giovedì 26 giugno 2014

Mendel e le origini della meteorologia



Lazzaro-Spallanzani
da F. Agnoli
…Quale dunque, questo legame tra gli interessi meteorologici di Mendel e la storia della Chiesa? Li mette in luce, tra gli altri, lo storico della meteorologia Luigi Iafrate, allorché ricorda da una parte l’interesse di tanti padri della Chiesa per questa materia (compresa la bella intuizione di sant’Agostino secondo cui la densità dell’aria diminuisce all’aumentare della quota), e dall’altra che però la meteorologia fu per secoli fondata, in Occidente, sui Meteorologica di Aristotele, finché l’ipse dixit del grande filosofo greco non fu contraddetto, nel XIII, da personalità
di ecclesiastici come Sant’Alberto Magno, San Tommaso, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo e Ristoro d’Arezzo (tutti impegnati nel liberare la meteorologia dagli antichi miti della personalizzazione dei fenomeni atmosferici). Sant’Alberto, per citarne solo uno, contraddicendo lo Stagirita, dimostrò che l’aria ha un peso e che ha “la capacità di sollevarsi” in funzione della temperatura. Inoltre si cimentò in esperimenti sul peso e sul sollevamento dell’aria e cercò di “stabilire, nientemeno, che una scala di correlazione tra il calore posseduto dall’aria (‘leggerezza’) e la ‘capacità’ della stessa di sollevarsi. Va da sé, dunque, che non è affatto azzardato riconoscere in Alberto Magno anche il precursore dell’aerostatica” (la scienza che studia l’equilibrio dei velivoli più leggerei dell’aria), insieme a Ruggero Bacone, e, molto più avanti, al sacerdote gesuita Francesco Lana de Terzi .
Parimenti opera di un religioso -continua Iafrate-, il reverendo inglese William Merle (XIV secolo), per la precisione, sono anche, a quanto ci risulta, le prime registrazioni meteorologiche giornaliere che la storia ricordi. Dal gennaio 1337 al gennaio 1344, infatti, padre Merle, ogni giorno, dal villaggio inglese di Driby (Lincolnshire), osservava e annotava in un apposito registro il tempo che faceva”.
La storia continua: la paternità del primo strumento per misurare l’umidità dell’aria, cioè l’igroscopio, è contesa tra il cardinale Niccolò Cusano ed il noto ecclesiastico, e grande artista, Leon Battista Alberti, cui è attribuito anche il primo strumento per misurare la velocità del vento: l’anemometro (1450). Quanto al primo anemoscopio moderno, per indicare la direzione di provenienza del vento, il primo a proporlo fu ancora una volta un italiano ed un ecclesiastico, il domenicano Egnazio Danti (1536-1586).
Benedetto_Castelli

