mercoledì 22 febbraio 2012

Buon ritorno a casa!

Di seguito il Vangelo di oggi, 22 febbraio, Mercoledi delle Ceneri, con un commento
e qualche testo per la meditazione.




 Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo:
uscire dall’illusione dell’autosufficienza
per scoprire e accettare la propria indigenza,
esigenza del suo perdono.

Benedetto XVI




Mt 6,1-6.16-18


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno gia ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà ». 


IL COMMENTO


Silenzio. E' Quaresima. E' tempo di chiudere la porta del cuore e cercare nostro Padre. Scendere le scale del cuore e scoprire di vivere come orfani che fanno tutto per essere notati e amati, ammirati e lodati; anche quando ci nascondiamo scappando dagli altri, in fondo è perchè la nostra vita dipende da chi ci è intorno, dal loro affetto. Pericolosissima situazione di chi è vuoto dentro, nel cuore come nella mente, e vagabonda mendicando qualsiasi cosa pur di riempire la voragine che stordisce e rapisce gioia e pace; pericolosa per i giovani, che avvelenano con perversioni di ogni tipo occhi, mente e carne ancora verdi e perciò vulnerabilissimi, sporcando l'immagine dell'amore, della sessualità, delle relazioni tra uomo e donna, tra gli amici. Pericolosa per gli adulti, che possono bruciare le Grazie ricevute barattando la primogenitura dei figli di Dio con un po' di consolazione: lenticchie fumanti di prestigio, considerazione, ossequi e falsità senza limite e fine, che incensano il tempo sufficiente ad arraffarci la poca vita che ci rimane per abbandonarci più soli e disperati di prima. Pericolosa per gli anziani, che possono cadere nella trappola dell'insoddisfazione, della solitudine, del sentirsi abbandonati da tutti, lasciandosi andare così alla mormorazione, al giudizio per figli e parenti, e trasformarsi in gocce di acido che sfregiano tutto ciò a cui si avvicinano. Pericolosa per i sacerdoti e i religiosi, che si possono trasformare in esecutori freddi di culto e dispensatori routinari di sacramenti, che usano e pervertono le cose sante per saziare la propria carne ridotta a spugna secca. 


La vita di chiunque spende il proprio tempo al di fuori del segreto, perchè impaurito e traumatizzato dal buio, dal vuoto e dal fetore che albergano là dentro. La vita di chi non ha un luogo segreto dove tornare, e mangiare e riposare, un luogo certo di rifugio dove non v'è delusione; la vita di chi ha perduto l'intimità segreta, la parte nascosta e non barattabile dell'esistenza, il cuore dove si è figli di un Padre, con il suo amore, con il senso autentico e fondante per la propria vita. La vita di chi vive in un permanente reality, la vita sempre in direttasurfando sulla superficie dei giorni, uno spot di se stessi sempre in onda, cercando senza posa acquirenti per il proprio prodotto. L'anima barattata su Fecebook, e ogni esperienza sfiorata, amicizia approcciata, amore appena sognato, ogni istante vissuto è subito twittato, cinguettato al mondo intero perchè si accorgano di noi, che esistiamo, che possono amrci, come e quando vogliono, meglio presto che tardi... La vita di chi non ha segreti perchè tutto è tragicamente pubblico, perchè angosciosamente grigio, vuoto, senza un valore in sè, che non dipenda dal grado di visibilità, dallo share della serata, in discoteca come al condominio, in casa come a scuola e al lavoro: la vita che pare ancorata solo sulla quantità di cliccate sul link del mi piace ai post che esibiamo e per i quali forse ci muoviamo; la vita che deve attingere dall'esterno il peso che impedisca al tutto di volare via. 


E le lacrime, i sentimenti, come le preghiere, le elemosine e i digiuni, amore che scorre sulle guance come quando si fa lo struscio al paese la domenica pomeriggio: sentimenti ostentati, mai segreti: "Piangono tutti, fanno gran spreco di occhi rossi, bagnati, gonfi, di smorfie di dolore, col labbro inferiore che sporge in avanti, come i bambini quando vengono messi in punizione. Le lacrime sono i nuovi coriandoli, sparsi in giro per mostrare agli altri qualcosa di nuovo, inedito, mai visto prima: l’anima. Come a uno show del pomeriggio, in cui più si è se stessi e più bisogna farsi colare il rimmel... Piangono tutti, egotici, per sé. Per la grandezza delle loro gesta, per l’autocommozione che si provocano. Piangono perché sono grandi artisti e il mondo dovrebbe celebrarli di più, anche. Piangono perché è così forte l’amore per se stessi da farli piangere" (Annalena Benini, Lezioni di pianto, Il Foglio del 21 febbraio 2011).


Vita prostituita, perchè senza amore autentico. Vita ipocrita, perchè illusoria, mascherata, come il carnevale che è appena scivolato via. Per questo oggi inizia la Quaresima, a raccogliere la carne sgonfiata dei mascherati, i fallimenti di chi ha rincorso affetto e felicità indossando la vita inesistente di ideali drogati. Arriva la Quaresima come un seno di misericordia, amore gratuito e senza condizione preparato dal Padre per i figli perduti e affamati di vita e di amore autentici. La Quaresima è una buona notizia: c'è speranza. C'è la conversione, la Teshuvà direbbe un pio israelita, il ritorno, smettere la maschera per indossare il sacco dell'umile riconoscimento dei propri peccati.


La conversione è il figlio prodigo, la fitta che gli percuote il petto, la percezione chiara d'aver buttato la vita e di essere ormai un relitto in secca; l'esperienza dura della solitudine - anticipo dell'inferno che è assenza eterna di Dio - il nulla nel cuore, nessun viso, nessuna parola. Tutto perduto, scivolato via. Ma, per una Grazia misteriosa - la stessa Presenza che non l'ha abbandonato mai, rispettosa della sua libertà e nascosta al fondo della sua anima - al termine della discesa nell'abisso,rientra in se stesso. Rientra nel segreto, nella stanza più intima, e incontra lo sguardo dell'unico che vede nel segreto della sua anima, che non ha mai smesso di considerarlo suo figlio, nonostante quello che abbia fatto, sia quel che sia. Il figlio ritrova il segreto, la verità, l'autentico che si nasconde dietro l'apparenza, il luogo, l'unico, dove è fondata e da dove scaturisce e prende vita la sua esistenza. Il figlio rientra in sé e intuisce, e comprende quel che ha smarrito: suo Padre. "Mi alzerò e tornerò da mio Padre". La Quaresima è rientrare nel proprio cuore e scoprire, dentro la solitudine di un segreto fecondo, lo sguardo di misericordia del Padre, un amore senza limiti, neanche quelli dettati dal peccato più atroce.


Il digiuno, l'elemosina, la preghiera, sono allora innanzi tutto segni della nostra realtà che il mondo e il demonio ci occultano, il segno di una assenza e quindi, di un bisogno insopprimibile. In noi è sparita la memoria del Padre: di Lui, del suo amore abbiamo assoluto bisogno, per spegnere le luci della ribalta su cui gettiamo la vita e vivere, nel segreto, nella verità, l'amore autentico che si dona, che perdona, che accoglie, che scioglie le catene inique che schiavizzano e legano gli altri... Inizia la Quaresima e ci prende lì dove siamo per condurci in un luogo segreto dove conoscere il segreto del Padre. Come il figlio prodigo, ci ritroviamo con una vita in cenere, polvere senza radici. Il segno che oggi riceveremo ci aiuta a rientrare in noi stessi, a fare verità e riconoscere il destino che ci attende. Solo un abbraccio di misericordia può trasformare la polvere in oro, solo l'amore di nostro Padre può rendere immortale ciò che è mortale.


Quaresima è ritorno a casa, da nostro Padre. E' alla finestra e freme nell'attesa di correrci intorno. La Sua ricompensa è il Suo abbraccio di misericordia, il Suo amore che non si esaurisce. "Dio si è commosso per il nostro niente, per il nostro tradimento, per la nostra povertà rozza, dimentica, per la nostra meschinità. Ho avuto pietà del tuo niente, ho avuto pietà del tuo odio a me. Mi sono commosso perché mi odi, come un padre e una madre che piangono di commozione per l'odio del figlio: che il figlio cambi, per il suo Destino. E' una compassione, una pietà, una passione!" (Luigi Giussani, Si può vivere così. La carità, pp.321 ss). La compassione è di Dio, ma il cammino è cosa nostra, senza di esso non c'è amore vero. Il Figlio lo ha aperto per noi, tornando a casa, risalendo dagli inferi prima di noi. Le Sue orme ci conducono in questa Quaresima, dalla morte alla vita, dalla solitudine all'intimità con nostro Padre, sino alla notte delle notti, la notte di Pasqua, la notte dei figli nel Figlio.


Buona Quaresima dunque, buon ritorno a casa.

