mercoledì 14 agosto 2013

Se cattolico non significa romano o latino




Missione e ricchezza delle Chiese greco-cattoliche.

(Roberto Giraldo) Con il Vaticano II la Chiesa cattolica romana comincia a guardare all’Oriente con prospettive diverse dalle precedenti. E questo, sia per quanto riguarda le Chiese ortodosse, considerate ora come vere Chiese (cfr. Unitatis redintegratio, 15), sia per le Chiese cattoliche orientali di cui si apprezza tutto il patrimonio. A esse si riconosce sia la pari dignità con la Chiesa cattolica romana, sia il diritto e l’obbligo di reggersi secondo le loro tradizionali discipline in vista del bene dei fedeli. Lo afferma con molta chiarezza e forza il testo del decreto sulle Chiese orientali cattoliche del concilio Vaticano II, al fine di riscoprire in tutta la sua bellezza la dimensione della cattolicità, nota peculiare della Chiesa di Dio, e la missione delle Chiese cattoliche orientali.
Si dà particolare risalto alla diversità in quanto diventa fattore specifico che manifesta l’unità della Chiesa: senza varietà di tradizioni, non si potrebbe parlare di unità o comunione, ma solo di uniformità. Allo stesso modo, se le Chiese non godessero di pari dignità, non si potrebbe parlare di comunione, ma semmai di sottomissione. È stata anche la perdita di tensione tra unità e diversità ad allontanare l’Oriente dall’Occidente. Come logica conseguenza del modo nuovo di concepire tanto la diversità vista ora come ricchezza, quanto la comunione tra la Chiese che non esige più l’uniformità, viene riconosciuto a più riprese alle Chiese orientali «il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari». In aggiunta, ai cattolici orientali viene affidato «lo speciale ufficio di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto sull’ecumenismo. «Alle Chiese orientali che sono in comunione con la sede apostolica romana compete lo speciale compito di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto “sull’ecumenismo” promulgato da questo santo concilio, in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi» (Orientalium ecclesiarum, 9).
Credo che sia più che spontaneo, viste le relazioni tra greco-cattolici e ortodossi, specie in Romania e in Ucraina, chiedersi in che cosa consista esattamente la missione dei cattolici orientali nei confronti dei cristiani ortodossi che male sopportano la presenza nei loro territori di Chiese greco¬cattoliche. A parte tutti i contenziosi presenti, gli ortodossi temono che si tratti sempre della stessa idea di fondo: quella di attirare cristiani ortodossi nelle Chiese cattoliche orientali. Così, quella ch’era forse l’idea che i cattolici orientali diventassero una specie di ponte per un più fruttuoso dialogo con i cristiani ortodossi, si rivelò quanto mai inopportuna tanto da avere trasformato la questione delle chiese greco-cattoliche in un muro ancora invalicabile e in una pietra d’inciampo che ha fatto spesso arrestare il dialogo fra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa. Tutto poi è andato peggiorando in seguito al crollo del comunismo nei Paesi dell’Est: la rinascita delle Chiese greco-cattoliche — con tutti i problemi che comporta — e un certo atteggiamento missionario-proselitista della Chiesa cattolica romana nei Paesi di tradizione ortodossa hanno reso il dialogo realmente difficile. Forse è proprio quest’ultimo atteggiamento a dare all’idea di ponte una connotazione peggiorativa. Ma se per ora è molto difficile per i greco-cattolici dialogare e farsi accettare dagli ortodossi, penso ch’essi abbiano un compito importante con i cattolici latini.
Premesso che si deve rifuggire dal proselitismo nei confronti della Chiesa ortodossa, c’è tutto un lavoro da fare, sia tra ortodossi che tra cattolici latini, perché venga riconosciuta la dignità, la fedeltà alle tradizioni, il forte legame di comunione con Roma delle Chiese greco-cattoliche e sia promossa una più profonda conoscenza di ciò che sono e rappresentano. Tralasciando di cercare risposte nella complessa storia passata, guardiamo invece all’insegnamento odierno che dovrebbe aiutarci tanto nella nostra azione quanto nel processo di conversione continua a cui tutti siamo chiamati. «Certo allo sguardo odierno appare che una vera unione era possibile solo nel pieno rispetto dell’altrui dignità, senza ritenere che il complesso degli usi e consuetudini della Chiesa latina fosse più completo o più adatto a mostrare la pienezza della retta dottrina: ed ancora che tale unione doveva essere preceduta da una coscienza di comunione che permeasse tutta la Chiesa e non si limitasse a un accordo tra vertici. Oggi siamo coscienti — e lo si è più volte riaffermato — che l’unità si realizzerà come e quando il Signore vorrà, e che essa richiederà l’apporto della sensibilità e la creatività dell’amore, forse anche andando oltre le forme già storicamente sperimentate» (Giovanni Paolo II, Orientale lumen).
