martedì 5 gennaio 2016

L’avvenimento cristiano com-porta valori

crocifisso-family-day-2015di Andreas Hofer
Nel continuo dibattito intraecclesiale circa le “tematiche essenziali” sembra talvolta che si tratteggino dinamiche analoghe a quelle tra interventisti e non interventisti alla vigilia di una guerra. Sarebbe una visione ben riduttiva. Bisogna invece ricordare che quel cristianesimo che non si propone, anzitutto, come un sistema etico, ne porta però in sé il bagaglio, e feconda la società.
Sempre più spesso capita di imbattersi in pensieri come questo: la crescente diffusione del same-sex marriage va considerata un segno dei tempi. C’è un’analogia, si dice, tra la condizione del cristiano nel mondo antico e la situazione presente. In entrambi i casi siamo di fronte a una società estranea alla mentalità cristiana e al suo influsso nel costume, nella cultura, nel diritto. E allora anche la risposta dovrà essere la medesima. Occorrerà dunque, sull’esempio dei cristiani dell’antichità, testimoniare la gioia della conversione. Dallo slancio dell’incontro personale con Cristo discenderanno un radicale cambiamento di mentalità (metànoia) e uno stile di vita rinnovato. In fin dei conti il cristianesimo è prima di tutto “avvenimento” e non un insieme di “valori”. Solo grazie alla conversione individuale sarà dunque possibile influenzare dal basso società e nazioni, plasmandone valori e norme. E come allora, anche oggi sarà necessario esaminare tutto e “ritenere ciò che è buono”.
In altre parole, si tratta della riaffermazione di quello che Maritain chiamava «primato dello spirituale». E questo nessuno si sogna di negarlo. Tutti sappiamo che esistono ordini di realtà più elevati. Ma siamo sicuri che avere il primato equivalga ad avere sempre la priorità? Davvero i problemi più elevati sono anche i più urgenti?
La vita è fatta (anche) di priorità
Un simile argomento, ci pare di poter dire, pecca di soprannaturalismo. Più che un principio codificato, il soprannaturalismo è una mentalità che porta a svalorizzare tutto quel che è mondano, spazio-temporale e storico. Per il soprannaturalista ha valore solo la dimensione soprannaturale. Per lui conta soltanto la grazia, non la natura.
Si potrebbe obiettare al soprannaturalismo e al suo sottile disprezzo per la materia che le cause supreme, dal punto di vista esistenziale, sembrano essere subordinate alle circostanze. Dare soddisfazione ai bisogni impellenti del corpo richiede talora di accantonare le esigenze superiori — ma assai meno urgenti — dello spirito.
Anche il corpo ha le sue ragioni, che lo spirito non può ignorare. La preghiera, che alimenta la vita dello spirito, è sicuramente una attività di ordine più elevato rispetto alla nutrizione, che alimenta la vita del corpo. Ma qual è quel genitore così irresponsabile da privare un bimbo del pasto prolungando per un tempo indefinito il momento della preghiera? E quale sadico superiore si sognerebbe mai di negare a un religioso di interrompere la preghiera per placare un bisogno fisiologico?
È cosa nota: la cura cristiana per la materia ha sempre scandalizzato intere legioni di gnostici e di manichei. Romano Guardini arriva a dire che «non è con lo spirito, bensì con la materia che l’amore di Dio si rivela in maniera netta e definitiva. In maniera indicibile, misteriosa e legata alla sua onnipotenza, Dio non può non amare la materia».
Il teologo italo-germanico esprime una profonda verità, invisa ai puristi d’ogni tempo. Certo: la vita animata è per essenza più nobile della materia inanimata. Ma senza la materia non vi sarebbe nemmeno la vita degli organismi. Così il pensiero è d’essenza più nobile della vita. Ma all’infuori degli angeli non si dà intelligenza che non sia legata a un corpo sensibile. E l’ordine della grazia non è incomparabilmente superiore a quello della natura? È indubbio, ma la grazia ha pur sempre bisogno di una natura su cui innestarsi. Da qui il principio elementare della teologia cattolica, per la quale la fede cristiana non attecchisce nel vuoto: la grazia perfeziona la natura, ma non la abolisce.