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San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa
Quarta Omelia sulla Quaresima, n° 1 et 2


« Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza » (2 Cor 6, 2)


« Ecco ora il giorno della salvezza ! » Certo, non c'è tempo che non sia pieno dei doni divini. In ogni tempo, la grazia di Dio ci apre l'accesso alla sua misericordia. Tuttavia, ecco ora il momento in cui occorre che tutti i cuori siano stimolati con un ardore più grande, nel progresso spirituale, con maggiore fiducia. Infatti il ritorno del giorno in cui siamo stati riscattati ci invita ad ogni opera spirituale. Così celebreremo, il corpo e l'anima purificati, il mistero che prevale su tutti gli altri : il sacramento della Pasqua del Signore.
Tali misteri esigerebbero uno sforzo spirituale continuo, in modo tale che rimanessimo sempre, sotto lo sguardo di Dio, così come dovremmo essere trovati nella festa di Pasqua. Ma questa virtù si trova soltanto in pochi uomini ; per noi, in mezzo alle attività di questa vita, a causa della debolezza della carne, lo zelo si infiacchisce... Per rendere la purezza alle nostre anime, il Signore ha preparato il rimedio di un allenamento di quaranta giorni, nei quali le colpe commesse durante gli altri tempi possano essere riscattate dalle opere buone, e consumate dai santi digiuni. Prendiamoci cura, quindi, di obbedire al comandamento dell'Apostolo : « Purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello Spirito » (2 Cor 7, 1).
Tuttavia, il nostro modo di vivere si accordi con la nostra astinenza. L'essenziale del digiuno non è la sola astensione dal cibo ; non c'è nessun profitto nel sottrare il cibo al corpo se il cuore non si distoglie dall'ingiustizia, se la lingua non si astiene dalla calunnia... Questo è il tempo della mitezza, della pazienza, della pace... Ora, che l'anima forte si abitui a perdonare le ingiustizie, a non contare gli affronti, a dimenticare le ingiurie... Tuttavia, che il contegno dello spirito non sia triste ; che sia santo. Che non si senta il mormorio dei gemiti ; che ci sia una vera gioia.




San Massimo di Torino ( ? – circa 420), vescovo
Discorsi, 28, PL 57, 587s


Quaranta giorni per condurci verso il battesimo nella morte e nella risurrezione di Cristo


« Al tempo della misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della salvezza ti ho aiutato » (Is 49,8). L’apostolo Paolo prosegue con queste parole : « Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza ». A mia volta, vi prendo a testimoni, ecco ora i giorni della redenzione, ecco, in un certo senso, il momento della cura spirituale; possiamo curare tutte le macchie dei nostri vizi, tutte le ferite dei nostri peccati, se preghiamo costantemente il medico delle nostre anime, se… non trascuriamo nessuna delle sue prescrizioni...


Il medico è il nostro Signore Gesù, il quale ha detto: “Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt 32,39). Il Signore prima dà la morte, poi ridà la vita. Mediante il battesimo, distrugge in noi adulteri, omicidi, crimini e furti; poi ci fa rivivere, quali uomini nuovi, nell’immortalità eterna. Moriamo ai nostri peccati, ovviamente mediante il battesimo, riprendiamo vita nello Spirito di vita... Consegnamo noi stessi al nostro medico con pazienza per recuperare la salute. Quanto avrà scoperto in noi di indegno, di macchiato per il peccato, di consumato dalle ulcere, egli lo taglierà, lo poterà, lo toglierà per lasciare sussistere in noi, una volta eliminate tutte le ferite del demonio, soltanto quello che appartiene a Dio.


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Omelia di Benedetto XVI nel Mercoledì delle Ceneri

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 febbraio 2008.- Pubblico di seguito il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI questo mercoledì, presiedendo la Celebrazione Eucaristica con la benedizione e l'imposizione delle Ceneri nella Basilica romana di Santa Sabina.
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Cari fratelli e sorelle!
Se l'Avvento è per eccellenza il tempo che ci invita a sperare nel Dio-che-viene, la Quaresima ci rinnova nella speranza in Colui-che-ci-ha-fatti-passare-dalla-morte-alla-vita. Entrambi sono tempi di purificazione - lo dice anche il colore liturgico che hanno in comune - ma in modo speciale la Quaresima, tutta orientata al mistero della Redenzione, è definita "cammino di vera conversione" (Orazione colletta). All'inizio di quest'itinerario penitenziale, vorrei soffermarmi brevemente a riflettere sulla preghiera e sulla sofferenza quali aspetti qualificanti del tempo liturgico quaresimale, mentre alla pratica dell'elemosina ho dedicato il Messaggio per la Quaresima, pubblicato la scorsa settimana. Nell'Enciclica Spe salvi, ho indicato la preghiera e il soffrire, insieme all'agire e al giudizio, come "luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza". Potremmo quindi affermare che il periodo quaresimale, proprio perché invita alla preghiera, alla penitenza e al digiuno, costituisce una occasione provvidenziale per rendere più viva e salda la nostra speranza.
La preghiera alimenta la speranza, perché nulla più del pregare con fede esprime la realtà di Dio nella nostra vita. Anche nella solitudine della prova più dura, niente e nessuno possono impedirmi di rivolgermi al Padre, "nel segreto" del mio cuore, dove Lui solo "vede", come dice Gesù nel Vangelo (cfr Mt 6,4.6.18). Vengono in mente due momenti dell'esistenza terrena di Gesù che si collocano uno all'inizio e l'altro quasi al termine della sua vita pubblica: i quaranta giorni nel deserto, sui quali è ricalcato il tempo quaresimale, e l'agonia nel Getsemani - entrambi sono essenzialmente momenti di preghiera. Preghiera con il Padre solitaria a tu per tu nel deserto, preghiera colma di "angoscia mortale" nell'Orto degli Ulivi. Ma sia nell'una che nell'altra circostanza, è pregando che Cristo smaschera gli inganni del tentatore e lo sconfigge. La preghiera si dimostra così la prima e principale "arma" per "affrontare vittoriosamente il combattimento contro lo spirito del male" (Orazione colletta).
La preghiera di Cristo raggiunge il suo culmine sulla croce, esprimendosi in quelle ultime parole che gli evangelisti hanno raccolto. Laddove sembra lanciare un grido di disperazione: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46; Mc 15,34; cfr Sal 21,1), in realtà Cristo fa sua l'invocazione di chi, assediato senza scampo dai nemici, non ha altri che Dio a cui votarsi e, al di là di ogni umana possibilità, ne sperimenta la grazia e la salvezza. Con queste parole del Salmo, prima di un uomo nella sofferenza, poi del Popolo di Dio nelle sue sofferenze per l'apparente assenza di Dio, Gesù ha fatto suo questo grido dell'umanità che soffre dell'apparente assenza di Dio e porta questo grido al cuore del Padre. Così, pregando in questa ultima solitudine insieme con tutta l'umanità, Egli ci apre il cuore di Dio. Non vi è dunque contraddizione tra queste parole del Salmo 21 e le parole piene di fiducia filiale: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc 23,46; cfr Sal 30,6). Anche queste sono prese da un Salmo, il 30, implorazione drammatica di una persona che, abbandonata da tutti, si affida sicura a Dio. La preghiera di supplica colma di speranza è, pertanto, il leit motiv della Quaresima, e ci fa sperimentare Dio quale unica àncora di salvezza. Pur quando è collettiva, la preghiera del popolo di Dio è voce di un cuore solo e di un'anima sola, è dialogo "a tu per tu", come la commovente implorazione della regina Ester quando il suo popolo sta per essere sterminato: "Mio Signore, nostro re, tu sei l'unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta" (Est 4,17l). Di fronte a un "grande pericolo" ci vuole una più grande speranza, e questa è solo la speranza che può contare su Dio.
La preghiera è un crogiuolo in cui le nostre attese e aspirazioni vengono esposte alla luce della Parola di Dio, vengono immerse nel dialogo con Colui che è la verità, ed escono liberate da menzogne nascoste e compromessi con diverse forme di egoismo (cfr Spe salvi, 33). Senza la dimensione della preghiera, l'io umano finisce per chiudersi in se stesso, e la coscienza, che dovrebbe essere eco della voce di Dio, rischia di ridursi a specchio dell'io, così che il colloquio interiore diventa un monologo dando adito a mille autogiustificazioni. La preghiera, perciò, è garanzia di apertura agli altri: chi si fa libero per Dio e le sue esigenze, si apre contemporaneamente all'altro, al fratello che bussa alla porta del suo cuore e chiede ascolto, attenzione, perdono, talvolta correzione ma sempre nella carità fraterna. La vera preghiera non è mai egocentrica, ma sempre centrata sull'altro. Come tale essa esercita l'orante all'"estasi" della carità, alla capacità di uscire da sé per farsi prossimo all'altro nel servizio umile e disinteressato. La vera preghiera è il motore del mondo, perché lo tiene aperto a Dio. Per questo senza preghiera non c'è speranza, ma solo illusione. Non è infatti la presenza di Dio ad alienare l'uomo, ma la sua assenza: senza il vero Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, le speranze diventano illusioni che inducono ad evadere dalla realtà. Parlare con Dio, rimanere alla sua presenza, lasciarsi illuminare e purificare dalla sua Parola, ci introduce invece nel cuore della realtà, nell'intimo Motore del divenire cosmico, ci introduce per così dire nel cuore pulsante dell'universo.
In armonica connessione con la preghiera, anche il digiuno e l'elemosina possono essere considerati luoghi di apprendimento ed esercizio della speranza cristiana. I Padri e gli scrittori antichi amano sottolineare che queste tre dimensioni della vita evangelica sono inseparabili, si fecondano reciprocamente e portano tanto maggior frutto quanto più si corroborano a vicenda. Grazie all'azione congiunta della preghiera, del digiuno e dell'elemosina, la Quaresima nel suo insieme forma i cristiani ad essere uomini e donne di speranza, sull'esempio dei santi.
Vorrei ora soffermarmi brevemente anche sulla sofferenza poiché, come ho scritto nell'Enciclica Spe salvi "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (Spe salvi, 38). La Pasqua, verso cui la Quaresima è protesa, è il mistero che dà senso alla sofferenza umana, a partire dalla sovrabbondanza della com-passione di Dio, realizzata in Gesù Cristo. Il cammino quaresimale, pertanto, essendo tutto irradiato dalla luce pasquale, ci fa rivivere quanto avvenne nel cuore divino-umano di Cristo mentre saliva a Gerusalemme per l'ultima volta, per offrire se stesso in espiazione (cfr Is 53,10). La sofferenza e la morte sono calate come tenebre via via che Egli si avvicinava alla croce, ma viva si è fatta anche la fiamma dell'amore. La sofferenza di Cristo è in effetti tutta permeata dalla luce dell'amore (cfr Spe salvi, 38): l'amore del Padre che permette al Figlio di andare incontro con fiducia al suo ultimo "battesimo", come Lui stesso definisce il culmine della sua missione (cfr Lc 12,50). Quel battesimo di dolore e d'amore, Gesù lo ha ricevuto per noi, per tutta l'umanità. Ha sofferto per la verità e la giustizia, portando nella storia degli uomini il vangelo della sofferenza, che è l'altra faccia del vangelo dell'amore. Dio non può patire, ma può e vuole com-patire. Dalla passione di Cristo può entrare in ogni sofferenza umana la con-solatio, "la consolazione dell'amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza" (Spe salvi, 39).
Come per la preghiera, così per la sofferenza la storia della Chiesa è ricchissima di testimoni che si sono spesi per gli altri senza risparmio, a costo di duri patimenti. Più è grande la speranza che ci anima, tanto maggiore è anche in noi la capacità di soffrire per amore della verità e del bene, offrendo con gioia le piccole e grandi fatiche di ogni giorno e inserendole nel grande com-patire di Cristo (cfr ivi, 40). Ci aiuti in questo cammino di perfezione evangelica Maria, che, insieme con quello del Figlio, ebbe il suo Cuore immacolato trafitto dalla spada del dolore. Proprio in questi giorni, ricordando il 150° anniversario delle apparizioni della Vergine a Lourdes, siamo condotti a meditare sul mistero della condivisione di Maria con i dolori dell'umanità; al tempo stesso siamo incoraggiati ad attingere consolazione dal "tesoro di compassione" (ibid.) della Chiesa, a cui Ella ha contribuito più di ogni altra creatura. Iniziamo pertanto la Quaresima in spirituale unione con Maria, che "ha avanzato nel cammino della fede" dietro il suo Figlio (cfr Lumen gentium, 58) e sempre precede i discepoli nell'itinerario verso la luce pasquale. Amen!

