domenica 29 giugno 2014

Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario


Il sogno di Giacobbe
In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.

 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 8, 18-22)

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Gesù ci "ordina" oggi perentoriamente di "passare all’altra riva", per entrare nella Pasqua (passaggio). Gesù ci "spinge" oggi a lasciarci attirare nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Quello che abbiamo dentro, dunque, è molto più di un desiderio, è un "ordine" del Signore, l'eco della "chiamata" che ci ha tratto all'esistenza, l'annuncio nel quale viviamo, esistiamo, siamo. Il "senso" profondo della nostra vita, ovvero la "direzione" che dà consistenza e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa "passare all’altra riva", ogni giorno. Passare all’altra riva è l’unico modo di seguire il Signore. Lui non ci offre un cuscino dove riposare, alienazioni come ce ne propone il mondo. Con Lui non si scappa dalla realtà per nascondersi nelle "tane" delle "volpi", supponendo stoltamente che la nostra astuzia ci possa preservare dal fallimento e dalle delusioni; si cammina nella storia, i piedi ben piantati in terra, non si vola come "gli uccelli" verso "nidi" di fantasie sognate nel mondo virtuale di internet, degli astrologi, degli acquisti a rate e con carta di credito. Cristo ha pagato cash: infatti, "non ha dove reclinare il capo", e lo farà solo sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere e salvare ogni uomo, rivelandoci che, se crocifisso, ogni istante della vita è operoso e fecondo. Il Signore chiama per condurci al vero riposo, quello del seme che, caduto in terra, muore per non restare solo e dare molto frutto. Il riposo che inizia qui sulla terra nell'amore che dimentica se stesso, prende la Croce d’ogni giorno e "segue" il Signore ovunque, perché in ogni luogo c'è qualcuno che aspetta la sua salvezza. Quando Gesù passa e chiama, il tempo si ferma, ed è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lasciamo raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l'esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione, ogni situazione che sembrava spacciata, non potrà "seguire il Maestro ovunque vada"; non ha i parametri per ascoltare e obbedire, la carne ha altri criteri e cerca sempre e solo il proprio interesse e la propria soddisfazione. Negli "ovunque" di Gesù, spazi e momenti di puro amore, vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore si scioglieranno come neve al sole. Solo chi vive del suo amore può "seguire" Gesù "ovunque", "lasciando che i morti seppelliscano i propri morti", che significa consegnare fiducioso a Lui le situazioni irrisolte della propria storia. Spesso neanche i rapporti più santi, come quelli familiari o di una comunità religiosa, possono offrire un "luogo dove reclinare il capo". E non c'è nulla da fare, anzi; più si tenta di "seppellire i morti", ovvero più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese, e più queste si moltiplicano. In questi casi, e sono la quasi totalità, occorre solo rientrare in se stessi, ricordare di non essere migliori di nessuno, accettare che la carne esiste ed è forte, quando soggiogata dal demonio; e "seguire il Signore", per "reclinare il capo", ovvero i pensieri e le angustie, gli tsunami della carne i desideri e le speranze, sul legno della Croce. E, crocifissi con Lui per amore dell'altro, sino a lasciargli intatta tutta la sua libertà, "passare" al Cielo, perché solo da lassù si vedono con chiarezza le cose di quaggiù. Amare, senza se e senza ma, perché solo nell'amore vi è il riposo, che abbraccia l'altro così com'è, senza esigenza, anche se non cambierà mai. Solo in questo amore si può trovare pace, proprio lì, nella realtà. E non si tratta di superficialità, di rassegnazione e di cinismo; è amore, amore purissimo che si dona senza riserve e senza sperare nulla per sé, sia pure umanamente legittimo; che si offre in silenzio, muto come Gesù nella Passione, per non sporcare la purezza dell'amore di Dio, solo perché l'altro possa percepirne, nella libertà di rifiutarlo, almeno un frammento. E' ovvio che Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari e accompagnarli sino alla morte, anzi. Ma di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. Quando, per amore a Cristo e al Vangelo - e quindi per amore vero e celeste alla carne della propria carne - il coltello affonda la lama per circoncidere il cuore: anche questo è il momento dell'amore più puro, che si fa crocifiggere per non barattare la propria salvezza e quella dell'altro con un po' d'affetto e consolazioni umane. Seguire Gesù è , infatti, molto di più che seppellire i morti; è l'esatto contrario: è camminare nella morte per giungere alla vita e tirar fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo. Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia prendendo su di noi l'incomprensione, il rifiuto e i peccati degli altri, dando così compimento a ogni relazione; l'amore, infatti, non si limita alle pur dovute e desiderate attenzioni; esso va ben oltre il "minimo sindacale" del "religiosamente corretto". La vita cristiana è "seguire" l'Amato nelle ore infinite di "straordinario" spese per ascoltare e correggere un figlio, per accollarsi silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, per amare la suocera o la nuora così come sono, per compiere cioè il Discorso della Montagna; e per annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Questi sono gli straordinari di un amore straordinario, che non ha altro stipendio in terra che la gioia del Cielo, che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all'amore di Dio. Per questo, come Giacobbe, siamo chiamati a "posare il capo" su di una pietra, nel luogo di Dio: istante dopo istante,  famiglia, lavoro, scuola, i "luoghi" che ci attendono "seguendo" il Signore, divengono le "porte del Cielo": “Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, nella quale freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, delle difficoltà con i figli e i genitori, dei sacrifici per non restare invischiati nell'egoismo; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono si "trasformano in un letto e un cuscino" dove riposare dalle sterili fatiche della carne. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Come non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, così non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento, un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, non accompagna all'eutanasia e non abortisce persone, relazioni ed eventi; non è un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo segue ovunque, perché, risvegliatosi con Lui dal sonno della morte, sa che ogni "luogo" è "la casa di Dio, una porta sul Cielo". Dio farà di lui e della sua storia una benedizione "per tutte le famiglie della terra", perché "sarà con lui e lo guarderà ovunque andrà e non lo abbandonerà prima di aver compiuto ogni sua promessa" (Cfr. Gen 28,10-19). E proprio questo era il desiderio dello scriba, simile al nostro celato in tutto quello che pensiamo e facciamo: stare con Gesù per sempre. Ma esso è il frutto dell’esser "passati all’altra riva", sorge dall'esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, camminando sereni nella precarietà, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo.