martedì 5 gennaio 2016

Epifania del Signore 2016

Adorazione dei Magi. Vetro decorato, Germania meridionale, ca. 1400. "The Kings of orient"



6 gennaio 2016Epifania del SignoreMt 2,1-12
1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
».
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

*

Commento 1

In questa festa dell’Epifania esplode la gioia. Giunti al culmine del Tempo di Natale arriviamo anche allo zenit della gioia. Pregustata dai pastori la gioia diventa per i Magi “estremamente grande”. Perché?
Fateci caso, essi gioiscono per aver visto di nuovo la stella. Non sono ancora entrati nella casa dove si trovava il Bambino con Giuseppe e Maria. La gioia è dunque precedente all’incontro con Gesù.
Come? Vuoi dire che si può sperimentare una gioia grandissima anche senza vedere Gesù? Sì, e no… Per comprendere dobbiamo metterci ancora una volta sotto la Parola perché ci dica la verità. Se non riusciamo a situarci nel vangelo forse ci commuoveremo, ma non ci sposteremo di un centimetro.
Ogni particolare delle liturgie di Avvento e Natale, ogni Parola proclamata, ogni segno, compreso quello del presepe ci mostra l’Incarnazione come l’umiliazione di Dio.
Abbiamo avuto in questi giorni dinanzi agli occhi un Dio Bambino, dolce, tenero, ma piccolo, debole, fragile, bisognoso di tutto. Un Dio che, sin dall’inizio, ha scelto l’ultimo posto.
Quello che tu ed io non sopportiamo. Sii sincero, credi davvero che un neonato può salvare la tua vita? Al netto del sentimentalismo, intendo. Al netto di risposte da manuale e da catechismo, di quelle che partono in automatico e dicono: certo, l’umiltà, la semplicità, la piccolezza, la povertà, è così che si salva il mondo, non sono mica i potenti, i ricchi, i politici. E bla, bla, bla..
Lo dice e lo ripete sempre anche Papa Francesco, suvvia, che domande fai? Ok, va bene, hai studiato. Leggi anche le parole del Santo Padre… Ripetiamo la domanda in un altro modo: credi davvero, per averlo sperimentato, che il tuo matrimonio può riuscire bene e seminare felicità e vita solo se ti inginocchi dinanzi a tua moglie o a tuo marito, come l’ultimo della casa?
Credi davvero che Dio vuol fare della tua vita un prodigio accompagnandoti all’ultimo posto? Lo credi per i tuoi figli, i tuoi parrocchiani, il tuo fidanzato? Ripeto, l’ultimo posto, quello dell’irrilevanza, del rifiuto, insomma, come scriveva San Paolo, il posto riservato al secchio della spazzatura, in balcone o sotto il lavandino della cucina, e che nessuno lo veda.
Il posto di un neonato. Si nomina amministratore delegato un neonato? O presidente della boccifili o capoclasse? Gli si danno responsabilità, che so, dei fratelli maggiori, della manutenzione dei termosifoni o della sicurezza americana?
Si chiedono consigli a un infante? Lo si consulta devotamente aspettando che dalle sue labbra coli fragrante la sapienza? O forse gli si chiede di che colore desidera il ciuccio, o di che marca preferisce i pannolini?
Magari qualcuno ha visto un neonato decidere se la sera preferisce la poppata classica o un buon latte vaccino… Certo, i bambini più piccoli sono e più li si coccola e li si circonda di attenzioni; ma è proprio perché un bambino è l’ultimo di tutti, non può far nulla da solo. Indipendenza? Zero. Autodeterminazione? Non pervenuta.
Mettiamo ora questi esempi in ordine e applichiamoli alla nostra vita. Va bene anche quella passata, dove le ingiustizie e le umiliazioni si sono di certo sprecate. Ma sarebbe meglio quella di oggi, perché è oggi che celebriamo l’Epifania. Pensi ancora che quel Bambino sia fonte di gioia e consolazione?
Guarda bene, ripensa al mobbing in ufficio, ai permessi negati, alle ferie saltate. Oppure pensa all’ultimo incarico che ti ha dato il Vescovo, tu che pensavi a quella parrocchia in centro dopo tanti anni di periferia, e ti ritrovi in campagna a benedire le mucche.