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Benedetto XVI. Omelia per il Mercoledì delle ceneri (2010)

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle
!

Con questa commovente invocazione, tratta dal Libro della Sapienza (cfr 11,23-26), la liturgia introduce la celebrazione eucaristica del Mercoledì delle Ceneri. Sono parole che, in qualche modo, aprono l’intero itinerario quaresimale, ponendo a suo fondamento l’onnipotenza d’amore di Dio, la sua assoluta signoria su ogni creatura, che si traduce in indulgenza infinita, animata da costante e universale volontà di vita. In effetti, perdonare qualcuno equivale a dirgli: non voglio che tu muoia, ma che tu viva; voglio sempre e soltanto il tuo bene.
Questa assoluta certezza ha sostenuto Gesù durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto della Giudea, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni nel Giordano. Quel lungo tempo di silenzio e di digiuno fu per Lui un abbandonarsi completamente al Padre e al suo disegno d’amore; fu esso stesso un “battesimo”, cioè un’“immersione” nella sua volontà, e in questo senso un anticipo della Passione e della Croce. Inoltrarsi nel deserto e rimanervi a lungo, da solo, significava esporsi volontariamente agli assalti del nemico, il tentatore che ha fatto cadere Adamo e per la cui invidia la morte è entrata nel mondo (cfr Sap 2,24); significava ingaggiare con lui la battaglia in campo aperto, sfidarlo senza altre armi che la fiducia sconfinata nell’amore onnipotente del Padre. Mi basta il tuo amore, mi cibo della tua volontà (cfr Gv 4,34): questa convinzione abitava la mente e il cuore di Gesù durante quella sua “quaresima”.

Non fu un atto di orgoglio, un’impresa titanica, ma una scelta di umiltà, coerente con l’Incarnazione ed il Battesimo nel Giordano, nella stessa linea di obbedienza all’amore misericordioso del Padre, che ha “tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16).

Tutto questo il Signore Gesù lo ha fatto per noi. Lo ha fatto per salvarci, e al tempo stesso per mostrarci la via per seguirlo. La salvezza, infatti, è dono, è grazia di Dio, ma per avere effetto nella mia esistenza richiede il mio assenso, un’accoglienza dimostrata nei fatti, cioè nella volontà di vivere come Gesù, di camminare dietro a Lui. Seguire Gesù nel deserto quaresimale è dunque condizione necessaria per partecipare alla sua Pasqua, al suo “esodo”. 

Adamo fu cacciato dal Paradiso terrestre, simbolo della comunione con Dio; ora, per ritornare a questa comunione e dunque alla vera vita la vita eterna, bisogna attraversare il deserto, la prova della fede.

Non da soli, ma con Gesù! Lui – come sempre – ci ha preceduto e ha già vinto il combattimento contro lo spirito del male. Ecco il senso della Quaresima, tempo liturgico che ogni anno ci invita a rinnovare la scelta di seguire Cristo sulla via dell’umiltà per partecipare alla sua vittoria sul peccato e sulla morte.

In questa prospettiva si comprende anche il segno penitenziale delle Ceneri, che vengono imposte sul capo di quanti iniziano con buona volontà l’itinerario quaresimale.

E’ essenzialmente un gesto di umiltà, che significa: mi riconosco per quello che sono, una creatura fragile, fatta di terra e destinata alla terra, ma anche fatta ad immagine di Dio e destinata a Lui. Polvere, sì, ma amata, plasmata dal suo amore, animata dal suo soffio vitale, capace di riconoscere la sua voce e di rispondergli; libera e, per questo, capace anche di disobbedirgli, cedendo alla tentazione dell’orgoglio e dell’autosufficienza. 

Ecco il peccato, malattia mortale entrata ben presto ad inquinare la terra benedetta che è l’essere umano. Creato ad immagine del Santo e del Giusto, l’uomo ha perduto la propria innocenza ed ora può ritornare ad essere giusto solo grazie alla giustizia di Dio, la giustizia dell’amore che – come scrive san Paolo – “si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” (Rm 3,22). Da queste parole dell’Apostolo ho tratto lo spunto per il mio Messaggio, rivolto a tutti i fedeli in occasione di questa Quaresima: una riflessione sul tema della giustizia alla luce delle Sacre Scritture e del loro compimento in Cristo.
Anche nelle letture bibliche del Mercoledì delle Ceneri è ben presente il tema della giustizia. Innanzitutto, la pagina del profeta Gioele e il Salmo responsoriale – il Miserere – formano un dittico penitenziale, che mette in risalto come all’origine di ogni ingiustizia materiale e sociale vi sia quella che la Bibbia chiama “iniquità”, cioè il peccato, che consiste fondamentalmente in una disobbedienza a Dio, vale a dire una mancanza d’amore. “Sì – confessa il Salmista – le mie iniquità io le riconosco, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 50/51,5-6). Il primo atto di giustizia è dunque riconoscere la propria iniquità, e riconoscere che questa è radicata nel “cuore”, nel centro stesso della persona umana.

I “digiuni”, i “pianti”, i “lamenti” (cfr Gl 2,12) ed ogni espressione penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente pentiti. Anche il Vangelo, tratto dal “discorso della montagna”, insiste sull’esigenza di praticare la propria “giustizia” – elemosina, preghiera, digiuno – non davanti agli uomini, ma solo agli occhi di Dio, che “vede nel segreto” (cfr Mt 6,1-6.16-18).

La vera “ricompensa” non è l’ammirazione degli altri, ma l’amicizia con Dio e la grazia che ne deriva, una grazia che dona pace e forza di compiere il bene, di amare anche chi non lo merita, di perdonare chi ci ha offeso.