L’esistenza delle realtà superiori, quaggiù sulla terra, dipende da quelle inferiori. Un umorista ha tradotto in maniera efficace questo paradosso: «la rosa ha bisogno del terriccio, ma il terriccio non ha bisogno della rosa». Solo i fiori artificiali possono fare a meno del terriccio, ma unicamente perché non hanno né linfa né radici…
«Salviamo l’uomo!»
La vita, come si suole dire, è una questione di priorità. E quali fossero le priorità del nostro tempo lo aveva capito anni fa il papa santo Giovanni Paolo II: «In questo inizio del millennio», disse, «salviamo l’uomo!». Proprio così: l’«uomo», non il «cattolico» o il «cristiano».
Era una chiara allusione, quella di papa Wojtyla, alle minacce del tempo presente nei confronti della dignità umana. Un tema ripreso in più occasioni da papa Francesco, che ha deplorato i misfatti di un intero sistema mantenuto dalla cultura dello scarto: un sistema centrato sul denaro, che mira a svincolare ogni attività umana da un legame definito con uno spazio fisico e considera uomini e donne come ingranaggi da sfruttare.
E così si scarta tutto ciò che ostacola questa logica: si scartano i bambini con l’aborto e la manipolazione genetica; si scartano gli anziani con l’eutanasia e l’abbandono; si scartano i giovani lasciandoli nel limbo della disoccupazione; si scartano gli esseri umani con armi sempre più sofisticate e distruttive; si scartano i poveri e gli indigenti relegandoli ai margini della vita sociale. Tra i sottoprodotti della cultura dello scarto papa Bergoglio annovera anche la teoria del gender, «che non riconosce l’ordine della creazione».
C’è una realtà in particolare, ha detto Francesco in Ecuador, che si oppone naturalmente, istintivamente, al dilagare della cultura dello scarto. Si tratta della famiglia, luogo della donazione e del servizio. Al suo interno i deboli vengono accolti e trovano riparo; è la famiglia il vero rifugio per i poveri, per gli ammalati, per gli anziani e i bambini.
È una logica radicalmente opposta alla cultura dello scarto. C’è da stupirsi allora che anche la famiglia sia presentata come un arnese sgangherato e inservibile, da scartare? E che questo progetto si avvalga di leggi che mirano — facendosi scudo magari del richiamo ai “diritti” —  a snaturarla?
Avvenimento e valori
Il cardinale Biffi, deceduto nel luglio del 2015, ha descritto questo attacco con parole di adamantina chiarezza: «Oggi è in atto la più grave aggressione della storia all’avvenimento cristiano, ai valori cristiani, al patrimonio essenziale cristiano. Solo delle anime eccezionalmente candide o eccezionalmente sciocche possono negarlo o non riconoscerlo. E questa aggressione trova uno dei principali bersagli proprio nella famiglia. Così implicitamente riconosce nella famiglia il carattere centrale e determinante della visione evangelica, e noi siamo di fronte a questa aggressività. La famiglia oggi è attaccata da tutte le parti: dalle leggi, che invece di favorirne la stabilità propiziano la disgregazione; dagli spettacoli, che spesso la irridono; da alcuni operatori sociali, che sembrano prenderci gusto a colpevolizzarla; dal costume, che pare non considerarla più un valore essenziale. L’uomo sta allegramente segando il ramo su cui è seduto».
Quanto al presunto dualismo tra “avvenimento” e “valori”, il cardinale faceva osservare che «è indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni altra cosa “avvenimento”; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento propone e sostiene dei «valori» irrinunciabili. Certo non si può, per amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori autentici, quasi fossero qualcosa di trascurabile». Il solito et-et, dunque: avvenimento e valori essenziali.
Quelle discutibili analogie con l’antichità…
L’aggressione antifamilistica costituisce una sfida inedita, per qualità e quantità, e sarebbe superficiale considerarla analoga alle minacce che la Chiesa dovette fronteggiare nel mondo antico. La situazione odierna sotto diversi aspetti non è per nulla paragonabile a quella dell’antichità.
Lo scarto tra paganesimo antico e il neopaganesimo attuale è stato colto appieno da Gustave Thibon. Basta rileggere i testi cristiani delle età passato, dice il filosofo-contadino, per constatare «una certa mancanza di attenzione nei confronti delle realtà naturali: una tale omissione era normale, giacché la natura allora, come un corpo in buona salute, non aveva bisogno che ci si preoccupasse per lei. Peggio ancora: una tale indifferenza si mutava spesso in disprezzo o avversione. Ed anche questo era normale: le più sane realtà naturali (senso della famiglia, della patria, dell’onore, ecc…) erano allora così chiuse in sé stesse, così portate ad ergersi a idoli ed a velare Dio, che meritavano di essere umiliate in quel modo, affinché la grazia potesse innestarsi sulla loro durezza ferita».
