martedì 28 ottobre 2014

Sinodo, un rinnovato sguardo sul mondo.... ma che fatica!



La gioia del Sinodo. La fatica del nuovo

di M. Patriciello
Sarà per la piccolezza delle mie idee, per la mia poca fede o per gli impegni che quotidianamente mi distraggono, ma ho guardato con gioia ai lavori del recente Sinodo e non con l’ansia di chi teme che il castello in cui ha trovato rifugio possa crollare. Ringrazio tutti coloro che si sono impegnati in prima persona per il buon andamento del Sinodo e i sostenitori esterni delle diverse posizioni. Di tutti ho gran rispetto; ne apprezzo la serietà, la fatica, l’amore a Cristo e alla Chiesa. Prego perché si abbia sempre più fiducia nell’unico, vero, protagonista di ogni evento di Chiesa: lo Spirito Santo. I due millenni che ci separano da Cristo ci hanno insegnato tante cose. Noi, oggi, nemmeno riusciamo a immaginare che cosa accadeva a Nicea, nei giorni della proclamazione del dogma della Santissima Trinità. Quante persone, benintenzionate e sante, credettero, in buona fede, che la Chiesa stesse andando incontro all’eresia?

Sovente ci lamentiamo per mancanza di democrazia. Poi, quando anche all’interno della Chiesa si mette in moto un processo diciamo più "democratico" che necessita di studi, preparazione, prese di posizione, confronti – anche aspri – rimaniamo come frastornati. Allora vorremmo rifugiarci nelle antiche certezze che mai furono messe in discussione. Ci preoccupiamo eccessivamente per le sorti della nostra amata Chiesa. Pur senza volerlo, rischiamo di peccare per mancanza di fede e di speranza. Vogliamo ricordare allora – non è mai detto abbastanza – che alla fine l’ultima parola l’avrà Pietro e solamente Pietro? A quella parola tutti: cardinali, laici, vescovi, teologi, preti, ci sottometteremo. Si sottometterà, cioè, la Chiesa. Dobbiamo fare attenzione per non rischiare di peccare di orgoglio. Inutilmente e pericolosamente. Ognuno ha le proprie idee riguardo a tante situazioni importanti su cui si sta discutendo. Eppure bisogna ricordare che la Chiesa che ha proclamato santo padre Pio da Pietrelcina è la stessa che ha innalzato agli onori degli altari Giovanni XXIII: i due non si incontrarono mai, ma si sa che il Papa buono non aveva un giudizio entusiasta del frate cappuccino, altrettanto buono. Bellezza della Chiesa, una nella sua molteplicità di doni e di carismi.

Mi dispiace leggere in questi primi giorni post-sinodali argomentazioni che fanno trasparire ansia e persino paura per il futuro della Chiesa. Non riesco a capire chi o cosa dovremmo temere. Le verità rivelate non potranno essere cambiate, semplicemente perché non sono nostre. Nessuno ne è il padrone, nemmeno il Papa. E lo Spirito di certo veglia su di noi e su di esse. 

Il Sinodo sulla famiglia sente il dovere di leggere i «segni dei tempi»: una categoria del Concilio Vaticano II. Che tanti fratelli abbiano sofferto e pagato un prezzo eccessivo per situazioni "irregolari" non si può negare. La Chiesa vuole farsi prossimo di tutti, anche di quelle persone le cui ferite non potranno mai guarire. Su quelle piaghe, come sulle nostre, intende versare vino e olio. Deve farlo? Certamente, su questo siamo d’accordo tutti. In che modo? Ancora non ci è chiaro. Confessiamo la nostra pochezza e cerchiamo di capirlo con la preghiera, lo studio, il confronto, la fatica del "camminare insieme": il percorso del Sinodo, appunto, che si completerà solo il prossimo anno, insieme allo Spirito Santo e a Pietro, senza il quale non siamo disposti a seguire nemmeno un angelo visto giungere dal cielo.