Pensa agli insulti di tua figlia che non ti sopporta: più sei dolce e comprensivo con lei, più ti vomita in faccia rancore o ti seppellisce nella totale indifferenza. Pensa alla solitudine, dopo anni di onorato servizio, figli e nipoti ti hanno bannato dall’agenda. Natale e Pasqua giusto per dovere, ma poi lunghe ore di lunghi giorni di malinconica solitudine.
E questo cancro che ti sta facendo neonato? Omogeneizzati e chemio, i capelli radi come quando sei nato, debole, fragile, impaurito, bisognoso di tutto, e l’orgoglio frantumato nell’incontinenza.
E’ gioia tutto questo? Perché il Natale ci annuncia questa gioia, non altre! Dio che si fa uomo per prendere la carne degli ultimi, della spazzatura del mondo. Dei peccatori. Perché diciamolo, e riconosciamolo, all’ultimo posto ci ritroviamo tutti innanzitutto a causa dei nostri peccati. Eravamo stati creati per essere i primi, alla destra di Dio, immagine del suo splendore, somiglianza della sua bellezza.
E invece l’inganno del serpente ci ha sbattuti quaggiù, in fondo, sepolti dal dolore e dall’ira, dalla frustrazione e dall’insoddisfazione. Ebbene, esattamente dove siamo è sceso Dio, lo hai visto? Forse no, è impossibile per la nostra carne credere che Dio, il Creatore, l’Altissimo, l’Onnipotente, si sia infilato in questa mia carne ferita, fetida, ribelle, vinta.
Per questo continuiamo a rifiutare di umiliarci dinanzi al fratello. Non ci inchiniamo, no! In Chiesa davanti al Bambinello del presepio sì, ma in casa di fronte alla suocera o alla nuora? Nemmeno se mi puntano una pistola alla tempia.
Questo significa essere ancora dei pagani, come i Magi! E quindi essere dentro alla Parola di questa Solennità. Se siamo qui ad ascoltare il Vangelo e la predicazione, se andiamo a messa, se ci fermiamo a pregare e nel cuore qualcosa ci dice che così come stiamo vivendo non va bene, allora significa che siamo in cammino come i Magi, anche loro inquieti e insoddisfatti.
Altrimenti, così ricchi e sapienti com’erano, chi glielo avrebbe fatto fare di uscire e incamminarsi per un viaggio così precario, seguendo una stella che appare e scompare, senza neanche immaginare la meta.
Avevano visto la stella di un altro Re, uno che doveva aver innescato in loro la speranza di sperimentare finalmente la pienezza che non avevano raggiunto. La “gioia” che il potere e i beni non gli avevano recato. Una stella e un Re, dunque, più importante di loro, tanto da muoversi per “venire ad adorarlo”.
Come noi  che abbiamo ricevuto un annuncio come una stella brillante di luce nella mostra vita. E abbiamo creduto, e ci siamo messi in cammino nella Chiesa. Ma ora forse abbiamo smesso di ascoltare, o forse è stato Dio stesso a nascondersi, per amore nostro.  
Sappiamo, come i Magi, di essere vicini alla felicità, ma…. Siamo peccatori, orgogliosi e testardi. Ebbene, oggi di nuovo brilla la stella, proprio sopra il Bambino! C’è ancora misericordia per noi, Dio non si è stancato!
Ancora brilla la luce della sua Parola ad annunciarmi che Dio si sta facendo carne in me oggi, ora! E’ questa la fonte della gioia incontenibile. Senza di essa che ridesta il desiderio di convertirci e diventare i figli per cui siamo stati creati, non entreremo mai nella “casa”, nella comunità cristiana per imparare ad inginocchiarci davanti a Dio incarnato nella nostra vita e nei fratelli.
Allora coraggio, ascoltiamo il vangelo, camminiamo nella fede e guardiamo in alto, dove splende la stella di Gesù e di ciascuno di noi. E lasciamo che la gioia per la pazienza infinita di Dio ci conduca giorno dopo giorno ai piedi della mangiatoia dove, in ginocchio, accogliere il suo amore.

*

L’Epifania, manifestazione dell’anti-regalità di Gesù

Commento al Vangelodi ENZO BIANCHI

Alla nascita e alla morte di Gesù risuona per lui lo stesso titolo, “Re dei giudei”. Alla nascita – è il testo che oggi la liturgia ci propone – lo dicono i magi e lo ripetono gli scribi ed Erode; alla morte lo fa scrivere Pilato su un cartello (cf. Mc 15,26 e par.; Gv 19,19), lo usano i soldati per schernirlo (cf. Mc 15,18; Mt 27,29; Gv 19,3), lo leggono tutti i presenti all’esecuzione barbara della crocifissione (cf. Gv 19,20). Alla nascita e sotto la croce vi è la stessa rivelazione: l’umanità è una nella ricerca di Dio e nel ripudio di Dio, o meglio nel credere al bene con speranza oppure nel non credere al bene, preferendo la violenza, il male.
Dunque il vangelo dell’Epifania, della manifestazione dell’identità di Gesù alle genti, a quelli che non erano ebrei, figli di Israele, è un vangelo decisivo, che dà alla festa odierna un particolare significato: Gesù è nato Re dei giudei, ma per tutti, e tutti possono andare a lui. In questo racconto di Matteo c’è la storia, ma c’è anche una lettura che l’evangelista fa nella fede. Nasce un bambino in una semplice famiglia formata da un artigiano, Giuseppe, e dalla sua giovane moglie, Maria; nasce in una stalla, riparo per il gregge nella campagna di Betlemme, eppure alcuni uomini da lontano, dall’oriente, o meglio dalla loro sapienza orientata, nella loro ricerca sono portati a vedere in questa semplice nascita il compimento del loro cercare, la pienezza della loro sapienza. Tutti gli umani di ogni tempo e cultura, infatti, hanno in comune soprattutto la ricerca del bene, anche se poi contraddicono questo loro desiderio così impegnativo. In ogni essere umano c’è un anelito al bene, alla vita piena, alla pace, e questo fuoco che abita gli umani li spinge a cercare, a mettersi in cammino, a dichiarare per loro insufficiente la terra che abitano, l’orizzonte consueto. Per questo cammino gli umani cercano e trovano come segnali ciò che possono: il cielo, la terra, il mare e anche le creature animate e inanimate con le quali sanno comunicare.
In quel lungo pellegrinaggio, soprattutto della mente e del cuore, alcuni sapienti, i magi, hanno guardato alle stelle, alla sabbia del deserto, alle bestie che cavalcavano, al bagaglio che trasportavano con sé, per vivere e per fare doni. Per chi scruta l’orizzonte sempre sorge una stella, sempre – come dice il nostro brano evangelico – c’è un oriente, un alzarsi, che invita al cammino. E così è avvenuto per quei mágoi, che dall’oriente (apò anatolôn) giungono a Gerusalemme, la città santa, l’ombelico del mondo (cf. Sal 48,3; cf. Ez 5,5; 38,12). Essi chiedono: “Dov’è il Re dei giudei che è nato?”, proprio ai giudei che non si erano accorti della nascita del loro Re. Non se n’era accorto il re che regnava in quel momento, Erode, non se n’erano accorti i sacerdoti e neppure gli esperti delle sante Scritture, gli scribi. Ecco lo scandalo: chi è deputato a conoscere e a osservare ciò che accade non sa, chi è capace di interpretare puntualmente le Scritture in riferimento al Re dei giudei lo annuncia con chiarezza e certezza, eppure in una situazione di radicale accecamento. È così, e ancora oggi avviene così: si possono conoscere le parole di Dio contenute nelle Scritture, si possono citare e spiegare con competenza, si possono addirittura insegnare agli altri, eppure, nel contempo, restare in una situazione di totale cecità o sordità, manifestazioni della sklerokardía, della callosità del cuore…