La seconda lettura, l’appello di Paolo a lasciarsi riconciliare con Dio (cfr 2 Cor 5,20), contiene uno dei celebri paradossi paolini, che riconduce tutta la riflessione sulla giustizia al mistero di Cristo. Scrive San Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato – cioè il suo Figlio fatto uomo –, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cor 5,21). Nel cuore di Cristo, cioè nel centro della sua Persona divino-umana, si è giocato in termini decisivi e definitivi tutto il dramma della libertà. Dio ha portato alle estreme conseguenze il proprio disegno di salvezza, rimanendo fedele al suo amore anche a costo di consegnare il Figlio unigenito alla morte, e alla morte di croce. Come ho scritto nel Messaggio quaresimale, “qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana … Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia «più grande», che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10)”.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima allarga il nostro orizzonte, ci orienta verso la vita eterna. In questa terra siamo in pellegrinaggio, non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura dice la lettera agli ebrei. La Quaresima fa capire la relatività dei beni di questa terra e così ci rende capaci per le rinunce necessarie, liberi per fare il bene. Apriamo la terra per la luce del cielo, per la presenza di Dio in mezzo a noi. Amen

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Ricevo e ripropongo questa intensa omelia per l'inizio della Quaresima offerta dal Card. Biffi ai fedeli di Bologna il mercoledì delle Ceneri del 1986:

OMELIA NELLA MESSA DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI (di S.E. Card. Giacomo Biffi)

Nell'orazione conclusiva del rito di questa sera noi chiederemo al Signore che il cammino quaresimale, oggi iniziato, riesca «efficace per la guarigione del nostro spirito».

«Per la guarigione»: noi siamo un po' tutti malati, e abbiamo bisogno di cure.

L'uomo moderno è afflitto da una cattiva salute, e, anche se non lo sa, aspira a incontrare un abile clinico capace di risanarlo. Questo tempo di quaresima ci è offerto appunto come una grande e necessaria medicina, come l'occasione favorevole per rimetterci in sesto, come l'incontro ravvicinato con Cristo, il medico divino che si è chinato sulle nostre ferite ed è sempre pronto ad avere compassione delle nostre infermità.

L'elenco dei nostri mali costituirebbe un voluminoso trattato di patologia spirituale. Ci accontenteremo di citarne qualcuno, indicandone insieme i rimedi che la Chiesa vuol suggerirci in questo tempo di grazia.
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L'uomo di oggi appare prima di tutto debilitato nella sua sanità mentale.

Si ragiona poco e si ragiona male. L'umanità in molte circostanze sembra affetta da schizofrenìa: cerca il proprio bene, e di fatto corre verso il proprio male; esalta l'uomo a parole, e lo avvilisce nei fatti: lo esalta fin quasi a difenderlo dall'amore del suo Creatore e a sottrarlo all'influenza di Dio, che pur vuol solo il suo bene; e lo avvilisce, lasciandolo in balìa dell'egoismo umano, che invece arriva a manipolare e a uccidere. Moltiplica i mezzi che in se stessi non dànno motivo e significato all'esistere e all'agire, e trascura di guardare ai fini e ai traguardi di tutto il suo agitarsi.

Proprio questa assenza di razionalità rende spesso così desolante la lettura dei giornali e l'ascolto delle dichiarazioni dei nostri contemporanei, anche di quelli di più grande fama.

Del resto, ciascuno di noi, se è sincero, deve riconoscere di essere troppe volte insipiente nei suoi giudizi e nel suo comportamento.

Quando ci attacchiamo alle cose che passano e trascuriamo l'eterno; quando inseguiamo la vanità e l'esteriorità, e non diamo spazio alla vita dello spirito; quando decidiamo una condotta che ci toglie la pace e a poco a poco ci fa perdere il senso dei veri valori, noi, prima ancora che contro la religione, pecchiamo contro la ragione e il buon senso.

Ed ecco che la Chiesa ci propone con la quaresima una cura di ragionevolezza, praticata attraverso un contatto più assiduo e prolungato con la verità, così come ci è offerta dalla parola di Dio.

* * *
In queste settimane dobbiamo diventare tutti un po' più ragionevoli, cioè più seri e pensosi.

Dobbiamo riproporci, per esempio, le semplici e fondamentali domande, che troppo spesso nella nostra esistenza quotidiana sono soffocate dalle mille questioni complicate e inutili che ci interessano tanto, magari anche dalle questioni di modalità religiosa e di attualità ecclesiastica. O uomo - ci dice oggi la divina Sapienza - pensa un poco a te stesso: alla tua origine, al tuo destino, al tuo errore, alla tua conversione.

Qual è la nostra origine? La risposta della verità sanamente ci umilia e al tempo stesso ci rasserena. Siamo stati fatti dal niente, perciò non abbiamo niente che ci spetti come un diritto, e il nostro esistere tende di sua natura ad annullarsi, se non è salvato dall'alto da una mano pietosa. Siamo stati creati da Dio; da un Dio che è artefice nobile e grande, e perciò grande è la nostra dignità e la nostra nativa bellezza; da un Dio che non abbandona mai l'opera delle sue mani, e dunque non dobbiamo avere nessun timore, perché siamo tenuti saldamente nell'essere dal filo tenace di un amore onnipotente e fedele.

Qual è il nostro destino? Siamo incamminati a morire e a diventare polvere; di fronte a questa prospettiva ogni miraggio mondano perde di fascino, ogni rancore si ricompone, ogni smania necessariamente si quieta: questo è l'insegnamento del giorno delle ceneri, che inaugura e avvia il tempo quaresimale. Così come, alla conclusione dei quaranta giorni, il mistero della Pasqua ci dirà che siamo destinati a risorgere e a vivere eternamente, in modo che già da adesso possiamo e dobbiamo vivere nella gioia.
* * *
Il brano del Vangelo poi ci suggerisce un itinerario concreto di conversione, che è come un elenco di rimedi per tutti gli altri principali malanni dell'animo.

Siamo qualche volta colpiti da «afasìa» nei confronti di Dio, cioè da incapacità di parlare col Padre che è nei cieli e vive anche nell'intimo dei nostri cuori, di colloquiare con lui sottraendoci al multiloquio che a ogni ora ci frastorna e distrae.

Il rimedio è una preghiera vera, prolungata, schietta, incurante dell'attenzione degli altri, desiderosa di una personale ed espressa comunione con l'Autore di ogni bene, nel segreto della vita interiore.

Siamo anche afflitti da inappetenza: inappetenza per sazietà e per ottundimento della facoltà di gustare i beni della divina creazione.

Non sappiamo più apprezzare le molte e stupende cose create perché ne abbiamo troppe a portata di mano. Abbiamo perso la capacità di stupirci, di gioire del bello e del buono quotidianamente incontrato, di assaporare i sani e semplici piaceri dell'esistenza, così come sapeva fare l'uomo di un tempo, sempre povero, spesso affamato, per il quale ogni piccola ragione di festa diventava un dono e un tesoro.

Il principale problema di questa nostra società pasciuta, svogliata, disamorata, sempre più bisognosa di stimoli esotici e inconsueti, non è più quello di trovare un po' di cibo e un po' di calore, ma quello di schivare un'alimentazione troppo ricca; è quello di oltrepassare continuamente le proprie esperienze, perché si è già visto tutto, si è già tutto avuto. E così ci avviamo a diventare un popolo annoiato, ottuso, senza allegria, senza entusiasmi, senza ideali.

Allora la misericordia del Signore ci pone davanti l'antidoto della mortificazione liberamente decisa e attuata, l'antica ricetta della penitenza, divenuta di grande attualità. Ritrovare la strada della rinuncia - nelle forme che a ciascuno parranno concretamente praticabili e più opportune - vuol dire incamminarsi verso la guarigione.

Perciò nella lettura evangelica Gesù ci ha ricordato il digiuno da compiersi non nelle piazze e davanti alle telecamere, assumendo l'aria di chi va all'assalto di tutte le ingiustizie del mondo, ma segretamente, all'insaputa di tutti, con l'aspetto dignitoso e lieto di chi vuol curare i suoi mali soltanto al cospetto di Dio.

Un altro morbo che frequentemente ci colpisce è la sterilità della nostra vita: magari non facciamo niente di male, ma facciamo anche poco di bene. Ci accontentiamo di essere solo giusti e a posto con la legge, e così finiamo nell'ingiustizia di chi delude Dio perché non dà nessun frutto.

Il Vangelo ci propone positivamente di compiere «opere buone», delle quali cita come esempio l'elemosina, cioè il soccorso prestato a chi è nel bisogno.

La quaresima veda nella vita di ciascuno di noi un rifiorire di queste azioni ispirate dalla carità, nascoste all'ammirazione degli altri, compiute soltanto sotto gli occhi del nostro Medico del cielo, che sa diagnosticare i mali dell'anima e sa pietosamente curarli.

Cominciamo dunque con determinazione e con spirito di fede la nostra cura quaresimale, e la «guarigione del nostro spirito» non potrà mancare.

