venerdì 24 febbraio 2012

Perchè tanta gioia?



Intervista con il vicario del patriarcato di Gerusalemme, padre David Neuhaus, S.I., convertito dall'ebraismo

ROMA, venerdi, 24 febbraio 2012. - Padre David Neuhaus è nato in una famiglia ebrea e, ancora in giovane età, si è convertito al cristianesimo. In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio piange), padre Neuhaus, vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica.
Padre, lei è cresciuto in una famiglia ebraica. Ha ricevuto una profonda educazione religiosa?
Padre David Neuhaus: Ho ricevuto quella che si potrebbe definire una tradizionale educazione ebraica. Mi hanno mandato ad una scuola ebraica diurna, una scuola meravigliosa. Se avessi figli, li manderei a studiare lì anche adesso. E così siamo stati educati nella tradizione ebraica a casa. I miei genitori erano molto aperti e non molto praticanti.
Come Lei percepiva il cristianesimo in quel momento?
Padre David Neuhaus: Era una questione molto complessa. I miei genitori sono rifugiati della Germania nazista e così siamo cresciuti con la consapevolezza molto forte della storia. Naturalmente, la storia è un luogo dove ebrei e cristiani si incontrano in un’interazione piuttosto traumatica. Ma allo stesso tempo i miei genitori sono molto aperti e molto cordiali e così questo messaggio dei traumi della storia è stato equilibrato con un’apertura verso i nostri vicini.
Si è convertito al cristianesimo in età giovane. Che cosa l’ha ispirata a prendere in considerazione la conversione al cristianesimo?
Padre David Neuhaus: Fu all’età di 15 anni, arrivando per la prima volta in Israele, che ho fatto conoscenza con una delle grandi figure spirituali di quel momento a Gerusalemme, una suora ortodossa russa, che era la badessa di un convento e il suo nome era Madre Barbara.
Crede che fosse persino della nobiltà russa?
Padre David Neuhaus: Sì, era una contessa, un membro dell’aristocrazia russa e attraverso di lei ho incontrato Gesù Cristo. Era una donna, che al momento che la incontrai aveva già 89 anni, paralizzata, incapace di muoversi dal suo letto, ma splendente con la gioia di Cristo ed è questo che mi ha colpito. Non sono andato ad incontrarla perché ero interessato al cristianesimo, ma piuttosto perché ero interessato alla storia russa ed incontrarla è stato veramente un incontro con Gesù Cristo. Non ero molto credente in quel momento e la religione non mi interessa affatto, ma ciò che ha attirato la mia attenzione è stata la grande gioia con la quale parlava di tutto ed era una gioia che mi ha spinto a chiederle: “Perché Lei è così gioiosa? Ha 89 anni, non può camminare, non può muoversi, vive in una minuscola squallida stanzetta. Cosa La rende così felice?”. E questo l’ha spinta a sua volta a testimoniare la sua fede. Questo mi ha semplicemente carpito, catturato. Il passo intermedio, naturalmente, è stato ritornare a casa e raccontare ai miei genitori che avevo incontrato Madre Barbara e attraverso di lei quell’uomo, Gesù.
Qual è stata la loro reazione?
Padre David Neuhaus: I miei genitori erano sotto shock. Mi avevano mandato in Israele. Non se lo aspettavano che il loro figlio ebraico, mandato ad una scuola ebraica in Israele, ritornasse parlando di Gesù e nel corso della conversazione, feci la promessa che avrei aspettato dieci anni. Avevo solo quindici anni. Dissi: “aspetterò fino ai miei 25 anni. Se questo sarà ancora vero quando avrò quell’età, voi accetterete”; e loro furono subito d’accordo. Credo che abbiano pensato: “Sta crescendo e lo supererà”. E infatti hanno accettato e ora ho un rapporto molto, molto stretto con i miei genitori. Ciò successe nel periodo intermedio fu un tentativo di patteggiare sempre più con ciò che questo implicava; credere in Gesù e poi, lentamente ma inesorabilmente, cercare di integrarsi nel suo Corpo nella Chiesa.
Che cosa implica questo?