Questa venuta dei magi causa però inquietudine, turbamento da parte dei rappresentanti del potere politico e di tutta Gerusalemme, perché quando il potere ne vede sorgere un altro teme e trema, sentendosi minacciato. Da quell’ora l’inquietudine e il turbamento non cesseranno, fino al giorno in cui questo Re dei giudei che è nato sarà finito per sempre, rivestito di un manto di porpora, con una canna come scettro in mano, con una corona di spine sulla testa, deriso, sbeffeggiato e infine appeso nudo a un palo, la croce!
Eppure quei sapienti obbedienti alle Scritture dei giudei, anzi ri-orientati dalle Scritture, riescono nuovamente a vedere la stella, che li conduce fino al bambino Re Messia, a Betlemme, dove trovano ciò che cercavano ma che certamente non si aspettavano così: non una reggia, non una corte regale in festa, non lo sfarzo degno della nascita di un principe, ma semplicemente un bambino e sua madre. Contemplano non quello che avevano tanto atteso e cercato, ma altro. E come convertiti, mutati nella loro mente e nel loro cuore, riconoscono la regalità nell’anti-regalità, la regalità potente e universale nella debolezza umana, in un infante incapace di parlare e di essere eloquente con la parola. Eppure i magi capiscono, giungono alla fede, pur non avendo né la rivelazione né le sante Scritture; e non a caso Matteo annota che fanno ritorno al loro paese attraverso un altro cammino, cioè un altro modo di pensare e di vivere.
Così avviene la rivelazione, per i giudei e per le genti: solo guardando alla debolezza di Gesù, al suo essere piccolo, si può comprendere la sua vera regalità, la sua vera identità, non plasmata in base alle immagini dei re e dei potenti di questo mondo. Per altre strade gli altri vangeli diranno la stessa cosa: contemplazione (theoría) di Gesù è il vederlo crocifisso (cf. Lc 23,48); visione di Gesù è il vederlo come seme caduto a terra (cf. Gv 12,24). Quei magi, convertiti alla vista del bambino in quella povera famiglia, in quella greppia, adorano, si prostrano e gli offrono in dono oro, incenso e mirra, prodotti preziosi dell’oriente, elaborati dalla cultura delle genti. Ciò che Gesù risorto potrà dire ai discepoli – “Andate e fate discepole tutte le genti” (Mt 28,19) – ha qui la sua primizia. Le genti divengono discepole quando cercano con sincerità, si aprono con audacia e si mettono in cammino senza indugio.
Quanti uomini e quante donne, dall’oriente e dall’occidente, dal nord e dal sud, come questi magi cercano il bene, si sentono viandanti, in cammino, si esercitano a riconoscere la salvezza come umanizzazione e lavorano perché l’umano sia sempre più umano. Lo sappiano o meno, sono persone alle quali ogni bambino che nasce, ogni umano che viene al mondo appare con la dignità di un re; appare come un fratello o una sorella che attende da noi il nostro oro (ciò che abbiamo), il nostro incenso (il profumo sprigionato dalla nostra presenza), la nostra mirra (ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per l’altro).
L’Epifania è manifestazione della vera regalità a tutti, cristiani e non cristiani. Ma ormai ci incamminiamo verso la Pasqua, come ricorda l’indizione della data di questa festa delle feste, che oggi viene fatta nelle chiese d’oriente e d’occidente: la Pasqua, quando il Re dei giudei farà la fine di chiunque osa pensare e mettere in pratica una regalità come servizio dell’altro e non come potere violento. Ma l’ultima parola spetta a Dio, al Dio di Gesù!