Ho riportato tutta questa lunga citazione per evidenziare la necessità e anche la direzione per una giusta crescita sia della Chiesa cattolica romana, sia di quella greco-cattolica se davvero vuole ritrovare la sua identità e in questo dare un significativo contributo alla crescita della Chiesa in se stessa, specie alla sua «cattolicità». L’unione con la Chiesa di Roma non deve comportare per le Chiese cattoliche orientali «una diminuzione nella coscienza della propria autenticità e originalità». Queste devono permanere sempre intatte. Non sono infatti precisate delle condizioni secondo le quali esse possano essere in qualche modo intaccate. Anzi, se queste Chiese non potessero secondo le loro discipline particolari, ne andrebbe della loro identità. Ne soffrirebbe anche la loro azione pastorale con grave detrimento dei loro fedeli.
Di qui il richiamo alla conversione: mentre le Chiese orientali cattoliche devono adoperarsi soprattutto per la promozione d’una sempre migliore comprensione con le Chiese ortodosse, la Chiesa di Roma è chiamata al rispetto e alla valorizzazione della dignità delle Chiese orientali. Al di là delle dichiarazioni di principio, c’è sempre bisogno di favorire una concezione più organica di Chiesa dove “cattolico” non significhi “romano o latino” e dove l’unità non comporti l’eliminazione di differenti modalità di vivere la fede cristiana tanto nella liturgia, quanto anche nella organizzazione e nella disciplina. Riguardo ai problemi e alle ricerche relative al papato, le Chiese cattoliche orientali potrebbero offrire un contributo sia al chiarimento del rapporto tra il primato universale del Papa, la collegialità dei vescovi e la stessa conciliarità o sinodalità della Chiesa, sia all’articolazione della comunione tra Chiese locali-particolari e Chiesa universale.
Dovremmo prestare più attenzione a quei documenti del magistero che sottolineano l’indispensabilità del reciproco rapporto tra Chiesa particolare-locale e Chiesa universale proprio nell’interesse che ogni Chiesa salvi quel patrimonio peculiare che permette alla Chiesa cattolica di diventare veramente tale. Sono i vari volti che danno volto alla Chiesa.
È necessario, innanzitutto, rifarsi alla propria storia considerandone tutti gli aspetti e i risvolti, compresi quelli legati al tempo, ai fattori sociali, politici e religiosi che hanno portato a pensare all’unione senza tralasciare la coscienza ecclesiologica allora imperante. La conoscenza della storia può condurre alla riscoperta della propria identità che ora si deve ulteriormente rafforzare all’interno sia della diaspora, sia del più vasto orizzonte ecumenico e in un clima che apprezza e stima come un bene lo sforzo d’inculturazione. La dimensione e la consistenza d’una Chiesa locale o particolare si gioca proprio nel suo essere apportatrice d’uno specifico vissuto che viene a rappresentare una ricchezza per tutta la Chiesa che ha bisogno della voce delle Chiese cattoliche orientali così ricche di tesori tipici.
Più l’identità è ricca e più si può prestare a realizzare comunione, a creare ampi spazi di dialogo e a favorire la comprensione di tradizioni diverse con tutti i suoi elementi. È questo il caso, a esempio, della Chiesa greco-cattolica romena che vanta, oltre la latinità, la tradizione bizantina, l’insegnamento dei padri, l’unione con la Sede Apostolica e lo stigma delle persecuzioni del XX secolo. La specifica identità di ogni Chiesa particolare è di massimo aiuto alla “conversione” della Chiesa romana che ha, appunto, nella cattolicità la sua vocazione. Questa non si potrà mai realizzare pienamente se non si avvererà un reale scambio tra Chiese particolari e Chiesa universale. Pertanto, se alla luce dell’ecclesiologia di comunione e del riconoscimento delle Chiese orientali come Chiese sorelle, non è pensabile un rilancio dell’uniatismo, come metodo, è però doveroso un atteggiamento che renda giustizia alle Chiese greco-cattoliche per la dignità e il rispetto che meritano. Va precisato, inoltre, che l’unione della Chiesa greco-cattolica romena si è realizzata secondo il modello dell’unità nella diversità. È quindi modello di comunione e non metodo di unione che ha altre discutibili connotazioni. Solo in questa prospettiva le Chiese cattoliche orientali potranno contribuire — direttamente per la Chiesa latina e solo in un secondo momento e indirettamente per le Chiese ortodosse — alla crescita d’una Chiesa più “cattolica” e a quella del dialogo ecumenico.
Come cattolici, infatti, in molte nazioni dobbiamo crescere sul fatto che ci sono modalità diverse di vivere il cattolicesimo. Se riusciamo ad apprezzare e capire la tradizione orientale delle nostre Chiese cattoliche, ci sarà più agevole aprirci e accogliere l’ortodossia con tutta la sua diversità e ricchezza. Ponte, inoltre, lo possono e lo debbono essere richiamando tutti al rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa. È tempo di dire basta a ogni forma di violenza, sia a quella che vuole imporre loro un modello o un altro di Chiesa, o a quella che in nome d’un principio etnico e religioso rende straniere certe minoranze.
L'Osservatore Romano