Padre David Neuhaus: In primissimo luogo, come ebreo, implicava cercare di affrontare in qualche modo i temi molto duri e difficili delle relazioni ebraico-cristiane nella storia, essere attirato dalla Chiesa cattolica a causa del tentativo della Chiesa di affrontare questa storia, un cammino per chiedere perdono e un cammino verso la riconciliazione. La Chiesa Ortodossa, specialmente di tradizione bizantina, mi attirava enormemente, esteticamente mi piacciono molto la liturgia e i canti, è bello, ma quello che ho trovato nella Chiesa cattolica romana era un vero tentativo di assumere la nostra responsabilità come corpo storico nella storia del mondo. La persona che ha aperto la porta è stato papa Giovanni XXIII. La sua volontà di convocare il Concilio e di affrontare questi temi molto, molto difficili riguardo la nostra responsabilità per la storia del mondo, mi ha permesso di pensare che potevo essere cattolico e potevo essere ebreo, quindi ho potuto andare alla mia famiglia e dire: “non sto tradendo il popolo al quale appartengo”. Con i miei genitori, il dialogo è andato avanti per dieci anni e, come ho detto, quando sono stato battezzato all’età di 26 i miei genitori si erano un po’ riconciliati con l’idea di avere un figlio che era una vera e propria “pecora nera” e, come sto dicendo, il rapporto con loro è molto forte.
A che punto di questo processo di conversione ha sentito la vocazione?
Padre David Neuhaus: È venuto quasi subito, ad essere onesto, all’età di 15 anni, tre mesi dopo l’incontro con la Madre Barbara. I ragazzi della mia scuola si chiedevano l’un l’altro di scrivere dove saremmo stati a 30 anni, cioè quindici anni dopo. Io avevo scritto di essere un monaco in un monastero. In quel momento pensavo ancora in termini di Chiesa Ortodossa, ma credo che allora avessi già la netta sensazione dio aver vissuto la mia vita cristiana, dedicandomi al popolo di Dio e tentando di vivere una vita dedicata alla riconciliazione.
Quale è il sacramento con cui ha maggiore affinità?
Padre David Neuhaus: È stato molto chiaro fin dall’inizio della mia vita cristiana, che sono stato molto attratto dall’Eucaristia, dal contatto con il Corpo di Cristo nell’Eucaristia. E, naturalmente, lo ripeto di nuovo, per dieci anni ho assistito regolarmente all’Eucaristia senza essere in grado di parteciparvi.
Lei è il vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica in Israele. Può raccontarci in cosa consiste questo vicariato e qual è la visione di questa comunità cattolica?
Padre David Neuhaus: Nel 1955, una pia associazione chiamata L’Opera di San Giacomo fu fondata in Israele, con lo scopo di assistere le migliaia di cattolici lì sbarcati, di solito parenti di famiglie ebraiche, in seguito alle grandi ondate di immigrazione partite soprattutto dall’Europa. In generale si trattava di ebrei sposati con donne cattoliche. Alcuni dei loro figli erano stati battezzati, quindi si è sentita la necessità di una presenza pastorale tra questa gente. Molto rapidamente queste persone sono diventate parte integrante della società israeliana di lingua ebraica e, quindi, per definizione, non hanno trovato il loro posto nella chiesa a maggioranza di lingua araba. Questa comunità è diminuita nel corso degli anni; è una sfida enorme essere cattolico in una società israeliana ebraica di lingua ebraica. È diminuita soprattutto a causa dell’assimilazione, in particolare perché non siamo stati in grado di mantenere i nostri giovani, cattolici praticanti, che sono spariti assimilandosi gradualmente alla società secolare. Ci sono state ulteriori enormi ondate di immigrazione, di lingua russa, ma non solo, anche di grandi gruppi di lavoratori stranieri, di rifugiati ed ultimamente, di cristiani arabi che per motivi economici si stanno trasferendo in città ebraiche dove i loro bambini – tutti i bambini dei gruppi sopramenzionati - sono integrati nelle scuole di lingua ebraica, e quindi parlano l’ebraico come prima lingua.
L’ebraico è ovviamente una caratteristica identificante della tradizione ebraica. Come gli ebrei reagiscono al vostro lavoro? Con animosità?
