domenica 1 marzo 2015

“Lui” ti aiuta soltanto se non ignori il prossimo



di Massimo Gramellini
Genova, otto di sera, in un inverno di tanti anni fa, piove a dirotto. Con la mia 126 blu, ero andata a prendere il mio bambino Marco, di otto anni, che si era fermato nel pomeriggio a giocare a casa di un compagno di scuola.  
Percorrevamo lentamente una strada maltenuta, in discesa e priva di illuminazione, che costeggiava una parete montuosa. A un certo punto, a causa del ghiaino caduto da un cantiere soprastante, che aveva invaso buona parte della strada inondata dall’acqua piovana, sentii l’auto sbandare e sfortuna volle che una ruota andasse a finire dentro a un tombino lasciato negligentemente aperto dagli operai del cantiere. Persi il controllo dell’auto che zigzagava spaventosamente e prima che si rovesciasse su di un lato, spensi immediatamente il motore. 
Mi ritrovai al buio, con il mio bambino che era caduto su di me e gridava piangendo: “Voglio il mio papà”! Tentai con tutte le mie forze di aprire la porta e il finestrino che avevamo sopra le nostre teste, inutilmente: si era tutto bloccato. Con voce ferma, per calmare il mio bambino, gli dissi che la mamma sapeva cosa si doveva fare in quella situazione e cioè suonare sempre il clacson in modo che sarebbe arrivato qualcuno a tirarci fuori. 
Non so quanto tempo aspettammo, ma finalmente, dall’alto del finestrino, vidi due occhi che ci guardavano: un giovane uomo grande e grosso mi faceva segno di tenere forte il bambino, mentre lui avrebbe rimesso l’auto dritta. Vidi le sue mani abbracciare il tetto della mia auto e piano piano rimetterla in piedi, poi ci aprì la porta e uscimmo incolumi. 
Confusa, incredula, con il mio bambino che piangeva balbettando, ringraziai e abbracciai quell’uomo, al quale chiesi come fosse riuscito a fare tutto ciò; mi rispose: “Sono un sollevatore di pesi”. Ecco, il mio Angelo! 
Sono passati tanti anni, il mio bambino ha quasi quarant’anni e in tutta la mia vita non ho mai più incontrato un sollevatore di pesi. 
MARGHERITA 

A me non è successo una volta sola. Forse perché sono credente e mi piace pregare. Ma non vi racconterò di quando sono scampata io stessa miracolosamente a un pericolo o si è salvato in modo inaspettato, da morte sicura, un membro della mia famiglia.  
Vi racconterò, invece, come, un giorno d’estate, all’epoca in cui non esistevano i telefoni cellulari, con la macchina carica di bagagli, con mia figlia piccola nel seggiolino, mentre arrancavamo sull’autostrada in Valle di Susa, avvistammo, in una piazzola, un’auto in panne accanto alla quale stavano in piedi due persone visibilmente in difficoltà. 
“Fermati, fermati”, gridai al mio compagno che guidava, “non vedi che hanno bisogno di aiuto?” 
“Non posso fermarmi” replicò lui “hanno il telefono d’ emergenza che si arrangino da soli”. 
Un po’ mortificata mi rannicchiai, muta, nel mio angolino. 
Neanche trenta secondi dopo, la nostra auto cominciò a starnutire, poi diede due colpi di tosse e infine si fermò dolcemente e definitivamente nella successiva piazzola d’emergenza. 
Il mio compagno ebbe un moto di disperazione. 
“Di che ti preoccupi, sbottai ridacchiando amaro sotto i baffi, in fondo c’è il telefono di emergenza...”. Uscì dall’auto piuttosto alterato e si precipitò sul telefono. Guasto. Rientrato nell’abitacolo si dilungò a prospettarmi tutti i modi di morire nei quali saremmo presto incappati se non fossimo riusciti a sbloccare la situazione e, nonostante la oggettiva drammaticità del fatto, riuscì persino a inalberarsi perché io, secondo lui, ero troppo calma. 
“Sono solo i miscredenti come te che perdono la testa, quelli come me, invece, pregano l’ angelo custode: Angelo di Dio che sei il mio custode....” mi guarda con sorpresa ma poi congiunge le mani “...illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidata dalla Pietà Celeste, Amen - e adesso diciamo anche un’Ave Maria: Ave Maria, piena di Grazia...”. 
L’auto ripartì come per miracolo, ma avanzò piano piano, molto lentamente fino a che ci portò alla piazzola d’ emergenza più vicina. Siamo fortunati, questo telefono funziona, ma l’auto è definitivamente bloccata. Il mio compagno non parlò più. Gli restò solo il fiato per chiamare i soccorsi. Il carro attrezzi venne a raccattarci e ci rimise in condizione di proseguire il viaggio per i pochi chilometri che ci separavano dalla nostra meta, ma la riparazione costerà, poi, quanto una nave da guerra. 
Alla sera, mentre eravamo finalmente pacificati e stravaccati sul divano, lui confessò: “Ho imparato la lezione, non ignorerò mai più il mio prossimo bisognoso di aiuto. Però, che strano! Sembrava davvero che in macchina con noi ci fosse qualcuno”. 
Anni dopo venimmo a scoprire che, nel preciso punto in cui la nostra auto si era fermata, c’era una montagna sulla cui cima ci stava una grotta e che in quella grotta qualcuno diceva che fosse apparsa la Madre di Gesù. 
Non posso dire se a salvarci sia stato l’Angelo Custode o la Madonna, ma chiunque sia stato aveva senso dell’ umorismo. 
P. S. Tra le testimonianze che avete raccolto, mi pare ce ne sia una che riguarda un salvataggio miracoloso in Valle di Susa. Forse non è casuale. 
DONATELLA SAVASTA FIORE 
La Stampa