, ad ogni cristiano è affidato il dono di questo amore: un dono da donare, con la testimonianza della nostra vita. Questo è, in particolare, il vostro compito, venerati Fratelli Cardinali: testimoniare la gioia dell’amore di Cristo. Alla Vergine Maria, presente nella Comunità apostolica riunita in preghiera in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14), affidiamo ora il vostro nuovo servizio ecclesiale. Ella, Madre del Verbo Incarnato, protegga il cammino della Chiesa, sostenga con la sua intercessione l’opera dei Pastori ed accolga sotto il suo manto l’intero Collegio cardinalizio. Amen!

* * *


Il commento che segue è di M. Introvigne.

Dopo settimane di veleni giornalistici su veri e presunti contrasti tra vescovi e cardinali, ci si attendeva dal Concistoro di ieri 18 febbraio per la creazione di ventidue nuovi cardinali un forte intervento di Benedetto XVI che richiamasse ai fondamenti dell'autorità nella Chiesa. L'attesa non è andata delusa. In due magistrali interventi - l'allocuzione di ieri per il Concistoro e l'omelia della Messa di questa mattina concelebrata con i nuovi cardinali - Benedetto XVI ha prima mostrato i rischi della mondanizzazione e del carrierismo, quindi indicato nella scrupolosa fedeltà al Papa e al Magistero la stella polare per uscire dalla crisi.


Sabato il Pontefice ha commentato il brano del Vangelo di Marco che mostra come la tentazione del carrierismo sia sempre stata presente nella Chiesa, addirittura fra gli apostoli. Certo, nel Vangelo «Gesù si presenta come servo, offrendosi quale modello da imitare e da seguire». Ma subito da questo modello «si stacca con stridente contrasto la scena dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguono ancora sogni di gloria accanto a Gesù». Essi infatti gli chiedono: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37). «Folgorante»  definisce il Papa la replica di Gesù e «inatteso il suo interrogativo»: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo?» (v. 38). «L’allusione è chiarissima: il calice è quello della passione, che Gesù accetta per attuare la volontà del Padre. Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria».

Dov'è l'errore? «Giacomo e Giovanni con la loro richiesta mostrano di non comprendere la logica di vita che Gesù testimonia, quella logica che - secondo il Maestro - deve caratterizzare il discepolo, nel suo spirito e nelle sue azioni». Né il Vangelo vuole semplicemente denunciare Giacomo e Giovanni come apostoli particolarmente fuorviati. Al contrario, spiega Benedetto XVI,  «la logica errata non abita solo nei due figli di Zebedeo perché, secondo l’evangelista, contagia anche "gli altri dieci" apostoli che "cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni" (v. 41). Si indignano, perché non è facile entrare nella logica del Vangelo e lasciare quella del potere e della gloria». La tradizione patristica ha visto qui le avvisaglie di un problema globale. Il Papa cita san Giovanni Crisostomo (349?-407), il quale «afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfr Commento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622)». E san Cirillo di Alessandria (370-444), il quale aggiunge: «I discepoli erano caduti nella debolezza umana e stavano discutendo l’un l’altro su chi fosse il capo e superiore agli altri … Questo è accaduto e ci è stato raccontato per il nostro vantaggio… Quanto è accaduto ai santi Apostoli può rivelarsi per noi un incentivo all’umiltà» (Commento a Luca, 12, 5, 24: PG 72, 912). 

Gesù ne trae una morale rivolgendosi non soltanto a Giacomo e Giovanni, ma a tutti gli apostoli: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,42-44). Il Pontefice, con accenti che ricordano quelli del viaggio in Germania del 2011, applica la lezione ai successori degli apostoli di oggi, vescovi e cardinali. «Dominio e servizio, egoismo e altruismo, possesso e dono, interesse e gratuità: queste logiche profondamente contrastanti si confrontano in ogni tempo e in ogni luogo». E i rimproveri di Gesù, afferma il Papa, «rappresentano un invito e un richiamo, una consegna e un incoraggiamento specialmente per voi, cari e venerati Fratelli che state per essere annoverati nel Collegio Cardinalizio».

Al termine dell'allocuzione - secondo alcuni commentatori, anche a smentita di voci di possibili dimissioni - il Pontefice ha invitato anche a  pregare per il Papa, «affinché possa sempre offrire al Popolo di Dio la testimonianza della dottrina sicura e reggere con mite fermezza il timone della santa Chiesa». Nell'omelia del 19 febbraio Benedetto XVI ha proposto ai nuovi cardinali un criterio fondamentale per esercitare l'autorità nella Chiesa secondo il modello proposto dal Signore e senza cadere nelle tentazioni che contagiarono gli apostoli: la fedeltà indefettibile e continuamente verificata al Papa e al Magistero.