Padre David Neuhaus: Penso che, a causa della peculiarità di una comunità cattolica o qualsiasi comunità cristiana che prega in ebraico, la prima reazione non è di animosità, ma di shock; lo shock di ascoltare la Messa celebrata in ebraico, lo shock di sentire cristiani parlare della loro fede in ebraico. Abbiamo una pagina web attiva e anche lì la lingua principale per comunicare tra di noi e la lingua principale per comunicare con la società più ampia è l’ebraico. A volte lo shock si trasforma in ostilità e cerchiamo di comprenderla partendo dalla profonda identificazione con il dolore del popolo ebraico alla luce dei secoli di animosità cristiano-ebraica e la sofferenza attraverso i secoli in modo di cercare di non reagire e di agire con comprensione, pazienza e amore per il popolo ebraico. Così continuiamo la nostra esistenza, insistendo molto sul fatto che siamo parte integrante della società. Noi celebriamo in ebraico e discutiamo in ebraico. Stiamo ora pubblicando i nostri libri di catechismo in ebraico e, grazie a Dio, abbiamo la libertà di farlo.
La comunità ha membri che sono ebrei?
Padre David Neuhaus: Tra gli immigrati, alcuni sono anche ebrei. Va precisato che, poiché non facciamo proselitismo, non abbiamo un gran numero di membri ebrei che sono venuti a Cristo attraverso la nostra attività. Più spesso, sono ebrei che hanno incontrato Cristo da qualche altra parte e considerano la nostra comunità la loro casa. Abbiamo pochissime conversioni: ognuna è molto particolare e ha una storia particolare nella vita della nostra comunità, ma con molta sensibilità cerchiamo di permettere ai nostri cattolici, siano di origini ebraiche o no, di trovare un’espressione della loro fede e di inculturarsi nella società in cui viviamo, in altre parole, di essere sensibili alla lingua, alle tradizioni, alle feste, ai costumi culturali delle tradizioni ebraiche che definiscono la vita società israeliana di lingua ebraica.
Lei ha un legame particolare con il lavoro che fa. Si può dire che il suo ruolo è stato in qualche modo prestabilito?
Padre David Neuhaus: Sto ancora lottando con questo progetto, perché nei primi nove anni della mia vita sacerdotale sono stato professore di Sacra Scrittura nel seminario e pensavo che quella fosse la mia vocazione. Mi piace molto l’insegnamento delle Scritture e questo diventa evidente nel modo in cui organizzo la comunità. Non sono sicuro. Lascio decidere Dio. Quale sia il futuro di questa particolare missione, lo lascio a Lui.
Che tipo di sostegno istituzionale Lei ha in seno alla comunità per sostenere il suo lavoro?
Padre David Neuhaus: Non abbiamo scuole e, ad essere onesti, stiamo ancora discutendo se dobbiamo averne, perché una delle sfide per noi è quella di non vivere in un ghetto, di non creare troppe istituzioni che ci separino dalla società in generale. Stiamo parlando di un piccolo numero. Stiamo parlando di una società che è ricca e che ha istituzioni molto, molto buone – scuole, ospedali - per questo non c’è alcun motivo per creare proprie istituzioni. Ma la sfida, naturalmente, c’è, e per il nostro vicariato particolare si tratta della più grande sfida: come trasmettere la fede da generazione in generazione Come possiamo farlo integrati nella società, quando la pressione della società laica è molto, molto forte? Crediamo che dobbiamo lavorare molto, molto duramente, per permettere ai nostri figli di sperimentare la nostra fede e probabilmente l’unico modo per realizzare questo è creare oasi di gioia, oasi di pace.
Come vede Lei il suo posto all’interno della comunità cattolica?
Padre David Neuhaus: Dobbiamo essere integrati nella Chiesa locale e questo, di sicuro, non è sempre semplice a causa del conflitto politico nel Paese. Ebraicofoni ed arabofoni sono spesso divisi dalla politica. La Chiesa è chiamata a dare testimonianza del fatto che in Cristo non ci sono confini. Gli ostacoli scompaiono in Cristo e noi siamo uno nel suo corpo. Questo è un argomento molto importante per me personalmente. Quando sono arrivato in questa terra, conoscevo già l’ebraico. Ho cominciato ad imparare l’arabo. Sono stato integrato nella vita della Chiesa di lingua araba da sempre e in particolare da quando sono diventato sacerdote – sono professore di un seminario in lingua araba - e così anche qui penso che siamo chiamati ad incarnare un’alternativa alla realtà che vediamo fuori, dove c’è un abisso tra arabi ed ebrei. Nella Chiesa, penso che abbiamo bisogno di dare voce alla possibilità di essere davvero uniti in pace perché Egli è la nostra pace; se Lui non è la nostra pace, diamo una testimonianza povera.