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Ritiro del Mercoledi delle Ceneri
predicato da don Divo Barsotti
7 marzo 1973 - Bologna

LETTURE
Gl 2, 12-18
2 Cor 5, 20-6,2
Mt 6, 1-6; 16-18

Meditazione
Entrare nel mistero di Cristo...
Ringraziamo il Signore di averci dato occasione di essere qui insieme nel primo giorno della santa Quaresima, di quel tempo che la Chiesa, fino dai primi secoli del cristianesimo, ha consacrato alla preparazione del Triduo Pasquale.
Certo, un giorno come quello del Mercoledì delle Ceneri, porta con sé delle grazie particolari da parte di Dio: Egli rimane la grazia, la grazia che si dona infinitamente, che si dona perché Egli è l'Eterno, un dono eterno. Non c'è in Dio un mutamento, non c'è in Dio l'oggi e il domani, ma c'è l'oggi eterno. Ed Egli è la presenza pura, la realtà di una presenza che tutto investe di Sé, che tutto riempie.
Però, gli uomini entrano in questa presenza attraverso il modo della loro esistenza che è temporale e l'entrare è progressivo. Dunque, ogni giorno non è uguale all'altro, ma ogni giorno dovrebbe essere un procedere più profondamente nel mistero, un radicarsi più intimamente nel mistero. Oltre, però, ad essere un modo temporale quello del vivere dell'uomo, è un modo di vivere che dipende, condizionato come è, dalla mediazione delle cose.
Noi non viviamo soltanto in forza del fatto che siamo nati un certo tempo fa - che è certamente essenziale - per il rapporto che si ha con le persone con le quali ci incontriamo, al luogo dove si abita, ad avvenimenti particolari che ci rendono, più o meno, consapevoli di noi stessi e della nostra funzione riguardo ai fratelli. Questa nostra condizione si produce anche nella nostra vita soprannaturale: Dio è la presenza. Se Egli si dona immutabilmente, eternamente, a ciascuno, ciascuno, però, entra progressivamente in questa realtà; si inizia, attraverso un processo continuo, in questo mistero.
Ma il processo dell'uomo, o dell'anima, nel mistero di Dio, dipende anche dall'impegno che non è sempre uguale nell'uomo, anche perché l'uomo non sempre è capace di vivere un impegno in modo uguale: ora dorme, ora è desto. Ci sono momenti forti e momenti deboli, che non dipendono da noi esclusivamente: il tempo, la salute, non ci consentono, a volte, di vivere l'impegno in modo forte ed assoluto.
... compito della grazia e della natura
Questo avviene anche nella vita soprannaturale.
Dunque anche il possesso non è continuo, ma dipende dalla nostra natura. E dipende anche da fattori indipendenti da noi. Quale grazia, parlo sempre del rapporto fra natura e grazia, quale grazia per esempio, per voi, avere incontrato un uomo che vi ha capite, che vi ha amate! L'amore, in generale, fa sbocciare la vita, tanto è vero che, se uno non ha una vocazione particolare alla castità, se non trova questo fiorire, questo espandersi, diviene arido e chiuso nei confronti degli altri. È inevitabile perché, anche per la natura, ci vogliono queste condizioni favorevoli a fiorire e ad espandersi. Da parte di Dio, no. Egli agisce sempre in un modo immutabile ma, da parte della natura, è così. La grazia divina ci viene comunicata attraverso la mediazione delle cose: è una grazia, per noi, essere entrati a far parte della Chiesa, trovare mezzi di grazia e, attraverso vie che ci stimolano, provocano, aiutano, trovare alimento per la nostra vita soprannaturale; e poi anche attraverso particolari sacramentali, veniamo arricchiti nella nostra vita, nella vita stessa della Chiesa.
Nella natura, la primavera non è uguale all'inverno, né l'estate è uguale alla primavera. È tutto diverso. Così è nella vita della Chiesa. Vediamo nella natura delle stagioni particolarmente ricche, l'estate per esempio, è più ricca dell'inverno. E così anche nella vita soprannaturale: nell'anno liturgico viviamo dei tempi più ricchi di grazia, non in sé, ma perché la mediazione della Chiesa ci offre, più facilmente, motivi ed aiuti per penetrare il mistero. Ora, uno dei tempi più ricchi, anzi il tempo più pieno di grazia, è il tempo che si inizia con la giornata di oggi, e finisce con la Pentecoste. Quaresima e Tempo Pasquale.
Morte e resurrezione di Cristo...
Perché? È semplice: perché noi non siamo chiamati che a vivere il mistero del Cristo. E tutta l'umanità non è chiamata che a vivere il mistero del Cristo. Il mistero del Cristo è la morte e la resurrezione, elementi inscindibili dì un solo mistero: quello della natura umana che, venendo meno a se stessa nella morte, si apre ed è invasa ad accogliere la vita divina. Ecco la resurrezione. Morte e resurrezione, sono due aspetti ma il mistero è uno. Tu non potrai vivere la resurrezione, se non in quanto sei morto, tu non puoi morire, nel cristianesimo, che in quanto vieni assunto Dio.
Ora, questo tempo di cui abbiamo parlato, che comincia con oggi e termina con Pentecoste, nelle sue parti, ci mette maggiormente in rapporto col mistero d Cristo: la Quaresima e la morte fino a Pasqua, la resurrezione dalla Pasqua in poi.
È tutto qui. È l'iniziazione che facciamo ogni anno. Siamo chiamati a viverla ed essa procede con il radicarci sempre più in questo mistero.
Ma, come vi entriamo? Il processo che noi dobbiamo vivere ripete, in qualche modo per noi, il processo stesso dell'umanità di Gesù e, prima ancora, la vita dì tutto il popolo d'Israele: ecco perché, durante la Quaresima, si legge l'Antico Testamento. Anche la nostra vita ripete, in qualche modo, tutto il cammino d'Israele, fintanto che Israele non giunge a Cristo. E si ripete in noi la vita stessa di Gesù: essa non è il concepimento di un mistero di Dio, morte e resurrezione ma, anche nell'insegnamento, ha un carattere profetico ed è quello di annunciare e preparare la morte e la resurrezione.
Se noi sappiamo leggere attentamente, per esempio, il IV Vangelo, noi vediamo che tutti i miracoli di Gesù non sono altro che un annuncio di quello che avverrà alla resurrezione.
L'Incarnazione è cominciata con la Creazione, ma non si è compiuta con la concezione nel seno della Vergine perché, è certo che, nel seno della Vergine, il Verbo ha assunto la natura dell'uomo, ma l'assunzione vera della natura perfetta umana, implica il processo dì tutta la vita di Gesù: allora, veramente, Egli può dire di assumere tutta la natura umana quando cioè sarà un uomo perfetto, quando avrà 30 anni. Un bambino di 5 anni non è ancora un uomo perfetto, anche se ha la natura umana: la natura umana perfetta ancora non l'ha raggiunta. Se Gesù deve assumere la natura umana perfetta, il processo della Incarnazione divina continua fintanto che Egli non giunge alla morte. Notate una cosa meravigliosa: Gesù muore nell'età matura, non da vecchio, ma proprio quando il procedere della natura umana raggiunge la sua perfezione. La sua perfezione è raggiunta proprio nell'atto del suo morire.
... devono essere vissute da ogni discepolo
Che cosa ne viene da questo?
Ne viene che, se noi dobbiamo vivere una nostra iniziazione nel Cristo, noi dobbiamo ripetere, in qualche modo, nella nostra vita, il cammino della vita stessa di Gesù. Ecco, quindi, che s'impone per noi l'imitazione di Gesù. È questo che la liturgia ci insegna attraverso le feste ed anche attraverso il Vangelo.
Per esempio, noi abbiamo ascoltato il Vangelo del Battesimo di Gesù; domenica prossima ascolteremo il Vangelo delle tentazioni di Gesù e poi proseguiremo lungo la Quaresima fino al Venerdì Santo, quando leggeremo il Passio, la morte. Poi, a Pasqua, leggeremo il Vangelo delle apparizioni di Gesù. Tutto un processo che ci inserisce veramente nel Cristo, attraverso il processo stesso dell'imitazione della sua vita.
I Vangeli sono i racconti di un viaggio...
Avete mai considerato che cosa sono i Vangeli? Una vita di Gesù? Non è vero. Essi non ci parlano affatto di quello che Gesù fece a 18, 20, 25 anni. La vita di Gesù comincia col Battesimo, poi subito, con le tentazioni, poi viene la predicazione. Ma con la predicazione, notate, Gesù fa un viaggio. Nei Sinottici, Gesù non va due o tre volte a Gerusalemme: ci va una volta sola. Gli Evangelisti descrivono un viaggio di Gesù dal Battesimo, cioè dal Giordano in Giudea, alla Galilea; dalla Galilea scende a Gerusalemme. È proprio come un circolo. E a Gerusalemme muore. II Vangelo è un viaggio. Come la storia d'Israele, come la nostra vita. La nostra vita è un viaggio, un processo che ci porta sempre più intimamente ad inserirci nel mistero del Cristo. Ecco perché la vita spirituale è definita come un viaggio, come un cammino, un cammino di perfezione, una salita - anche il salire è viaggiare - una salita al monte Carmelo. È la vita di tutti noi.
