sabato 21 giugno 2014

Domenica del Corpus Domini 2014


Antimension. Corporale della Chiesa Ortodossa

DOMENICA DOPO LA TRINITA' 
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO  
Anno A - Solennità 

Nella Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai discepoli:
 “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”.

Alla celebrazione del Dio Uno e Trino, di Dio mistero di Unità e di Amore, risponde oggi la Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, del dono totale che il Figlio fa di se stesso, lasciando che il suo Corpo sia spezzato per la nostra salvezza e il suo Sangue versato per renderci partecipi della vita eterna. Il Figlio porta sulla terra la festa dell’amore trinitario e ne fa dono all’uomo. “Il suo corpo arso d’amore - sulla mensa è pane vivo; - il suo sangue sull’altare - calice del nuovo patto”, canta l’inno dei Vespri del tempo pasquale. Oggi il Signore ci dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo dono divino ha il potere di trasformare anche noi in “dono” gradito a Dio e utile ai fratelli (Da un’antica preghiera di Ordinazione presbiterale). C’è una riflessione molto bella di Ratzinger a questo proposito: «Il dono unico che Dio aspetta, l’unica cosa che non è ancora sua, è la nostra libertà, è la risposta del nostro amore. Dio ha creato un mondo libero, ha creato la libertà, ha creato così la possibilità di dire “sì” o “no”, come possibilità di fare un dono libero a Dio. L’unico e vero sacrificio può quindi essere soltanto il nostro “sì”, la gioia di essere uniti con Dio nell’amore […] un mondo umanizzato, un mondo nel quale l’amore è il segno di tutto, sarà il vero sacrificio. Con questo amore, nel quale Dio si dona e diventa dono per noi, noi possiamo essere transustanziati con Lui e trasformati in amore con un “sì” libero» (J. Ratzinger, Il centro delle Liturgia cristiana, “Terra ambrosiana”, 46, 2005, p. 20: citato da A. Lameri, Liturgia, Assisi 2013, pp. 49-50).


(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)


MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 80,17
Il Signore ha nutrito il suo popolo
con fior di frumento,
lo ha saziato di miele della roccia.

 
Colletta

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, f
a' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu sei Dio...

 
Oppure:

Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene: f
a' che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  Dt 8, 2-3. 14b-16a
Ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto.
 

Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 147
Loda il Signore, Gerusalemme. 
 

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.


Seconda Lettura  1 Cor 10, 16-17

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo. 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai CorìnziFratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

 
SEQUENZA
 
[ Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.
 
    Lauda Sion Salvatorem,
    lauda ducem et pastorem,
    in hymnis et canticis.
 
Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno. 

    Quantum potes, tantum aude:
    quia major omni laude,
    nec laudare sufficis,

Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
 
    laudis thema specialis,
    panis vivus et vitalis
    hodie proponitur.

Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
 
   Quem in sacræ mensæ coenæ,
    turbæ fractrum duodenæ
    datum non ambigitur.

Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito. 

    Sit laus plena, sit sonora,
    sit jucunda, sit decora
    mentis jubilatio.

Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.

    Dies enim solemnis agitur,
    in qua mensæ prima recolitur
    Hujus institutio.

E il banchetto del nuovo Re,
nuova, Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine. 

    In hac mensa novi Regis,
    novum Pascha novæ legis,
       phase vetus terminat.

Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra. 
   
    Vetustatem novitas,
    umbram fugat veritas,
    noctem lux eliminat.

Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo,
 
    Quod in coena Christus gessit,
    faciendum hoc expressit
    in sui memoriam.

Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza. 

    Docti sacris institutis,
    panem, vinum in salutis
    consecramus hostiam.

È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino. 

    Dogma datur christianis,
    Quod in carnem transit panis,
       Et vinum in sanguinem.

Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura. 

    Quod non capis, quod non vides,
    animosa firmat fides,
    Præter rerum ordinem.

È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero 

realtà sublimi.

      Sub diversis speciebus,
   signis tantum, et non rebus,
      latent res eximiæ.
 
Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
 
    Caro cibus, sanguis potus:
    manet tamen Christus totus
       sub utraque specie.
 
Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
 
    A sumente non concisus,
    non confractus, non divisus:
    integer accipitur.

Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato. 

    Sumit unus, sumunt mille:
    quantum isti, tantum ille:
    Nec sumptus consumitur.
 
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
 
    Sumunt boni, sumunt mali:
    sorte tamen inæquali,
    
vitæ vel interitus.

Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l'esito! 

    Mors est malis, vita bonis:
    Vide paris sumptionis
    quam sit dispar exitus.

Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell'intero. 

    Fracto demum sacramento,
    ne vacille, sed memento
    tantum esse sub fragmento,

È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito 

della sua persona. 
]

    Quantum tot tegitur.
    Nulla rei fit scissura:
    Signi tantum fit fractura,
    qua nec status, nec statura       
    signati minuitur.

Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.

    Ecce Panis Angelorum,
    factus cibus viatorum:
    vere panis flliorum,
    non mittendus canibus.
 
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri. 

    In figuris præsignatur,
    cuni Isaac immolatur,
    Agnus Paschæ deputatur,
    datur manna patribus.

Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi. 

    Bone pastor, panis vere,
    Jesu, nostri miserere:
    Tu nos pasce, nos tuere,
    tu nos bona fac videre
    in terra viventium.

Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo 

nella gioia dei tuoi santi.

 
    Tu qui cuncta seis et vales,
    qui nos pascis hic mortales:
    Tuos ibi commensales,
    coheredes et sodales
    fac sanctorum civium.
      Amen. (Alleluia).
  
Canto al Vangelo
  
Gv 6,51
Alleluia, alleluia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

Alleluia.

   
   