Il Papa parte da un altro brano molto noto del Vangelo, quello dove Gesù affida a Pietro la missione di «essere la “pietra”, la “roccia”, il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19)».  Non si tratta di un riconoscimento delle doti personali di Pietro. «Tale denominazione di “roccia-pietra” non fa riferimento al carattere della persona, ma va compresa solo a partire da un aspetto più profondo, dal mistero: attraverso l’incarico che Gesù gli conferisce, Simon Pietro diventerà ciò che egli non è attraverso "la carne e il sangue"». Il Pontefice cita gli studi del biblista Joachim  Jeremias (1900-1979) secondo cui la nozione di  «roccia santa» s'inserisce in una lunga tradizione ebraica. Da Jeremias, il Papa riprende la citazione di un testo rabbinico: «Il Signore disse: “Come posso creare il mondo, quando sorgeranno questi senza-Dio e mi si rivolteranno contro?”. Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse: “Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo”. Perciò egli chiamò Abramo una roccia». E anche Isaia, nota il Pontefice, riprende per Abramo  l'immagine della roccia: «guardate alla roccia da cui siete stati tagliati… ad Abramo vostro padre» (51,1-2). E se «Abramo, il padre dei credenti, con la sua fede viene visto come la roccia che sostiene la creazione, Simone, che per primo ha confessato Gesù come il Cristo ed è stato il primo testimone della risurrezione, diventa ora, con la sua fede rinnovata, la roccia che si oppone alle forze distruttive del male» nella storia.

Con la sua nota sensibilità per l'arte, Benedetto XVI invita i cardinali a trovare riscontro del brano evangelico in un «conosciutissimo elemento artistico che impreziosisce questa Basilica Vaticana: l’altare della Cattedra. Quando si percorre la grandiosa navata centrale e, oltrepassato il transetto, si giunge all’abside, ci si trova davanti a un enorme trono di bronzo, che sembra librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro statue di grandi Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. E sopra il trono, circondata da un trionfo di angeli sospesi nell’aria, risplende nella finestra ovale la gloria dello Spirito Santo». 

Il Papa rende omaggio «al genio del Bernini» (Gian Lorenzo, 1598-1680), che ha saputo cogliere e proporci  «una visione dell’essenza della Chiesa e, all’interno di essa, del magistero petrino».
Benedetto XVI continua poi nella sua ricognizione, che non è solo artistica. «La grande cattedra di bronzo racchiude un seggio ligneo del IX secolo, che fu a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e fu collocato proprio su questo altare monumentale a motivo del suo alto valore simbolico. Esso, infatti, esprime la presenza permanente dell’Apostolo nel magistero dei suoi successori. Il seggio di san Pietro, possiamo dire, è il trono della verità». A Pietro, al Papa, il Signore ha affidato il compito di «attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo. E l’Eucaristia è forma e misura di questa comunione, e garanzia che essa si mantenga fedele al criterio della tradizione della fede».

Come il Papa ha accennato, la Cattedra del Bernini è sostenuta da quattro Padri della Chiesa: due orientali,  san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio (ca. 295-373), e due occidentali, sant’Ambrogio (339 o 340-397) e sant’Agostino (354-430). Insieme, i quatto Padri «rappresentano la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera fede nella santa e unica Chiesa». L'altare del Bernini, così, «ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere».

Torna il tema dell'Anno della Fede. La fede non è un'emozione, un sentimento, qualche cosa che ognuno - fosse pure ogni vescovo - reinventa in funzione delle esigenze storiche. Ha un contenuto preciso. E «i Padri della Chiesa hanno nella comunità ecclesiale la funzione di garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Essi assicurano un’esegesi affidabile, solida, capace di formare con la Cattedra di Pietro un complesso stabile e unitario. Le Sacre Scritture, interpretate autorevolmente dal Magistero alla luce dei Padri, illuminano il cammino della Chiesa nel tempo, assicurandole un fondamento stabile in mezzo ai mutamenti storici». 

«Dopo aver considerato i diversi elementi dell’altare della Cattedra» Benedetto XVI  non rinuncia a proporne anche una lettura d'insieme, con questo mostrando in modo molto efficace come si possa evangelizzare attraverso l'arte, un tema caro a «La Bussola Quotidiana»: e certo anche i cardinali possono essere evangelizzati, dal Papa. Considerando l'altare nel suo complesso, spiega il Pontefice, «vediamo che è attraversato da un duplice movimento: di ascesa e di discesa». Il simbolo rimanda alla «reciprocità tra la fede e l’amore. La Cattedra è posta in grande risalto in questo luogo, poiché qui vi è la tomba dell’apostolo Pietro, ma anch’essa tende verso l’amore di Dio. In effetti, la fede è orientata all’amore. Una fede egoistica sarebbe una fede non vera».  «Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso».

Guardando in alto sopra l'altare del Bernini, il Papa nota che «la finestra dell’abside apre la Chiesa verso l’esterno, verso l’intera creazione, mentre l’immagine della colomba dello Spirito Santo mostra Dio come la fonte della luce». «A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio». 

La  Chiesa, spiega Benedetto XVI, è «come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo. La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce. La Chiesa è il luogo dove Dio “arriva” a noi, e dove noi “partiamo” verso di Lui; essa ha il compito di aprire oltre se stesso quel mondo che tende a chiudersi in se stesso e portargli la luce che viene dall’alto, senza la quale diventerebbe inabitabile». 

Se qualcuno nella Chiesa non apre a Dio ma si chiude in se stesso e nelle sue beghe, tradisce la sua missione.