martedì 5 gennaio 2016

L’eccezione italiana, di cui parlava Giovanni Paolo II

family
di Eugenia Roccella dal sul suo profilo facebook
Cari amici,
infuria una discussione sul web innescata da un’intervista di Gianluigi De Palo, da poco presidente del Forum delle Associazioni Familiari, a vita.it, in cui dichiara che il Family day del 2007 “è stato uno dei più grandi fallimenti che abbia visto”, e che l’urgenza (e questo mentre nei prossimi giorni si voterà il ddl Cirinnà sulle unioni civili al Senato) è il quoziente familiare. Ci sono stati molti commenti in disaccordo sulla sua pagina facebook, e alcuni interventi interessanti, tra cui quello di Francesco Agnoli e di Assuntina Morresi .
Questo è quello che penso io:
Caro De Palo, come portavoce del Family day del 2007, quello promosso proprio dal Forum delle famiglie, anch’io non ho dubbi, ma ho giudizi e ricordi diversi dai tuoi. Ci siamo conosciuti proprio in quell’occasione: e l’occasione erano i Dico, le unioni civili fatte dal governo Prodi, non il quoziente familiare, battaglia di equità fiscale importante, ma che non avrebbe dato origine a una manifestazione oceanica. I cattolici non sarebbero scesi, e non scenderebbero, in piazza con tanta convinzione e in così grande numero per abbassare le tasse a chi ha figli: lo hanno fatto, invece, anche il 20 giugno scorso, per ricordare che “siamo tutti figli di un uomo e una donna”, e che la famiglia, come dice la nostra costituzione, è “la società naturale fondata sul matrimonio”. I soldi sono importanti, ma non mobilitano le coscienze, e soprattutto il popolo cristiano sa che la crisi della denatalità non coincide con quella della famiglia.
Come ha scritto autorevolmente Navarro Valls, oggi esiste una polarizzazione tra due modelli, la famiglia senza figli (p.es. la Cina) e i figli senza famiglia (Valls ha portato ad esempio proprio la tanto osannata Francia). Cioè ci sono paesi in cui la natalità è un po’ più alta che in Italia, ma la famiglia non c’è più, la maggioranza delle madri è single, i matrimoni sono in caduta libera, i divorzi invece si moltiplicano, le convivenze non durano, gli aborti salgono insieme all’uso di pillole e contraccettivi, e così via. L’Italia, su TUTTI QUESTI DATI (matrimoni, divorzi, madri single, uso di contraccettivi ecc) sta meglio, anche se rispetto a solo dieci anni fa le cose sono fortemente peggiorate.
La Francia ha il quoziente familiare e un welfare molto generoso per chi ha figli, ma il tasso di natalità differisce dal nostro solo per un misero 0.5, ed è sotto il livello di sostituzione, cioè la percentuale che garantisce almeno la stabilità demografica (che è 2.1 figli per donna). Tutti noi sappiamo che l’Italia faceva tanti figli proprio quando era povera, magari dilaniata dalla guerra civile, o sotto le bombe degli alleati, e che la natalità è scesa, come in tutta Europa, proprio una volta raggiunto un buon livello diffuso di vita. Il continente con la più alta percentuale di figli è l’Africa, non certo un modello di benessere economico, e tantomeno di equità fiscale. Questo non vuol dire che non bisogna lottare per avere il quoziente o meglio il “fattore famiglia”: vuol dire soltanto che natalità e famiglia nel mondo occidentale non sono più ambiti sovrapponibili (è proprio questo il problema!), e che non si può sostituire la questione antropologica con quella fiscale. La prima è fondante per l’essere umano, la seconda no. Su una cosa hai ragione: non possiamo stare in porta a parare i rigori, quindi bisogna invadere il campo e attaccare sul piano culturale, difendere con coraggio le nostre idee, sapendo che ormai sono controcorrente e che chi le propone è isolato, e possibilmente silenziato, anche in parlamento. Per questo serve che restiamo uniti, nel solco del magistero della Chiesa, ricordando che ormai, in tutta l’Europa, resta solo l’Italia senza il matrimonio gay (in Germania c’è ma semplicemente non si chiama matrimonio) e che la Cirinnà è esattamente un simil-matrimonio, che abbia o no la stepchild adoption.
Giovanni Paolo II parlava di “eccezione italiana”: è questo che dobbiamo difendere, senza prendere a modello altri paesi europei, dove il disastro della famiglia è molto più avanzato che da noi.