mercoledì 18 marzo 2015

Custodi della liturgia. Come san Giuseppe



(Robert Sarah, Cardinale prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti) Nella colletta della solennità di san Giuseppe ci viene detto che Dio affidò i primi misteri della salvezza degli uomini alla fedele custodia dello Sposo della Vergine Maria. E poi si chiede che, per sua intercessione, «la Chiesa li custodisca fedelmente e li porti a pienezza nella sua missione salvifica». Tre verbi sintetizzano quindi l’atteggiamento che, sull’esempio del patrono della Chiesa universale, dobbiamo avere dinanzi alla liturgia: custodire, conservare e portare alla pienezza.
Se cerchiamo la definizione della parola latina custos vediamo che significa custode, guardiano, difensore. La Chiesa, custode e servitrice, partecipa alla condizione sacerdotale, profetica e reale di Cristo nella celebrazione liturgica, dove Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote, continua l’opera della nostra redenzione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1068-1070). Custodire, pertanto, è ricevere un tesoro che non ci appartiene ma che abbiamo ricevuto per pura grazia. L’atteggiamento di fronte a questo tesoro sarà quello dell’umiltà, che porterà il ministro sacro e i fedeli cristiani, nel celebrare i sacri misteri, ad adempiere le norme liturgiche con le quali la Chiesa custodisce i sacri misteri.
Lo stesso apostolo Paolo esorta Timoteo a conservare il deposito che ha ricevuto (cfr. 1 Timoteo, 6, 20), a serbare qualcosa che non gli appartiene. Chiaro, questo non vuol dire rimanere chiusi nel passato, bensì conservare la sana tradizione e aprire il cammino a un progresso legittimo (cfr. Sacrosanctum concilium, n. 23), e perciò, in ogni epoca, la Chiesa cerca il modo di andare incontro all’uomo per spiegargli le Scritture e spartire il pane con lui (cfr. Luca, 24, 13-34). È questa la bellezza che la Chiesa conserva, così come indica Papa Francesco, bellezza che è un dono ricevuto, con il quale evangelizza ed evangelizza se stessa (cfr. Evangelii gaudium, n. 24).
Nella sua liturgia la Chiesa annuncia e celebra il mistero pasquale di Cristo, e lo fa affinché i fedeli vivano e diano testimonianza con le loro opere, e non solo con le loro labbra, della fede che serbano nel cuore. Ma questo “portare alla pienezza” si raggiunge promuovendo l’educazione liturgica e la partecipazione piena, consapevole e attiva alle celebrazioni liturgiche (cfr. Sacrosanctum concilium, n. 14), partecipazione che comporta il riconoscimento delle diverse funzioni gerarchiche nella celebrazione stessa (cfr. ibidem, n. 53). Dobbiamo inoltre tener conto che la partecipazione sarà attiva se la celebrazione ci porterà a prendere attivamente parte alla vita della Chiesa poiché, nel Nuovo Testamento, la liturgia non è solo la celebrazione del culto divino ma anche l’annuncio del Vangelo e la carità in atto. 
L'Osservatore Romano