Stride pertanto lo stretto parallelo tra il paganesimo antico e quello moderno. Alcuni esempi banali sembrano confermarlo. Nel mondo romano l’autorità del pater familias rasentava l’onnipotenza. Oggi c’è un consenso unanime sul fatto che l’autorità del pater familias sia degradata al limite dell’insignificanza. Nel mondo antico la famiglia era tutto, l’individuo nulla. Nel nostro mondo, all’opposto, la famiglia è in via di dissoluzione e l’individuo è tutto.
La natura umana, nel mondo antico, era troppo chiusa in se stessa e andava come “forzata” per permettere l’irruzione imprevedibile della grazia (l’«avvenimento cristiano», avrebbe detto don Giussani).
Oggi all’opposto la natura umana appare piuttosto in stato di putrefazione e la famiglia come una istituzione in decadenza. È dunque da sostenere, tonificare, puntellare. Perché se è vero che una natura troppo rigida può schermare dalla grazia è altrettanto vero che senza la natura la grazia non si innesta nemmeno. Péguy diceva che i santi cristiani non sono degli allucinati o dei pazzi: «Noi non andiamo a cercare i nostri santi negli ospedali psichiatrici».
Un conto è avere a che fare con una natura fossilizzata, un altro è avere a che fare con un’anti-natura. Il paganesimo antico era a-cristiano, ma non irreligioso, mentre il neopaganesimo contemporaneo è anti-cristiano e profondamente irreligioso. Una differenza non di poco conto.
Qualche cosa da accogliere, qualche cosa da lasciar cadere
I cristiani dell’antichità non si trovarono di fronte al nulla religioso. Sul niente dell’anti-natura non è possibile edificare alcunché. Il cristianesimo si volle innestare anche sul tronco antico della cultura greco-romana, ma una tale eredità non fu accettata senza beneficio d’inventario. Diceva Jean Daniélou che l’opera missionaria consiste in una specie di «raddrizzamento del senso religioso per dargli un oggetto vero».
In ogni religione non-cristiana convivono poli contraddittori: un aspetto di preparazione al cristianesimo, che dispone ad accogliere la fede cristiana, e un aspetto che ostacola il Vangelo, una potenza del male che mantiene le anime nell’errore e resiste. Trapiantare il Vangelo in quelle anime e in quelle culture diverse richiede di redimere la potenza maligna allignante al loro interno. Esige una paziente opera di perfezionamento, di purificazione e filtraggio. C’è qualcosa da accogliere (il bene) e qualcosa da lasciar cadere (il male). È così che apologisti come San Giustino si rivolgono ai loro contemporanei dicendo che Platone ha preparato Cristo, che la Sibilla e Virgilio l’hanno annunciato e conosciuto in anticipo. Allo stesso tempo la coscienza cristiana condanna con parole inequivoche quelle forme di sacrificio umano che erano i giochi gladiatori. Per Minucio Felice i giochi sono «scuola di omicidio». E anche Sant’Agostino deplora l’insana follia e la passione per simili atrocità, così come Tertulliano.
La spiritualità missionaria, che deve essere una spiritualità d’incarnazione, deve sfuggire una duplice tentazione. Non deve lasciarsi andare alla tentazione di vedere solamente il male né abbandonarsi a quell’eccessivo ottimismo che inclina a far vedere solamente il bene.
Inutile voler costruire senza aver prima consolidato le fondamenta
Oggi non assistiamo solo al tentativo di sovvertire la concezione di famiglia. Anche la nozione stessa di essere umano risulta sempre più indefinita e indefinibile. Allo stato attuale la natura umana è scricchiolante e sotto attacco. Siamo nel pieno di un processo di dissoluzione.
Occorre dunque far tesoro dell’avvertimento di Thibon. La grazia ha bisogno della natura, e pertanto «non serve a nulla tentare di costruire su di lei, se al tempo stesso non si lavora per consolidare le sue fondamenta». Il ritorno a Cristo non può prescindere dal ritorno al reale.
(Apparso, con qualche lieve variazione, su La Croce Quotidiano del 14 luglio 2015)