sabato 14 marzo 2015

Cosa c'entra la morte con la vita?



di Innocenza Laguri
Nel primo piccolo contributo ho accennato alla censura della  vecchiaia e della  morte che rende difficile illuminare quella particolare condizione esistenziale che è l’ultima fase della vita. Nel secondo, utilizzando spunti di lettura  che mi sono risultati utili, ho, in positivo,indicato nella vecchiaia il tempo umano che raccoglie le verità contenute nelle altre età e nell’esperienza di nonni l’aiuto a recuperare la verità sulla vita implicita nell’infanzia.
Ora riferisco un mio piccolo passo  sul rapporto tra  la consapevolezza della morte (cioè la non censura di essa)  e un modo di vivere più autentico
La circostanza è stata la morte di mia suocera, un mese fa, e  quel particolare attimo rivelatore che è stato quello della composizione di un piccolo testo che si era deciso di leggere alla fine della cerimonia funebre.  Volevo evitare quella tipologia beatificante che, sull’onda dell’emotività, solitamente si sceglie. Quando la morte era quella degli altri, ed io ero immortale, cioè quando ero giovane, mi faceva un po’ sorridere la lettura degli annunci funebri sul giornale dove tutti erano amati, lodati, integerrimi.
In occasione della composizione del testo troneggiava invece nei miei ricordi l’insopportabilità di mia suocera negli otto mesi che hanno separato la sua caduta con rottura del femore alla sua  morte, troneggiavano  i suoi “capricci”( il suo voler fumare ancora, i maltrattamenti nei confronti della badante, il suo continuo ripetere “io faccio quello che voglio”ecc.).  Tuttavia proprio nelle due giornate in attesa del funerale, mentre pensavo al testo, mi sentivo anch’io richiamata a non fermarmi solo a quello, coglievo ad esempio  la sua testimonianza di nonna affettuosa nei confronti dei miei figli, proprio in quei mesi, proprio in contemporanea alle altre “facce”. Quella disposizione, che da giovane mi faceva sorridere, a vedere nel defunto i lati  positivi, ora l’ avevo anch’io, e mi serviva a recuperare  qualcosa di più di quegli aspetti  di mia suocera  che mi avevano mandato in bestia più volte. Certo, era  in buona parte, un recupero a posteriori!!
E’ allora che  mi è venuta in mente una frase  che a suo tempo mi aveva colpito ma che poi avevo dimenticato: una volta una suora ha detto a un’amica che si lamentava del marito: prova a vederlo come se già fosse morto!! Frase coraggiosa, oggi  che solo a nominare la parola morte passi per uno sfigato depresso. Quella frase chiedeva di giocare di anticipo, però, non aspettando il funerale!
E pensare che l’avevo letta da poco anche nel libro di F.Hadjadj che ho già citato (Farcela con la morte, Cittadella). Lui dice: “ Se vedo gli altri come ‘morti a credito’ provo per ciascuno di loro una infinita tenerezza. Vedere la propria moglie come una morente quando ti viene a dire per la decima volta…….fa dimenticare le proprie vessazioni e sentire l’ insopprimibile desiderio di tenerla fra le braccia, come se fosse l’ultima volta….i vivi sono morenti e tanto più amabili se li si considera come tali”.
In fondo non era impossibile in quegli otto mesi  cominciare a vedere mia suocera come una morente, era evidente il suo declino e dunque poteva essere più comprensibile  da parte mia quella tanto umana ribellione alla perdita delle proprie forze, della propria autonomia, della capacità di fare tante piccole cose, (ce n’erano di quelle, piuttosto particolari o anche banali, che le riempivano la giornata…)
Mi sembra un bel passaggio  da fare: saperci guardare come morenti sempre, non quando si è in agonia. Noi anziani dovremmo poterlo fare, prima di tutto perché siamo più morenti di altri morenti ( qualcuno si tocca?), poi perché abbiamo già sperimentato quanto siano incompiuti i rapporti con coloro che abbiamo già accompagnato al grande passo. Ma mi sembra importante guardare come morenti  anche i miei figli o il mio nipotino. Perché il noi tutti come morenti, vuol dire tante cose, non solo  molto importanti, ma anche  molto vitali, cioè molto capaci di farci vivere  la relazione con gli altri non in modo distruttivo come dice un amico filosofo. Ad esempio vuol dire guardarli come chiamati a un oltre che nè io né loro stessi  possono calcolare, e  anche portatori di  grandezze che io non conosco o non capisco perché non corrispondono alle mie misure e tante altre cose che magari capirò un po’ di più.