sabato 10 agosto 2013

La speranza dentro un vaso di coccio



di Claudio Magris
in “Corriere della Sera” del 10 agosto 2013
«Tutti noi siamo vasi d'argilla, fragili e poveri, ma nei quali c'è il tesoro immenso che portiamo». 
Papa Francesco
@Pontifex 
Anche in questa frase, come in altre del Papa, sorprendenti e mai eclatanti, colpisce la tranquillità 
— e dunque la forza — con cui vengono messe a nudo debolezze fondamentali e inquietanti della 
vita, della condizione umana, della situazione mondiale, della Chiesa. 
Francesco sta mettendo in moto — con la semplicità di chi fa un lavoro necessario, difficile ma non 
drammatico — cambiamenti epocali, ma lo fa senza alcun pathos progressista e senza ansie 
tormentate. Sarà difficile, proprio per il modo in cui le compie, che le sue trasformazioni possano 
scatenare l'enfasi scandalizzata degli avversari del Concilio o i dubbi tremebondi e amletici di 
anime belle timorose delle conseguenze di ogni passo ardito.
Il suo stile disarma a priori tali resistenze. Se fosse stato Papa quando i due astronauti sovietici 
primi pionieri dello spazio dichiararono pateticamente di non aver visto Dio, Francesco non avrebbe
probabilmente reagito con l'accorata tristezza di Paolo VI, ma avrebbe magari mandato un 
telegramma per ringraziarli di averlo rassicurato, visto che sarebbe stato imbarazzante se quei due 
avessero veduto Dio che invece non si era mai fatto vedere direttamente dal Papa e se Dio fosse 
visibile lassù — o laggiù, si fa per dire — piuttosto che dalle nostre parti. In questo senso Francesco
si è rivelato, finora, straordinariamente atto a reggere il tremendo peso che porta; un vero grande 
leader «semplice come una colomba e astuto come un serpente», come esorta il Vangelo e come 
dovrebbe essere ogni capo e, prima ancora, ogni uomo. C'è una grande ironia cristiana e Francesco 
ne è maestro.
Siamo tutti vasi di coccio, ha ricordato, sapendo di esserlo anche lui. Non è una cosa da niente, 
perché il coccio si rompe facilmente e le occasioni di urto con oggetti duri e contundenti sono tante.
Ma il tono con cui lo dice, privo di ogni retorico ottimismo, aiuta a continuare il nostro bizzarro 
cammino senza preoccuparsi troppo delle botte che si ricevono e senza rovinarsi l'esistenza con la 
continua paura del finale in cui andiamo in pezzi. E questo perché le sue parole fanno sentire 
concretamente l'infinito significato e valore che c'è in ogni precario vaso di coccio, in ognuno di 
noi, e che il patatrac finale non vanifica. Sono verità che sono già state dette e che conosciamo, ma 
che hanno bisogno di essere ridette con forza e originalità per non spegnersi, così come c'è bisogno 
che una vera poesia ogni tanto ci faccia scoprire nuovamente il colore dell'alba o del mare.
Naturalmente il Papa sa bene che alcuni — molti — vasi di coccio sono più fragili di altri e si 
rompono troppo presto; l'astuzia cristiana del serpente è necessaria ai vasi più fragili anche per 
allenarsi a scansare ove possibile i colpi fatali, magari a mettersi insieme per dare un buon colpo a 
qualche prepotente vaso di ferro che così impara ad andare in pezzi anche lui. Con quell'immagine, 
di per sé volutamente non originale, Francesco spariglia, senza drammi, ancora una volta il gioco.