venerdì 24 ottobre 2014

Parla B-XVI




I tre messaggi di Benedetto, «monaco in clausura»


Negli ultimi giorni per tre volte il Papa emerito è tornato a parlare per ricordare che «annunciamo Gesù Cristo non per procurare alla nostra comunità quanti più membri possibile; e tanto meno per il potere» ma «perché sentiamo di dover trasmettere quella gioia che ci è stata donata». E per manifestare la sua vicinanza ai pellegrini legati al rito antico

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO


Tre messaggi, due specificamente destinati alla pubblicazione e un terzo più privato di sostegno ai fedeli del «Summorum Pontificum» legati al rito antico che in questi giorni a Roma celebrano il loro annuale pellegrinaggio. Joseph Ratzinger, il Papa emerito è tornato a far sentire la sua voce. In particolare per ricordare, con un ampio messaggio rivolto a docenti e studenti della Pontificia Università Urbaniana, che la Chiesa esiste per la missione e che il dialogo tra le religioni non la sostituisce.

Benedetto XVI ha scritto una lettera al delegato generale del pellegrinaggio del «Summorum Pontificum», ringraziandolo per l'invito a essere presente alle celebrazioni in rito antico - il pontificale in San Pietro viene celebrato dal cardinale Leo Raymond Burke - e dicendo: «Sono molto felice che l'Usus antiquus vive adesso in una piena pace della Chiesa, anche presso i giovani, appoggiato e celebrato da grandi cardinali. Spiritualmente sarò con voi. Il mio stato di "monaco in clausura" non mi permette una presenza anche esteriore. Esco dalla mia clausura solo in casi particolari, invitato personalmente dal Papa».

Il Papa emerito aveva poi rivolto un messaggio di saluto al convegno internazionale «Il rispetto per la vita, cammino per la pace», promosso dalla Fondazione Ratzinger, che si è svolto presso la Pontificia Università Bolivariana di Medellín, in Colombia, ricordando che «l’impegno per la pace – così fondamentale in un mondo dilaniato dalla violenza – comincia col rispetto incondizionato della vita dell’uomo, creato secondo l’immagine di Dio e così dotato con una dignità assoluta».

Più articolato infine il messaggio che Benedetto XVI ha inviato all'Urbaniana in occasione della dedicazione al suo nome dell'aula magna ristrutturata. Il Papa emerito si è chiesto se davvero la missione sia ancora attuale, anche perché «oggi in molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà. La questione della verità, quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi». Una concezione che « è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino».

«Per noi cristiani - ha scritto ancora Ratzinger - Gesù Cristo è il Logos di Dio, la luce che ci aiuta a distinguere tra la natura della religione e la sua distorsione. Nel nostro tempo diviene sempre più forte la voce di coloro che vogliono convincerci che la religione come tale è superata. Solo la ragione critica dovrebbe orientare l’agire dell’uomo».

In realtà «anche oggi, in un mondo profondamente mutato, rimane ragionevole il compito di comunicare agli altri il Vangelo di Gesù Cristo». E c’è anche un più semplice «per giustificare oggi questo compito. La gioia esige di essere comunicata. L’amore esige di essere comunicato. La verità esige di essere comunicata. Chi ha ricevuto una grande gioia, non può tenerla semplicemente per sé, deve trasmetterla. Lo stesso vale per il dono dell’amore, per il dono del riconoscimento della verità che si manifesta». «Annunciamo Gesù Cristo non per procurare alla nostra comunità quanti più membri possibile; e tanto meno per il potere. Parliamo di Lui perché sentiamo di dover trasmettere quella gioia che ci è stata donata». Parole che confermano ancora una volta la famosa espressione più volte citata da Papa Francesco: «La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione», e dunque non ha il problema dei numeri, non studia strategie marketing, ma testimonia la bellezza e la pienezza della vita cristiana senza preoccuparsi di conquistare spazi di potere.

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Due papi valgono più di uno. Ratzinger manda un messaggio proselitista e antirelativista

Benedetto XVI, Papa emerito, scende per un attimo dal monte su cui era salito un anno e mezzo fa, come Pietro sul Tabor, e ricorda che rinunciare alla Verità (quella con la V maiuscola) per dedicarsi ex toto corde al dialogo interreligioso nella speranza di realizzare la pace nel mondo è qualcosa di “letale per la fede”. Il proselitismo, dopotutto, ha anche qualcosa di santo, sebbene non sia tenuto in palmo di mano dal Papa regnante. Certo, la chiesa cresce per attrazione come disse ad Aparecida sette anni fa, davanti al cardinal Bergoglio incaricato di preparare il documento della conferenza latinoamericana poi divenuto programma del suo pontificato, ma è anche vero che Cristo “incaricò i suoi apostoli, e tramite loro i discepoli di tutti i tempi, di portare la sua parola sino ai confini della terra e di fare suoi discepoli gli uomini”.  Qualche giorno fa, la Pontificia università Urbaniana ha dedicato al teologo perito del Concilio, nonché prefetto custode della fede e Sommo Pontefice, l’Aula magna. E lui, Benedetto, ha mandato un  messaggio che sa tanto di lezione magistrale imbastita su uno dei terreni che più conosce, quello della Dominus Iesus giubilare, la dichiarazione della congregazione per la Dottrina della fede che scatenò polemiche furibonde fuori e dentro la chiesa, anche da parte di cardinali illustri la cui teologia in ginocchio oggi è pubblicamente lodata.


“Oggi molti sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace”, si legge nel breve benedettiano: “In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che ‘religione’ sia il genere comune, che assume forme differenti a seconda delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà”. Questa “rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo”, ma è “letale per la fede”, che “perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino”. Altro che Dio non cattolico, altro che Onu delle religioni da istituire secondo quanto dicono Zapatero e Peres, subito presi in parola da qualche settore curiale desideroso di novità all’ombra del cupolone. Si stanno eludendo, scrive il Papa emerito,  “le domande fondamentali della fede”, con il rischio di mettere “tra parentesi la questione della verità su Dio”, presupponendo “che sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli”. Dottrina pura, che può anche creare quei “malintesi” che Walter Kasper quindici anni fa annotò metodicamente commentando le proteste di comunità religiose non cattoliche che vedevano spegnersi le fiammelle accese a metà degli anni Ottanta ad Assisi. Non è un caso che i commentatori americani, liberal o conservatori che siano, abbiano letto nel messaggio ratzingeriano un ammonimento severo al proliferare di “idee relativistiche” circa la verità religiosa.

Basta occultare la parola proselitismo, che Francesco definì in una delle sue interviste una “solenne sciocchezza”. Convertire si può e si deve, ma con delicatezza. E qui la dialettica dei due papi risale verso Francesco. Aprire le porte della chiesa, lasciando da parte codicilli e norme, se necessario anche la dottrina che piace tanto agli zelanti e agli intellettualisti bacchettati sabato scorso in chiusura di Sinodo, e guardare di più alle persone, come fece anni fa con una mamma di Buenos Aires che gli parlò del figlio cresciuto nei quartieri degli spacciatori: “Non va a messa”, disse al cardinale Bergoglio secondo quanto scrive Paul Vallely nella biografia del Pontefice regnante “Pope Francis – Untying the Knots”, ampiamente ripresa da Newsweek. E lui, subito, chiese se fosse un bravo ragazzo. “Oh sì, padre Jorge”, rispose lei. “Bene, questo è ciò che conta”, chiuse il discorso il futuro Papa Francesco.