Ci viene richiesta la virtù della pazienza. Esercitiamola. Con umiltà e fortezza. Rimaniamo uniti a Cristo e a papa Francesco. Intanto, come abbiamo sempre fatto, continuiamo a usare misericordia verso i fratelli e le sorelle in difficoltà, come la Chiesa ci ha sempre comandato. Facciamolo con ancora più disponibilità e comprensione. Anche quando siamo costretti a dire "no, non posso". 

Ricordiamoci che siamo servi, e servi inutili. Rendiamoci disponibili e pronti, intanto, a cambiare se la Chiesa ce lo chiede. Ogni novità costa fatica, lo sappiamo tutti. Nessuno di noi, però, ha necessità di tirare acqua al suo mulino, perché nessuno ne possiede uno. L’unico mulino che ci sta veramente a cuore non è nostro. E il Padrone, meglio di noi, sa come deviare il ruscello per fargli macinare il buon grano, senza mai prosciugare la sorgente.
Avvenire

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Sinodo, un rinnovato sguardo sul mondo
Vatican Insider

(Gilfredo Marengo) I vecchi schemi tradizionalismo-progressismo appaiono logori. Il cammino ecclesiale prende le mosse dall’umile riconoscimento della realtà in cui la Chiesa è chiamata a vivere. Che lo schema tradizionalismo – progressismo non sia uno dei modi (...)

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(Maria Teresa Pontara Pederiva) Iginio Rogger storico e liturgista trentino l’ha insegnato per decenni -- Con l’arguzia che l’ha contraddistinto mons. Iginio Rogger, storico della Chiesa e liturgista scomparso lo scorso febbraio a Trento a 94 anni, in merito alla discussione franca dell’ultimo Sinodo avrebbe colto l’occasione per ricordare ancora una volta come la parresìa (...)

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Dopo il Sinodo, fedeli ancora più confusi
di Giorgio Carbone

Trascorsi dieci giorni dalla chiusura del Sinodo, la disillusione è forte. Le attese di molti si sono infrante. I comunicati e le conferenze stampa avevano alimentato dibattiti e polemiche anche accese. Ma alla fine a una prima impressione sembra che si sia trattato di «una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla» per usare un’espressione di Shakespeare (Macbeth 5,5).
Il Sinodo appena concluso può essere considerato sotto molti punti di vista. Mi limito brevemente a considerarne solo due. Il primo, il fenomeno Sinodo, cioè la manifestazione esterna che del Sinodo è stata prodotta da alcuni membri e da parte della stampa. Il secondo aspetto è il Sinodo dei documenti, cioè il dato oggettivo del testo finale, la Relatio Synodi.
Sotto il primo aspetto, cioè il fenomeno Sinodo, bisogna rilevare che l’assemblea sinodale è stata caricata di aspettative. Alcuni hanno parlato del Sinodo come di una sorta di Concilio ecumenico. Altri hanno accostato Giovanni XXIII e la convocazione del Concilio ecumenico Vaticano II a papa Francesco e al Sinodo sulla famiglia appena concluso. Ma inevitabilmente tutte queste aspettative si sono presto scontrate con la realtà. Si sono rivelate esorbitanti e infondate perché come stabilisce il Codice di diritto canonico: «Spetta al Sinodo dei vescovi discutere sulle questioni proposte ed esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa» (can. 343).
Molti si attendevano svolte epocali. Alcuni giornalisti hanno parlato di una rivoluzione nella pastorale. Ma molto più sommessamente il canone 343 ricorda che l’assemblea del Sinodo «discute sulle questioni proposte», «esprime voti», ma non dirime le questioni e non emana leggi.
Queste attese in parte sono state orchestrate con mesi di anticipo grazie anche alla sponda data dalla stampa, non specializzata, ma sicuramente interessata: si pensi alle interviste rilasciate a più riprese sia dal Papa che da alcuni cardinali.
Nel corso del Sinodo, poi, queste attese hanno trovato singolari interpreti/fautori. Ad esempio abbiamo appreso dalla voce del cardinale Erdö che alcuni numeri della Relatio post disceptationemcorrispondevano al parere di uno o due membri del Sinodo, su circa 180 membri. Quindi si trattava di pareri davvero singolari. Eppure hanno trovato posto nella Relatio post disceptationem e hanno fatto il “giro del mondo” in ragione dell’enfasi datagli dalla stampa.
Il fatto di aver reso pubblica la Relatio post disceptationem ha generato grande confusione nell’animo di molti fedeli e da molti circoli sinodali è stato giudicato gravemente imprudente proprio per la natura stessa della Relatio, che è un documento meramente provvisorio, interno all’assemblea sinodale, funzionale solo a guidare la discussione.
Quindi, guardando al Sinodo come fenomeno, questo è stato fortemente amplificato. Il che pone un problema grave: la gestione e il governo dei mezzi di comunicazione, i quali non si propongono come obiettivo la comunione con Cristo e la salvezza delle anime, che sono invece obiettivi pastorali della Sposa di Cristo. «Una favola piena di rumore e di furore».
Quanto al secondo aspetto, il Sinodo dei documenti, cioè il dato oggettivo del testo finale, la Relatio Synodi, per amore di brevità mi limito a fare degli esempi. «La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale» (n. 39). «Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati» (n. 47). «Un grande numero di padri ha sottolineato la necessità di render più accessibili e agili, possibilmente del tutto gratuite le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità [matrimoniale]» (n. 48).