Ogni anno si vive la Pasqua; e non si vive mai così totalmente che l'anno dopo non si possa rivivere. Perché? Perché il mistero di Cristo supera infinitamente tutti gli uomini e tutta la storia: anche vivendolo ogni anno non si esaurisce mai la profondità e la ricchezza di questo mistero; siamo quindi chiamati a ripeterlo per rientrarvi più profondamente. Tutta la vita è questo viaggio, ma anche ogni anno è questo viaggio. Noi Io abbiamo iniziato, anzi non lo abbiamo iniziato, ma siamo stati in condizione di iniziarlo.
... che inizia col Battesimo...
Il vero Vangelo comincia col Battesimo di Gesù. Non per nulla san Marco non parla affatto dell'infanzia di Gesù e nemmeno san Giovanni: davvero il Vangelo comincia col Battesimo di Gesù. Il Vangelo dell'infanzia è la condizione necessaria: Nostro Signore non poteva essere battezzato se non era nato! Così anche per noi. Il tempo natalizio è come la condizione, per noi, di entrare nel mistero. Cioè, che cosa si vive nel tempo natalizio? La coscienza di una nostra dignità di figli di Dio nel Figlio di Dio. Ecco quello che ci dice san Leone Magno nei suoi grandi discorsi, nelle letture del tempo natalizio: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità". Essendo stato chiamato ad essere partecipe della vita divina, non volere prostituire la tua grandezza cercando altri beni.
Una volta riconosciuta la nostra dignità, s'impone per noi questo inserimento progressivo nel mistero. E questo inserimento progressivo nel mistero ha inizio, per Gesù, col Battesimo; per noi nel ricordo del Battesimo del Cristo. E quando Gesù e Giovanni Battista ascoltano la parola del Padre che proclama a Gesù: "Tu sei il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto", Gesù non prende coscienza, ma inizia il suo cammino per il compimento della sua missione.
Le parole dette dal Padre a Gesù nel conferimento del Battesimo, non solo hanno un riferimento preciso alla profezia di Natan a Davide "Tu sei mio Figlio; io oggi ti ho generato", ma hanno un riferimento alla Passione. È il servo di Jahweh, del 53° capitolo di Isaia, "nel quale mi sono compiaciuto": il Padre proclama Gesù come colui che è Figlio di Davide, il re messianico che raggiunge il regno, cioè la gloria, attraverso la sua passione.
Questo è tanto vero che Giovanni, nel suo Vangelo, scusate se sono un po' difficile oggi, fa dire a Giovanni Battista, presentando Gesù: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Che cosa avrebbe capito la gente con queste parole? "Agnello di Dio" è tratto proprio dalla profezia messianica del servo di Jahweh, 53° capitolo di Isaia: l'Agnello si immola, viene immolato per togliere i peccati d'Israele.
Il cammino di Gesù nasce dalla consapevolezza di procedere verso la gloria attraverso un cammino di patimenti, di immolazione. Non si arriverà al potere regale messianico di Figlio di Davide che attraverso la profezia del servitore di Jahweh, che è la sofferenza e la passione.
... e prosegue nelle tentazioni...
Subito dopo il Battesimo, che cosa ci dice il Vangelo? Ci dice che lo Spirito Santo caccia - la parola è di san Marco - Gesù nel deserto per essere tentato. Forse, non abbiamo mai pensato profondamente sull'importanza che hanno le tentazioni. Non sono un gioco. Gesù è stato tentato veramente. Ma, poteva essere tentato? È una cosa formidabile. Non posso fermarmi troppo su quest'argomento, ne parlavo stamani in Seminario ma è davvero un problema veramente formidabile. Cioè, lo Spirito Santo che è disceso sopra Gesù, nella proclamazione che il Padre ha fatto di Gesù come Figlio e come Colui nel quale si è compiaciuto, fa iniziare la vita di Gesù come tentazione di lotta, come sofferenza e passione. Non si vive, dunque, un cammino che va verso la partecipazione ai beni divini, se non attraverso la sofferenza e la morte. La tentazione come prova.
Sarebbe terribile se dovessimo meditare un po' le tre tentazioni di Gesù! Non solo è un rivolgimento della natura creata, ma una sublimazione di questa natura. Esse rispondono precisamente a quello che sono gli istinti fondamentali della nostra natura.
Gesù, è evidente, non poteva peccare; ma una tentazione in Lui può avvenire, non in quanto il tentatore richiede una opposizione a Dio, ma in quanto gli chiede di seguire la natura creata che, in fondo, non può adattarsi al disegno divino se non superando se stessa.
... e nel Getsemani...
Non vi è una opposizione, ma esige un superamento, esige una sublimazione alla quale la natura umana creata ripugna, ripugna all'umanità di Gesù che ha sentito, anche nel Getsemani, la paura della morte. Gesù sapeva benissimo che doveva morire, che doveva accettare la morte dalla mano del Padre; tuttavia:Tristis est anima mea usque ad mortem e: vigilate mecum. Ha dovuto lottare per tre ore per superare l'angoscia e la ribellione della sua natura creata, nei confronti della morte. Se no, non sarebbe un uomo perfetto: deve avere quelli che sono gli istinti fondamentali della nostra natura.
Gesù deve essere un uomo perfetto ma, se è un uomo perfetto, deve essere un uomo con la sua sensibilità, i suoi istinti, il bisogno di realizzare se stesso. E questo non vuol dire soltanto mangiare, avere una famiglia; vuol dire anche avere una certa affermazione di sé, un essere conosciuto, stimato, amato dagli altri; avere una certa grandezza umana. L'uomo realizza anche questo: una volontà di potenza che non è, di per sé, peccaminosa ma è la realizzazione di quello che un uomo è. Voi stesse la volete per i vostri figlioli. Può una madre volere che un figlio non valga nulla o che non sappia lavorare? Ogni uomo è portato a volere la sua realizzazione anche su un piano sociale. E Gesù doveva sentire tutto questo; i doni a Lui dati potevano servire anche a questo.
E poteva sentire anche la sua solitudine. Anche la castità è un martirio, sul piano umano, sul piano biologico. Vi è una sublimazione che si ottiene attraverso un superamento che costa, un trascendere l'istinto immediato. È bellissimo questo, perché Gesù è veramente uomo pur essendo Dio, assolutamente, perché è Figlio di Dio, perché l'essere suo è puro rapporto d'amore al Padre, e non può vivere questo puro rapporto al Padre, in una natura creata, che in quanto sforza questa natura creata a trascendere se stessa. Nella castità perfetta, si vive un trascendere la natura umana la quale, di per sé, non esigerebbe questo.
... in un continuo superamento di sé
Non è facile questo. Anche Nostro Signore ha sentito la fame, ha sentito la solitudine. E poi, aveva una missione da esercitare sul mondo, per la salvezza del mondo. Come pensi tu di poter agire sugli uomini, sul potere economico, politico? Quando si vuol agire, nella storia, si esercita un potere. Gesù sente lo stesso perché, umanamente parlando, questa è la via, questo è il mezzo naturale che la natura ci offre per poter dominare, agire, operare. Gesù, che deve operare il massimo disegno di salvezza di tutti gli uomini, non può non sentire, come uomo, la tentazione del potere. Non per sé chiede questo, ma in forza della sua missione. Si può, senza trascendere la propria natura, entrare nel mondo di Dio? Trascendere la propria natura è, veramente sacrificio, è veramente tensione, è veramente un trascendimento che implica la morte, anche per Nostro Signore.
E così la fama. Egli era il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo. Se avesse manifestato la sua potenza, così da meravigliare il mondo, la sua potenza divina, certo le folle sarebbero accorse immediatamente a Lui. Guardate, invece: nel Vangelo i miracoli li compie però - è una cosa terribile il segreto messianico - Gesù non vuole che se ne parli, anzi agisce in nodo nuovo. A volte, sembra sia di cattivo umore, e che reagisca; perché? Perché vuole, assolutamente, l'anonimato. Mai nulla per Sé. Tutto quello che Egli fa ci indica la sua grandezza e la sua trascendenza divina, mai deve fluire su di Lui come onore.
Egli adempirà la sua missione attraverso un cammino di spogliamento, di trascendimento degli istinti propri della natura umana. Non è spogliamento in senso radicale perché, in questo, l'uomo vive i misteri divini. In altre parole, non vive più un amore centripeto per il quale uno attira a sé le cose, l'onore, la fama. Non attira nulla a Sé. Si dona pienamente: e il donare se stesso implica spogliamento e morte.
Ed ecco: proprio la vittoria sulle tentazioni è seguire la via di Dio che porta I'uomo, la natura umana, del Cristo, a vivere nella condizione umana soltanto nel venir meno, sempre più, proprio alla pura vita istintiva della condizione terrena.
Si noti il cammino, non solo di solitudine nel deserto, ma tutto il cammino, fino alla morte di croce.
Povertà
La povertà si esprime nella vittoria sulla prima tentazione, nel non prendere nulla per sé. Le pietre rimangono pietre e non divengono pane per Gesù. Questo rifiuto all'inizio, diverrà, al termine del suo cammino, l'abbandono dei discepoli, l'abbandono del Padre, la solitudine infinita nella sua anima la quale, pure in questo abbandono, vive anche il puro rimettersi di se stesso nelle mani di Dio.
E Dio è un dono che tace; anche per Gesù è puro silenzio. Sublimità e grandezza senza pari!
È un cammino che cade nell'abbandono totale, nella notte più oscura. E Gesù vive l'assoluta sua fede nel Padre: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!". Dio non risponde; ha abbandonato il Figlio alla morte. Questa è la vita divina: la vita di Dio è puro nulla. Non vi è proporzione fra il creato e l'increato, fra i sentimenti umani e la vita divina. Perciò, il procedere verso Dio non può essere, per l'uomo, che un procedere verso Io spogliamento ed il vuoto.
Questo è tanto vero, per Gesù e per noi che l'atto supremo del vivere, in quanto siamo cristiani, quale sarà? L'estasi? No. È la morte fisica. Neppure la morte spirituale perché quella sarebbe una morte per modo di dire, perché poi ci si riprende e si ritorna a vivere. Nella morte fisica, se tu veramente procedi in questo cammino che ti introduce in Dio, tu vivi anche la perfezione estrema dell'amore, il dono supremo dite stesso a Dio.
Ecco quello che diceva santa Teresa di Gesù Bambino, della quale si celebra quest'anno il centenario della nascita: la vera perfezione della carità non consiste, lo dice anche san Giovanni della Croce, in una estasi d'amore nella quale l'uomo passa nell'eternità. No, perché, sono parole di santa Teresina, se questa fosse la perfezione dell'amore, l'avrebbe vissuta Gesù prima dei Santi. Ma Gesù, che è la norma di ogni santità, ha vissuto invece, la perfezione dell'amore in questo abbandono che è l'essersi liberato da tutto: da ogni sicurezza umana, da ogni alimento per la sua natura umana abbandonandosi totalmente nelle mani di Dio.
È la morte. Ed è l'atto supremo della vita.
La sua missione, Cristo la inizia dopo aver ricevuto il Battesimo, quando Io Spirito Santo Io caccia nel deserto per essere tentato. Non si vive la vita cristiana che in quanto viviamo la tentazione. La tentazione è essenziale alla vita cristiana, la tentazione come prova della nostra fedeltà e della nostra adesione a Dio, la tentazione che costa continuamente, per noi, il superamento di noi stessi. Perché? Perché il cammino verso Dio è un cammino di morte, non di morte soltanto, perché si parlerebbe allora di un cristianesimo non vero, ma nemmeno di resurrezione soltanto, perché la resurrezione supera la morte.
Chi caccia Gesù nel deserto? Lo Spirito Santo. È l'azione dello Spirito, l'azione di Dio che, agendo nella natura umana del Cristo, la destina a morire. E il morire è in forza di una presenza divina che implica, per l'uomo, il superamento di sé, che è un continuo morire, ma morire perché viva, in noi, sempre più il Cristo. Vivo ego, iam non ego: vivit vero in me Christus.
La Quaresima, nel deserto con Gesù...
Noi iniziamo la Quaresima e intendiamo entrare nel deserto con Gesù: dobbiamo essere solleciti nel rispondere alla grazia divina per questo superamento dei nostri istinti.
Anzitutto bisogna che la grazia divina elimini in noi tutto quello che, per questa vita istintiva, si oppone direttamente alla volontà di Dio.
In Cristo, qualche cosa che s'imponga a Dio non c'è: Egli stesso è Dio. Ci può essere una tensione fra natura e grazia, ma non una opposizione. In noi c'è anche opposizione.
La prima cosa che Io Spirito Santo opera in noi è proprio la eliminazione di quello che è opposizione a Dio e che, perciò, non è compatibile con la vita cristiana. Questo vuol dire non seguire il nostro egoismo morale, oltre che metafisico, per il quale noi ci facciamo, a noi stessi, idoli. Noi vogliamo tutto a noi stessi, mentre la vita divina è puro dono di sé.
Prima di tutto s'impone, per noi, questa lotta. Gli istinti della nostra natura, di per sé, non sono cattivi; divengono però occasione di peccato, per noi, proprio in forza di un'ordinazione, della nostra natura, non a Dio, ma a noi stessi, al nostro corpo, al nostro orgoglio.
Nella misura che i nostri istinti alimentano in noi questo rivolgimento della creatura che, invece di volgersi a Dio, pretende rivolgersi a sé, viene in noi anche l'esigenza di non trascendere, di non sublimare gli istinti stessi. Anche quando non sono peccaminosi, portano sempre con sé un grave pericolo, se noi ci abbandoniamo ad essi. Gli istinti sono fatti per difendere la natura, non sono fatti per farsi amare. Di qui, di mano in mano che passano gli anni, l'importanza, la necessità di una sublimazione di questi istinti, sublimazione che avviene anche naturalmente. Per esempio, in una madre, l'amore diviene sempre più puro e meno istintivo, di mano in mano che i figli crescono, se la madre è cristiana. Se non Io è, fa l'infelicità dei figli se non li vuole mollare, se vuole ancora possederli e pretendere che nessuno abbia a toglierglieli, a strapparli al suo amore.
Vi è poi anche una sublimazione di un altro istinto: quello del potere. Accaparrare sempre! C'è una liberazione progressiva: tu agisci tanto di più quanto più ti spogli, anche nel confronto dei figli, nel confronto degli altri. Nella misura che tu pretendi di avere un monte di mezzi a tua disposizione, il tuo operare risulta quasi infecondo.
Questa è una esperienza. Ci vuole una maturazione anche nella sofferenza; maturazione e spogliamento. Quando uno, nella vecchiaia, crede di perdere tutto, è allora che acquista tutto: venerazione e amore. Senza queste convinzioni, il vivere la nostra vita non è più il vivere la vita cristiana. E questo, come lo sentiamo!
... lasciando Dio libero di agire in noi
Non siamo più nostri: non possiamo contare su noi stessi, sul nostro tempo, sul nostro lavoro. Dov'è il nostro lavoro? Dio ci porta a fare cose che non volevamo, ci porta là ove non pensavamo di arrivare, a fare ciò cui non avremmo pensato mai, ad amare persone che ha posto sulla nostra vita. Dio è sempre meraviglioso! Non ci fa vivere mai secondo un nostro disegno, un nostro programma, ma ci porta a vivere quello che Egli vuole, attraverso le vicissitudini per le quali ci conduce e ci fa vivere secondo la sua volontà, spogliandoci per un suo disegno: però, nel cammino di spogliamento, immediatamente ci riveste di Sé perché la morte è un elemento di un mistero unico: morte e resurrezione. Non c'è mai la morte senza la resurrezione: non si muore mai a noi stessi, se non nella misura che Dio si fa presente.
Se Dio vuole veramente Io spogliamento della mia volontà è perché, in fondo, in me s'incarna la volontà di Dio. Se così non fosse, io continuerei a vivere la mia vita, contro la mia missione. È terribile anche questa evasione dai propri compiti, evasione che può essere una tentazione.
Il sacerdote, oggi, sarebbe ai margini, se non si inserisse nel mondo, perché la spiritualità cristiana non è spiritualità di evasione; si deve vivere per gli uomini e non farne parte, come Dio! Essere intimo al mondo ed essere talmente altro dal mondo, perché non hai peso né sul piano politico, né economico, né sul piano della stima. Nulla.
Che meraviglia!
È proprio una cosa stupenda, proprio quello che ha vissuto Gesù. Era un lavoratore. Un maestro, un grande? Ha una storia. Ha vissuto nel tempo, ma la storia potrebbe completamente ignorarlo. L'unico libro che ha una dimensione storica nel Nuovo Testamento è il libro degli Atti. I Vangeli non hanno una dimensione storica, ma sono biografie o narrazione di viaggi. Gli Atti invece, riferiscono dei rapporti di San Paolo con l'Impero Romano, con Gallione, con le città.
Gesù, quando entra in una città, vi entra per morire soltanto, e per morire come un malfattore.
Proprio per questo Gesù, centro del mondo, è la radice che tutto sostiene. Così, tanto più è il dono vivente, tanto più perderà di peso: e questo non lo capiscono, oggi, nella Chiesa. Si dice che la Chiesa tanto più sarà efficace, tanto più avrà una storia.
I Santi sono proprio stati quelli che hanno avuto una storia. L'efficacia della Chiesa si manifesta in un modo misterioso, non per i poteri, per i mezzi che il mondo può offrirle per agire, ma per la grazia divina, indipendentemente dalla sua povertà; direi, anzi, a misura della sua povertà; a misura che la Chiesa si spoglia di ogni suo potere, economico e politico, opera di più.
Come Cristo. Egli ha compiuto la missione di salvezza del mondo nel supremo spogliamento della morte.
L'azione dello Spirito Santo
Con la Quaresima, bisogna eliminare ogni nostra opposizione a Dio: ciò implica il non vivere più per noi stessi, ma il vivere per Iddio. Rendiamocene conto.
È quello che diremo stasera, in una delle cose più grandi della nuova liturgia. Perché non vivessimo più per noi stessi, ma per Gesù che è morto ed è risorto per noi, ci vuole lo Spirito Santo il quale ci strappa alle nostre radici e ci fa rivolgere a Dio.