Lei ha descritto il suo ruolo all’interno dell’ambiente ebraico. Come è la situazione nell’ambiente arabo: sta “seduto tra due sedie”?
Padre David Neuhaus: Mi piace pensare di stare seduto tra due sedie. Dobbiamo lavorarci su. Vorrei fare riferimento a quanto è accaduto poco tempo fa durante il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, dove ho fatto testimonianza della nostra piccola comunità e numerosi vescovi sono venuti a dirmi quanto fossero felici di conoscere questa comunità tanto piccola e sconosciuta. Ancora una volta, il nostro ruolo non è politico. Il nostro ruolo è proprio quello di dare testimonianza del fatto che anche la nostra piccola comunità sta dando testimonianza del Signore risorto nella terra che era storicamente era la Sua. Lo facciamo in piena comunione con i nostri fratelli e sorelle arabe, anche se, di nuovo, la politica forse ci divide.
Negli ultimi 20 anni, decine di migliaia di immigrati sono arrivati dall’ex Unione Sovietica. Lei ha detto in precedenza che senz’altro c’erano molti ebrei tra di loro, ma che molti cristiani sono venuti come parenti. Come ha influito ciò sul suo lavoro?
Padre David Neuhaus: Bene, abbiamo certamente nuovi membri. Come Lei sta dicendo giustamente, la grande maggioranza delle decine di migliaia di cristiani all’interno dell’ondata di quasi un milione di nuovi immigrati in Israele, è infatti ortodossa e ha portato alla creazione di piccole ma vivaci comunità ortodosse e comunità di rito bizantino ovunque in Israele. Loro continuano la loro vita di fede, spesso molto discretamente e quasi di nascosto, perché molte di queste persone sono arrivate in Israele come ebrei e poi, una volta in Israele, hanno proclamato la loro fede cristiana. Allo stesso tempo, è anche vero che molti russofoni, che erano di fatto cristiani, non hanno trovato il loro posto in Israele quando si sono resi conto che anche in Israele non ci sono istituzioni o strutture per sostenere la vita cristiana. Molti di coloro che erano in realtà cristiani sono ritornati ai Paesi di provenienza o hanno continuato sulla loro strada verso altri Paesi occidentali. E così abbiamo perso anche un certo numero di quelle famiglie che hanno deciso che Israele non era per loro.
Qual è il suo messaggio per cristiani ed ebrei?
Padre David Neuhaus: Penso che il primo messaggio sia un messaggio di speranza. Speriamo che, proprio come ebrei e cattolici, dopo secoli di rapporti molto traumatici, sono entrati in una nuova era, che questo possa anche essere il futuro del Medio Oriente. Dobbiamo lavorare molto - sia pregare molto e lavorando molto - per la riconciliazione. E abbiamo bisogno del sostegno del mondo. Il mondo deve sia incoraggiarci sia aiutarci a rendere interessante per noi trovare le vie per aprire una nuova era in Medio Oriente, un’era in cui tutti i popoli trovano la loro casa a Gerusalemme e, per estensione, in tutto il Medio Oriente. La regione sta attraversando un momento molto difficile e questo momento è stato frutto di eventi accaduti negli ultimi 100-150 anni, che ha fatto dimenticare quanto possa essere ricca la società mediorientale. Basta pensare che un secolo fa c’erano cristiani, ebrei e musulmani di ogni genere che vivevano in una comunità che apprezzava molto più profondamente la ricchezza del pluralismo rispetto a noi oggi. Credo che abbiamo bisogno di costruire un ponte tra il passato, che era molto più pluralista, ad un futuro che, si spera, sarà molto più pluralista.
Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.
In rete:
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org
[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]
Fonte: Zenit