Affermazioni verissime. Ma ci voleva un Sinodo per scriverle? E anche l’enfasi generalizzata sull’accoglienza che la Chiesa deve avere verso gli uomini e le donne? Ma forse per qualche tempo la Chiesa non è stata Madre dei credenti, ma matrigna? O forse non sono quegli stessi mezzi stampa che dipingono, quando vogliono, la Chiesa come matrigna? Oppure – penso io – ci deve essere stato qualche parroco che ha sbattuto la porta in faccia a qualcuno e allora anziché intervenire in modo puntuale nei suoi confronti si è pensato a un documento che riguardi tutti. Sistema che dal punto di vista operativo e concreto è garanzia di un’efficacia quasi nulla.
Quindi, guardando al Sinodo come documento, ritorna in mente la citazione: «Una favola piena di rumore e di furore, che non significa nulla». Ma anche questo aspetto è significativo. L’enfasi mediatica e l’ignoranza di molti avevano generato la convinzione che il Sinodo avrebbe redatto un documento decisivo di svolta. Ma, posto il canone 343, questo oggettivamente non è possibile. Anche se dopo il Sinodo il Papa pubblicasse una esortazione post-sinodale – è questa la tipologia di documento che recentemente i papi hanno adottato –, l’esortazione post-sinodale per il suo genere letterario non ha il valore magisteriale di una costituzione apostolica, di una costituzione conciliare, di un decreto o di una dichiarazione. Poi, è bene ricordare che le interviste e le conferenze stampa non sono atti di magistero, sia che le rilasci il sommo Pontefice, sia che le rilasci un vescovo. Poi, un conto sono le opinioni di un singolo membro del Sinodo (semplice parere con possibilità che la proposizione contraria sia vera), altro è il testo finale, la Relatio Synodi, la quale però per natura sua non ha valore di atto di magistero.
Dai resoconti ufficiali, cioè dalle relazioni dei circoli sinodali e dalla Relatio Synodi, leggiamo che i lavori dei gruppi linguistici e dell’assemblea generale sono stati molto fraterni ed edificanti. La risonanza esterna è stata quella di una confusione «piena di rumore e di furore». E il semplice fedele, caso mai divorziato o abbandonato, che giovamento ne ha tratto? Se non c’è uno di noi che gli si fa prossimo per lui «non significa nulla».