Naturalmente parlando, l'uomo vive per sé: non può liberarsi da un egoismo metafisico. E questo per forza, perché la creatura, come ho detto, non avendo in sé la ragione della propria esistenza, ha bisogno di vivere per gli altri. Noi abbiamo bisogno di prendere e sul piano fisico e sul piano morale; abbiamo bisogno di nutrirci dell'esperienza spirituale altrui e, tanto più siamo, come uomini, tanto più prendiamo anche sul piano spirituale.
Ecco la cultura. Bisogna conoscere sempre di più; non c'è mai fine, non è vero? Se uno è veramente preso da questa vita culturale - e la biblioteca cresce sempre - non finisce più di voler conoscere.
Ma, ecco, il rivolgimento operato dallo Spirito Santo perché non vivessimo che per Lui, perché noi avessimo a donarci. E ci doneremo soltanto in forza dello Spirito Santo che vive in noi.
Anche sul piano spirituale siamo ben poca cosa, ma possiamo donarci senza fine perché Dio è in noi e noi diveniamo capaci di questo amore, che si dona sempre più quanto più noi ci doniamo e siamo amore.
La prima cosa che la Quaresima opera è proprio questo rivolgimento interiore. E noi dobbiamo implorare stasera, dallo Spirito Santo, la conversione che il Signore aspetta da noi; da un amore centripeto a un amore centrifugo, onde noi ci ordiniamo totalmente a Dio e ai fratelli, non pensiamo più a noi, non siamo più per noi ma per il Signore soltanto. Sempre più viviamo la dimenticanza di noi stessi, per vivere solo il ricordo degli altri e di Dio.
Ecco la nostra vita.
Dunque, la vita spirituale è quel processo mediante il quale al sentimento dell'io subentra il sentimento di Dio. Dio diviene la nuova coscienza nell'essere tuo: non parli che di Lui, non pensi che a Lui, non aspiri che a Lui. Lui il tuo desiderio, il tuo tormento, la tua fame, il tuo alimento, il tuo tutto. Non esci più da Lui; non vedi più che Lui.
Per giungere a questo, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo la conversione. Allora, sentiremo la nostra vita come puro dono di noi stessi a Dio.
La vita del Paradiso
Questo dobbiamo vivere.
Questo dobbiamo chiedere perché lo Spirito Santo ci strappi alle nostre radici e ci porti nel deserto ove saremo invasi dalla potenza dell'amore di Dio.
Ricordiamoci che, anche in Paradiso, non si vive altro che la morte e la resurrezione; questo venir eternamente meno della nostra vita terrestre, dei nostri egoismi umani, ci farà vivere la pura luce della divina carità. Soltanto, in Paradiso vivremo questo senza più pena, perché non vi sarà più opposizione all'amore divino. Quaggiù, invece, per il nostro egoismo, ogni qualvolta Dio ci strappa a noi stessi per farci vivere in Sé, questo strappo lo sentiamo e diviene una ferita, causa l'attaccamento che abbiamo alla nostra volontà, al nostro modo di sentire e di operare. Anche se non rifiutiamo, sentiamo però la difficoltà di lasciarci totalmente possedere. Istintivamente ci difendiamo da questo amore.
Dio opera in noi. La vita spirituale è come un'altra vita e cresce per il fatto stesso che noi viviamo. Solo il peccato può interrompere questa crescita e può anche portare la morte.
Vita di umiltà, dunque, vita di dedizione: è Dio stesso che porta a questa perfezione.
Omelia
"... il Padre tuo, che vede nel segreto..."
Il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato è stato tratto dal sermone della montagna. Questo tratto di Vangelo ci dice come il valore dell'atto umano è tutto nella sua radice, nella quale viviamo e compiamo ogni cosa.
Non è il successo esteriore, non l'efficacia di una vita, ma quello che Dio solo conosce, perché l'intimo è conosciuto solo da Lui.
E noi dobbiamo renderci conto di questo perché, se noi valutiamo una vita dal suo successo sul piano dell'evidenza umana, noi possiamo facilmente peccare di quella ipocrisia che Gesù condanna in questo Vangelo.
Vivere soltanto per Iddio: è anche una delle condizioni per vivere quella penitenza di cui si parlava prima. In fondo, quando si vive per un successo immediato, per una efficacia, è evidente che non contano tanto la purezza del cuore, la dedizione di sé, quanto conta la forza degli argomenti che si usano per raggiungere il fine che ci si propone.
Qui il fine non è mai al di là dell'atto: ecco la grandezza della vita spirituale. Un atto, anche se non venisse conosciuto da alcuno ma che fosse vissuto nella più grande purezza d'amore, conta più di tutta la storia degli uomini, più di tutte le vittorie sulle malattie, sulle guerre, su tutto.
Davanti a Dio, non contano tutte le macchinazioni dei politici, anche se l'effetto di esse è, immediatamente un bene. Solo nella misura che, nella vita, tu realizzi la tua unione col Signore, la tua vita ha una dimensione che trascende tutte le dimensioni della storia e della creazione, perché il tuo atto ha le dimensioni stesse di Dio.
Il valore dell'atto interiore
Considerate, miei cari, la grandezza del cristianesimo. Se esso si dovesse misurare da quello che, sul piano visibile e sensibile, può operare, potrebbe aver fatto ben poco; ma l'atto interiore che unisce l'uomo a Dio, non vale più di tutta la storia? La storia macera, consuma, digerisce ogni uomo, ogni generazione umana. Dove sono i nostri antenati? Dove i nostri parenti? Chi li salva se non Dio? Se non il vivere al di là di ogni processo di storia, l'eternità pura dell'amore infinito?
Miei cari, la grandezza della vita umana è soltanto nell'intimo, soltanto in questa purezza.
Certo, in questo possono aver ragione anche coloro i quali avversano il cristianesimo; e certo, se l'uomo vive in questa purezza d'amore e d'intenzione, non è detto che non debba avere una incidenza anche nella vita umana, nella storia degli uomini. Certo, l'avrà.
Ma non è questo che noi vogliamo perché, invece della purezza, contano i mezzi, nella misura che sono più efficaci per conseguire il fine.
E allora, anche una guerra può essere un mezzo efficace per fare la pace. Ma così, non si realizzerebbe nulla di buono, mai! Allora, sarebbe bene andare contro la verità, il sopprimere l'innocenza, per arrivare a un certo fine.
Questo non possiamo mai accettarlo: sarebbe, veramente, strumentalizzare l'uomo a un idolo, perché l'umanità è un idolo quando ha distrutto nell'uomo il suo valore più vero che è, precisamente, la sua interiorità, la sua onestà interiore, la purezza del suo amore.
Vogliamo vivere, dunque, la nostra vita cristiana?
Rendiamoci conto che la dimensione di questa vita è, precisamente, in questa purezza intima onde tutta la vita è, prima di tutto, consacrata a Dio e vissuta in Lui. Presenza pura.
Dobbiamo saperci dimenticare
Certo, tutto questo implica una grave rinunzia: essendo uomini, e vivendo nel tempo, noi dobbiamo rimetterci a Dio, anche se la nostra vita non consegue nulla; e rimane nella pace.
A questo, Dio ci porta lentamente. Vedete tante anime semplici che vivono una vita povera, nascosta agli occhi degli uomini, senza peso nella storia del mondo. Una serenità, una pace, una luce che ha qualcosa di grande per coloro che conoscono queste anime, le quali vivono unicamente per il Signore, per l'amore.
Non mai l'amore di Dio ci sottrae agli uomini; queste anime fanno dono di loro stesse un dono continuo senza mai chiedere nulla per sé.
Questa è la grandezza ed è questo che ci insegna oggi, il Vangelo. Quando fai elemosina, non suonare la tromba; quando fai la preghiera chiuditi entro la tua stanza; quando fai digiuno profumati perché gli altri non sappiano, se tu vuoi che la tua vita, sempre più ti assimili a Dio.
Ogni giorno noi diciamo: "Tu sei umiltà". L'umiltà è Dio, Dio che è presente, che fa tutto e non si vede, non si scopre mai; Dio che fa sì che tu ti scopra. Egli rimane nel silenzio; eppure è la causa di tutto; la vita di tutto, l'amore che congiunge tutti i mondi.
Così, anche l'anima, nella misura che si assimila a Dio, tutto fa, tutto opera, e rimane nascosta.
Quante mamme salvano la famiglia e, per sé, non chiedono nulla! Tanto più vivono a lungo, tanto più si fanno da parte.
Questo dobbiamo imparare, solo questo: e non è facile! Dobbiamo saperci dimenticare: è tutto qui quello che il Signore ci chiede. Liberarci dal nostro egoismo. Amare. Amare con semplicità fino in fondo. Far sì che Dio sia il tutto, e noi il nulla.
Al sentimento dell'io, subentra il sentimento di Dio. Così, al termine, possiamo dire con santa Teresina del Bambino Gesù: "Vivo in tale dimenticanza di me, da non ricordarmi nemmeno di esistere". Impariamo anche noi! Chiediamo che lo Spirito Santo ci prenda, ci protegga e ci trasformi in Lui.
È fuoco? Ci bruci e ci consumi. È vento? Ci strappi dalle nostre radici e ci porti via, purché Dio viva in noi. Questa preghiera che facciamo, possa ottenere una risposta davvero efficace e si inizi, per noi, quel cammino che deve portarci alla perfezione stessa della carità, alla purezza stessa dell'amore nella piena identificazione nostra con Gesù Nostro Signore!