Ideatore del primo pluviometro (utilizzato poi anche come evaporimetro), fu il  monaco benedettino padre Benedetto Castelli, che lo descrisse in una lettera del 1639 all’amico Galilei del 18 giugno 1639: “Preso un vaso di vetro, di forma cilindrica, alto un palmo in circa e largo mezzo palmo, notai diligentemente il segno dell’altezza dell’acqua del vaso, e poi l’esposi all’aria aperta a ricevere l’acqua della pioggia, che ci cascava dentro…”.
Fu invece un discepolo dello stesso Castelli, Evangelista Torricelli, ad inventare il “tubo di Torricelli”, definito poi “barometro” dal Mariotte, e a descrivere lo strumento al sacerdote e matematico Michelangelo Ricci, anch’egli allievo del Castelli e collaboratore del Torricelli, in una celeberrima lettera dell’ 11 giugno 1644. Sarebbero stati il religioso appartenente all’ordine dei minimi, Martin Mersenne, corrispondente del Torricelli, a far conoscere la sua scoperta fuori d’Italia, mentre sia pluviometro che barometro ebbero tra i primi estimatori il già citato monaco francese, fisico e botanico, Edmè Mariotte, uno dei fondatori della fisica sperimentale in Francia (autore del celebre Sur la nature de l’air, 1676).
Mariotte, abate e priore di Saint-Martin-sous-Beaune, presso Digione, molto attivo nel campo della meteorologia e nell’indagare la relazione tra pressione barometrica e piovosità, ripeté, introducendovi nuove osservazioni, gli esperimenti di idrostatica e di idraulica di E. Torricelli (Traité du mouvement des eaux, postumo, 1686), ed è noto soprattutto per aver dato il nome alla legge sui gas detta di Boyle-Mariotte (che gli permise di utilizzare il barometro per calcolare l’altitudine).
Fu invece nel 1654 che il Granduca di Toscana Ferdinando II istituì la prima rete meteorologica al mondo. Nel periodo compreso fra il 1654 e il 1667 il monaco Vallombrosano Luigi Antinori coordinò infatti una rete meteorologica comprendente stazioni di rilevamento italiane e straniere. Si tratta del primo tentativo di raccolta sistematica di dati osservativi descrittivi e strumentali provenienti da luoghi geografici diversi – come Vallombrosa, presso Firenze, Varsavia, Innsbruck – tramite l’utilizzazione di strumenti omogenei e l’adozione di procedure di rilevamento uniformi.
Anche dopo quest’epoca pionieristica, il mondo ecclesiastico continuò a dare contributi essenziali al campo della meteorologia. Ricordiamo almeno, per l’Italia, il padre Giuseppe Toaldo (1719-1797) e il padre Giuseppe Piazzi (1746-1826), importanti astronomi del Settecento, cui dobbiamo la nascita degli osservatori astronomici di Padova, Capodimonte e Palermo. Il Toaldo, autore de La meteorologia applicata all’agricoltura, “riuscì a creare in Italia una vera e propria rete meteorologica estesa dalle Alpi ai paesi più meridionali della penisola” con ben sessanta osservatori . Ricordiamo poi l’abate Felice Fontana (1729-1805), inventore di un barometrografo, e, soprattutto il padre gesuita Angelo Secchi e il suo allievo, il padre barnabita Francesco Denza, veri e propri maestri della meteorologia italiana, ed inventori di pluviometri di successo.
PietroASecchi

Al primo, padre Angelo Secchi, dobbiamo “il primo nucleo di servizi meteorologici di Stato” al mondo e il “primo servizio moderno per le previsioni del tempo”. Scrive Iafrate che il Secchi, che è considerato anche il padre della spettroscopia e uno dei fondatori dell’astrofisica, “in qualità di direttore dell’Osservatorio astronomico e meteorologico del Collegio Romano, riuscì a farsi approvare dall’allora Governo Pontificio, un progetto che prevedeva l’istituzione di un Servizio di previsioni esteso all’intero territorio della Chiesa. Assai sensibile alla questione, Sua Santità Pio IX decise di finanziare personalmente l’impresa, e così già nel 1855, padre Secchi organizzò una corrispondenza telegrafica giornaliera di osservazioni meteorologiche tra le stazioni di Roma, Ancona, Bologna e Ferrara, ponendo di fatto le basi del primo servizio meteorologico moderno. Essendo lo Stato pontificio bagnato da due mari, una rapida comunicazione delle condizioni atmosferiche dall’una all’altra costa appariva della massima importanza per la prevenzione, nella costa opposta, degli eventuali danni connessi con l’arrivo di taluni sistemi perturbati…Dunque le quattro stazioni menzionate si scambiavano reciprocamente i dati. Lo facevano ogni giorno e si trattava di osservazioni sincrone. Preavvisi di tempesta erano frattanto formulati dall’Osservatorio del Collegio Romano a cura dello stesso Secchi, per essere tempestivamente diramate alle stazioni di Bologna, Ancona e Ferrara, dove venivano poi rielaborati per esigenze prognostiche locali”.
Ogni giorno le stazioni, tutte dotate di telegrafo, si scambiavano dunque “le osservazioni della pressione, della temperatura, dell’umidità, del vento e dello stato generale dell’atmosfera, allo scopo di trarne indizi utili per la previsione delle tempeste”. Per il Secchi, infatti, “la scienza è vana se non è utile, e la meteorologia è fortunatamente di quelle scienze da cui l’umanità può ricevere grandi ed utili servigi”; e aggiungeva: “i nostri avvisi delle lontane burrasche hanno più volte impedito de’ disastri a Civitavecchia e al litorale nostro”…