Vangelo  
Gv 6, 51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
 

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
 

*

Contemplare il Corpus Domini, per dissetarsi di Cristo

Commento al Vangelo della domenica del Corpus Domini 2014


Ci troviamo all'epilogo del grande discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao. Alle parole di Gesù i Giudei cominciano a “litigare” tra di loro, secondo l’originale greco reso con “discutere”. Quell'Uomo che si definisce l'unico pane di vita, e indica nella sua stessa carne la vita eterna suscita uno scuotimento interno, e, soprattutto, obbliga a prendere posizione.
Le parole di Gesù urtano con la durezza dei cuori, con l'ostinazione delle menti, con le difese della carne. Ed è un urto violento, che spazza via l’ipocrisia e denuda polverizzando le consuetudini borghesi, le alienazioni, le idolatrie, le false certezze dove l'uomo tenta, goffamente, di installarsi. 
Per questo i Giudei si mettono a litigare: è una forma di difesa, di cercare giustificazioni, come ha fatto il Popolo di Israele nel deserto quando, dopo aver mormorato per la carne, comincia a litigare e ad accusare Mosè reclamando acqua per non morire di sete. Si accapigliano tra loro e se la prendono con il capo in realtà stavano dirigendo i loro strali a Dio. 
Così nel Vangelo. I Giudei litigano tra di loro ma in fondo è la resistenza che oppongono alle parole di Gesù, e a Lui stesso. Sono scandalizzati dalla carne di Gesù. Credono di conoscerlo, lo hanno visto crescere, sanno tutto della sua famiglia, Lui è una storia esattamente uguale alla loro, non può salvarli, quella carne è carne come la loro, non può dare la vita.
I loro occhi, i loro pensieri, i loro cuori si arrestano alla superficie delle cose, come Eva che fu ingannata proprio dagli occhi che si fissarono sull'apparenza del frutto, e non ebbero la capacità di trapassarne la buccia. E, come lei che disobbedì a Dio, essi rigettano Gesù.
Appare in filigrana il rifiuto patito dal Signore a Betlemme, dove per Lui non v'era posto in nessun albergo. Quella mangiatoia era una profezia che annunciava il destino e la missione di Gesù: su questa terra, infatti, il Signore non avrebbe avuto un posto dove reclinare il capo, se non sulla Croce e nel sepolcro.
Per questo, nella Solennità del Corpus Domini, la Chiesa presenta il rifiuto patito da Gesù: è la nostra realtà, dalla quale derivano le incomprensioni, le liti, i divorzi, le guerre, l’avidità, l’avarizia e l’egoismo che ci impediscono di donarci e far parte dei nostri beni i poveri e gli stranieri.
E così moriamo nell’orgoglio che lascia fuori Dio e i fratelli. Ma Gesù ci conosce. Sa che soffriamo non perché siamo senza lavoro, o il fidanzato ci ha lasciato, o una malattia ci sta consumando. Queste sono sofferenze che non avrebbero il potere di toglierci la pace. Soffriamo a causa dei nostri peccati, che hanno tutti origine dalla stessa superbia che ha fatto precipitare fuori dal Paradiso Adamo ed Eva e ha fatto dubitare i Giudei sul "come" fosse possibile che Gesù "desse la sua carne da mangiare".
Non avevano compreso che erano affamati perché non avevano più cibo, come il figlio prodigo perduto e morto. Non potevano credere al mistero del "come" in quanto non erano interessati al "perché" Gesù doveva "dare la sua carne". Erano così ingannati e induriti che non pensavano d'aver bisogno di quell'alimento. 
Invece tutti abbiamo bisogno della sua carne, e non c'era che un solo "come" attraverso il quale poteva darcela. Era, infatti, necessario, che il corpo di Gesù, identico a quello di tutti noi piagato dai peccati, fosse ferito e trascinato nella morte per riscattare il nostro e introdurlo nel Paradiso che avevamo perduto.
Ecco perché il corpo del Signore ha dovuto essere adagiato in una mangiatoia nel mezzo di una stalla sporca e maleodorante. 
Ecco perché la sua carne ha dovuto subire i tormenti della Passione, le trafitture dei chiodi ed essere appesa su una Croce, il supplizio peggiore che ci fosse. 
Ecco perché il suo corpo ha dovuto essere disteso in un sepolcro nuovo, dove nessuno era stato mai sepolto. Ecco perché ha dovuto essere chiuso nel buio senza speranza dietro a una pietra.
Per questo Gesù risponde ai Giudei affermando che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue offerti per il perdono dei peccati, non può avere in sé la vita. Chi resta ancorato ai propri schemi, chi si chiude ostinatamente alla grazia non si accorge di quello che è celato sotto le apparenze, non vede e non riconosce nei segni ciò che vi è significato e non può accogliere il perdono.
Per questo Gesù dirà che i padri hanno mangiato la manna ma sono morti, hanno cioè continuato a mormorare e non sono entrati nella Terra Promessa. La manna era solo una profezia di quello che Dio avrebbe donato, un segno che, nella marcia attraverso il deserto delle tentazioni, avrebbe provveduto in modo definitivo, compiendo quanto quel frumento sceso dal Cielo stava annunciando.
Nella morte a causa dei peccati, Dio avrebbe deposto una rugiada di perdono. Nella carne Dio avrebbe seminato la vita che non muore. Dio avrebbe visitato di nuovo il mondo, avrebbe compiuto con la Pasqua del suo Figlio la liberazione di ogni uomo dalla schiavitù del peccato. 
Sì, Dio avrebbe liberato i suoi figli dalla prigione della carne, avrebbe aperto i loro occhi sulla verità, il suo amore infinito celato in ogni istante della storia, come Lui si sarebbe nascosto nella carne del Figlio "inviato" per mostrare come si "vive per mezzo del Padre".
Anche Gesù, infatti, ha vissuto nella carne grazie alla vita divina. Il suo corpo l'ha custodita sin sulla Croce, sin dentro alla tomba, per lasciarla esplodere vittoriosa sulla morte. Per questo nel Corpus Domini, nella carne di Cristo, s'è compiuta la vera e definitiva liberazione. 
Ad essa ogni figlio di Adamo può attingere per "vivere per mezzo di Gesù" e non vedersi più morire. In Lui si realizza l'esodo definitivo: dall'Egitto che tutti sperimentiamo, dove siamo obbligati a fabbricare mattoni per issare piramidi al nostro ego, senza accorgerci che sono invece i sepolcri dove seppelliamo la felicità, nutrendoci della sua carne e del suo sangue, siamo condotti alla terra della libertà, dove scorrono il latte e il miele dell'amore e della comunione, con Dio e i fratelli. 
La carne di Gesù è il pane della fretta, dell’urgenza della salvezza del tuo matrimonio, dei tuoi figli, di ogni uomo. La carne di Gesù è quella dell'Agnello offerto in riscatto per i peccati. 
Il suo sangue è quello dell'Agnello che ha protetto i figli di Israele dall'angelo della morte, e ora è sparso sugli stipiti delle porte delle nostre case, delle nostre menti, dei nostri cuori, per difenderci dagli attacchi del demonio. Il sangue di Gesù è il frutto delizioso del Regno eterno, la sua primizia che gustano i figli della Chiesa, il segno della gioia che sperimentano coloro che sono risorti con Cristo. 
Per questo la carne e il sangue di Gesù sono alimento e bevanda veri, degni di fede; attendono solo il nostro Amen. Non hanno bisogno di spot pubblicitari, perché la tua vita salvata e gioiosa pur nelle difficoltà ne è l’immagine più credibile. La vita dei cristiani che, nutrendosi del corpo e sangue di Cristo, sono trasformati in Lui.
Celebrare e contemplare oggi il Corpus Domini è, concretamente, sfamarsi e dissetarsi di Cristo, per sperimentare di non avere più fame di affetto e stima, di soldi e idoli, né sete di lodi e attenzioni. Nel Corpo del Signore siamo attratti e saziati per dimorare in Lui, e, con Lui, dimorare in Dio. 
L’eucarestia ci spinge ad aprirci al Mistero celato in Gesù, per accoglierlo umilmente e imparare così a dimorare, istante dopo istante, nel cuore di Dio. Come Giovanni , il discepolo amato, “colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Dante, Paradiso, XXV, 112-114).
Abbandonati al petto squarciato per amore di Gesù, possiamo nasconderci nelle sue ferite quando imperversa la battaglia con la concupiscenza e le tentazioni, e discernere, da quelle profondità d’amore, in ogni uomo, anche nel nemico, anche nel più grande peccatore, i lineamenti inconfondibili del Signore. Dal Mistero di Gesù al mistero celato in ogni uomo, anche questo ci annuncia la Solennità che celebriamo. 
Allora, dimorando in Lui, non potremo resistere al fuoco dello zelo che ha infiammato il cuore di Gesù. Anche il nostro corpo, come il suo, arderà di gelosia per ogni pecora perduta, il coniuge, il figlio, l’amico, il collega, il vicino di casa. E per loro saliremo ogni giorno sulla Croce con Cristo per entrare, insieme a chi ci è accanto, nella vita eterna.
Ma se il suo Corpo che oggi celebriamo solennemente siamo noi, se lo lo è la sua Chiesa, allora significa che anche la nostra povera e debole carne, il nostro sangue immagine della nostra vita troppe volte perduta in passioni effimere, sono presi dalle mani di Gesù e trasformati, per mezzo dello Spirito Santo, nella sua carne e nel suo corpo.
Significa che ogni giorno siamo anche noi adagiati sull’antimension, il corporale usato dalla Chiesa ortodossa sul quale è ricamata la deposizione di Gesù, fatto di puro lino perché, come dicevano i Padri, il lino viene dalla terra come la tomba del Signore. Anche oggi saremo deposti nelle mani dei fratelli, anch’essi fatti di terra e caduti nel sepolcro, perché nelle nostre attitudini, nelle parole e nei gesti, possano riconoscere il corpo del Signore deposto nella loro vita. Anche per noi è preparato un tabernacolo dove dimorare con il Signore e vivere per Lui nella storia di ogni giorno. In essa vi è un’altare sul quale è pronto un ostensorio dove essere crocifissi con Cristo, perché, come accadde a Santo Stefano, chi ci guarda possa vedere in noi gli angeli che, offrendo il proprio corpo divenuto una sola carne con Cristo, annunciano l’amore di Dio. 
Contempliamo e adoriamo il Corpus Domini allora, e vi troveremo la nostra vita: quella passata redenta, quella presente e quella futura come un dono d’amore per ogni uomo.