*
Origini e valore della ricorrenza che ci apprestiamo a celebrare

C’è un dibattito in corso, su chi fossero i Magi. Il Vangelo di Matteo parla di alcuni Magi venuti da Oriente con la probabilità che fossero sacerdoti persiani. Per molti credenti non cambia nulla se fossero Re o no, rimane il dubbio sul perchè queste persone andarono a cercare la nascita di quel bambino. E sul perché riveste così tanta importanza quell'evento, a tal punto che la Chiesa cattolica lo fa assurgere ad una delle massime festività celebrate.
Il tema è stato approfondito dal professor Pier Luigi Guiducci, Docente di Storia della Chiesa presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense).
***
Nel secondo capitolo del Vangelo di Matteo (1-12) viene descritta una visita particolare. Tre persone, definite “Magi”  entrano nella casa ove si trova il Bambino Gesù. L’autore sacro colloca l’episodio in un contesto più ampio (che coinvolge Erode), descrive la presenza di una stella, informa sulla presenza di un angelo. Davanti a tale testo, lo storico  rimane anche colpito da tre dati: “videro”, “si prostrarono”, “adorarono”.
“Videro il bambino”
Perché i Magi volevano “vedere” il Bambino? Davanti a tale interrogativo sono state fornite più ipotesi. Un percorso di risposta può essere costruito partendo dall’iniziativa stessa  dei Magi (dal persiano antico magush).
Quest’ultimi non erano re. E non è detto che erano tre (il calcolo si è basato nei secoli facendo riferimento ai tre doni che offrirono). L’evangelista, inoltre, tace sui nomi. Si trattava di studiosi che, probabilmente, vivevano in aree geografiche ove era diffuso un insegnamento religioso  legato alla figura di Ahura Mazdā. Questo, era   il nome dato -  in determinate terre dell’oriente -  all'unico Dio, creatore del mondo sensibile e di quello sovrasensibile.
In tale contesto, è interessante ricordare che nel Mazdeismo venivano attribuiti diversi titoli all’ente supremo: “Io sono”, “il Pastore”, “il Forte”, “la perfetta santità”, “Creatore di cose buone”, “Intelletto e divina saggezza”, “Colui che ha comprensione”…(cfr. vv. 7-8 dello “Yašt  ad Ahura Mazdā”, contenuto nella Khordah Avestā).
A questo punto, si comprende che esisteva un itinerario di ricerca religiosa.  Tale movimento si basava sui “semina Verbi” (Dio Padre e Creatore aiuta i suoi figli ovunque questi vivono), e sullo sforzo della ragione umana. In quest’ultimo impegno si “leggevano" anche gli aspetti della natura (incluse le realtà astrali), tentando di individuare dei segni, dei messaggi, delle indicazioni.
Dal “messaggio” si passava all’osservazione diretta. Quindi, l’espressione “videro il bambino” è significativa perché sta a indicare che non si è più sul piano della teoria ma che si è entrati in una dimensione di “vissuto”, di “esperienza” (quindi = di testimonianza).
“Si prostrarono”
L’atto del prostrarsi manifesta, prima di tutto, rispetto. Negli usi orientali (recepiti poi anche in occidente) poteva prostrarsi solo chi era  “libero” (lo  schiavo non si prostrava  ma si distendeva a terra o si inginocchiava con il capo completamente chino).
Prostrarsi, quindi, assumeva valore dal fatto che chi aveva un ruolo sociale manifestava un’attenzione all’altro non di maniera, non di occasione. In pratica, si “riconosceva” all’altro una “significatività”, un “valore”. Nel caso del racconto dell’Epifania, per i Magi il valore da riconoscere fu costituito dalla “vita”. Chi nasce “comunica” un proprio esistere ma anche un’origine sulla quale le menti umane del tempo cercavano di riflettere.
“Adorarono”
L’adorazione, nell’uso dei Magi, non è da confondere con l’atto di riconoscere in Gesù Bambino il Figlio di Dio. Anche se in determinati momenti non si può mai escludere a priori un’illuminazione divina, si può pensare comunque a un atto che supera l’ossequio (legato anche al fatto che in quel momento i Magi, essendo entrati in un’abitazione privata, erano diventati automaticamente “ospiti”). 
C’è quindi una ritualità che l’evangelista non riporta nel suo testo, ma che si può estrapolare da altre fonti del tempo. Il sapiente prima chinava il capo (la mente, l’intelligenza, che rispetta la “novità”), poi  manifestava un movimento di mano fino a toccarsi la fronte (non era solo il saluto orientale, ma esprimeva l’importanza attribuita alla realtà che si stava avvicinando), e - in ultimo - avveniva un tipo di piegamento del busto a metà (nel senso di riconoscere quasi una parità). In tale contesto, l’offerta del dono è da leggere più come un dato simbolico che reale.
Difficilmente dei Magi erano detentori di particolari ricchezze. Essi distribuivano, dove andavano, delle materie (di valore) segno (in genere in polvere). Si può ipotizzare che, forse, in presenza di un nucleo famigliare ospitato provvisoriamente in un ambiente di proprietà di terzi, i Magi possono aver lasciato un qualche bene monetario per l’assistenza al Bambino.
La Chiesa e l’Epifania
Nel contesto descritto, i Padri della Chiesa e gli scrittori cristiani individuarono subito la “chiave di lettura” dell’episodio descritto da Matteo: Gesù si manifesta a tutti. Ogni nazionalismo è superato. Si è voluto, di conseguenza, individuare nell’Epifania una festa liturgica. In oriente, tale memoria si riconduceva al rito di purificazione nelle acque del Giordano al quale partecipò anche Gesù. In occidente, la festa servì a ricordare  il festino di Cana di Galilea, ma anche la visita dei Magi. Quest’ultimo racconto ebbe alla fine una centralità-chiave.
Zenit