giovedì 27 agosto 2015

San Teodoro Studita e il “Sinodo dell’adulterio”




(Roberto de Mattei) Col nome di “Sinodo dell’adulterio” è entrata nella storia della Chiesa un’assemblea di vescovi che, nel IX secolo, volle approvare la prassi del secondo matrimonio dopo il ripudio della legittima moglie. San Teodoro Studita (759-826), fu colui che con più vigore vi si oppose e per questo fu perseguitato, imprigionato e per ben tre volte esiliato.
Tutto iniziò nel gennaio 795 quando l’imperatore romano di Oriente (basileus) Costantino VI (771-797) fece rinchiudere la moglie Maria di Armenia in monastero e iniziò una illecita unione con Teodota, dama d’onore della madre Irene. Pochi mesi dopo l’imperatore fece proclamare “augusta” Teodota, ma non riuscendo a convincere il patriarca Tarasio (730-806) a celebrare il nuovo matrimonio, trovò finalmente un ministro compiacente nel prete Giuseppe, igumeno del monastero di Kathara, nell’isola di Itaca, che benedisse ufficialmente l’unione adulterina.
San Teodoro, nato a Costantinopoli nel 759, era allora monaco nel monastero di Sakkudion in Bitinia, di cui era abate lo zio Platone, venerato anche lui come santo. Teodoro ricorda che l’ingiusto divorzio produsse un profondo turbamento in tutto il popolo cristiano: concussus est mundus (Epist. II, n. 181, in PG, 99, coll. 1559-1560CD) e, assieme a san Platone, protestò energicamente, in nome dell’indissolubilità del vincolo. L’imperatore deve ritenersi adultero – scrisse – e perciò deve ritenersi gravemente colpevole il prete Giuseppe per avere benedetto gli adulteri e per averli ammessi all’Eucarestia. «Incoronando l’adulterio», il prete Giuseppe si è opposto all’insegnamento di Cristo e ha violato la legge divina (Epist.I, 32, PG 99, coll. 1015/1061C). Per Teodosio era da condannare altresì il patriarca Tarasio che, pur non approvando le nuove nozze, si era mostrato tollerante, evitando sia di scomunicare l’imperatore che di punire l’economo Giuseppe.
Questo atteggiamento era tipico di un settore della Chiesa orientale che proclamava l’indissolubilità del matrimonio ma nella prassi dimostrava una certa sottomissione nel confronti del potere imperiale, seminando confusione del popolo e suscitando la protesta dei cattolici più ferventi. Basandosi sull’autorità di san Basilio, Teodoro rivendicò la facoltà concessa ai sudditi di denunciare gli errori del proprio superiore (Epist. I, n. 5, PG, 99, coll. 923-924, 925-926D) e i monaci di Sakkudion ruppero la comunione con il patriarca per la sua complicità nel divorzio dell’imperatore. Scoppiò così la cosiddetta “questione moicheiana” (da moicheia= adulterio) che pose Teodoro in conflitto non solo con il governo imperiale, ma con gli stessi patriarchi di Costantinopoli. E’ un episodio poco conosciuto sul quale, qualche anno fa, ha sollevato il velo il prof. Dante Gemmiti in un’attenta ricostruzione storica, basata sulle fonti greche e latine (Teodoro Studita e la questione moicheiana, LER, Marigliano 1993), che conferma come nel primo millennio la disciplina ecclesiastica della Chiesa d’Oriente rispettava ancora il principio dell’indissolubilità del matrimonio.
Nel settembre 796, Platone e Teodoro, con un certo numero di monaci del Sakkudion, furono arrestati, internati e poi esiliati a Tessalonica, dove giunsero il 25 marzo 797. A Costantinopoli però il popolo giudicava Costantino un peccatore che continuava a dare pubblico scandalo e, sull’esempio di Platone e Teodoro, l’opposizione aumentava di giorno in giorno. L’esilio fu di breve durata perché il giovane Costantino, in seguito a un complotto di palazzo, fu fatto accecare dalla madre che assunse da sola il governo dell’impero. Irene richiamò gli esiliati, che si trasferirono nel monastero urbano di Studios, insieme alla gran parte della comunità dei monaci di Sakkudion. Teodoro e Platone si riconciliarono con il patriarca Tarasio che, dopo l’avvento di Irene al potere, aveva pubblicamente condannato Costantino e il prete Giuseppe per il divorzio imperiale. Anche il regno di Irene fu breve. Il 31 ottobre 802 un suo ministro, Niceforo, in seguito a una rivolta di palazzo, si proclamò imperatore. Quando poco dopo morì Tarasio, il nuovobasileus fece eleggere patriarca di Costantinopoli un alto funzionario imperiale, anch’egli di nome Niceforo (758-828). In un sinodo da lui convocato e presieduto, verso la metà dell’806, Niceforo reintegrò nel suo ufficio l’egumeno Giuseppe, deposto da Tarasio. Teodoro, divenuto capo della comunità monastica dello Studios, per il ritiro di Platone a vita di recluso, protestò vivamente contro la riabilitazione del prete Giuseppe e, quando quest’ultimo riprese a svolgere il ministero sacerdotale, ruppe la comunione anche con il nuovo patriarca.
La reazione non tardò. Lo Studios venne occupato militarmente, Platone, Teodoro e il fratello Giuseppe, arcivescovo di Tessalonica, vennero arrestati, condannati ed esiliati. Nell’808 l’imperatore convocò un altro sinodo che si riunì nel gennaio 809. Fu quello che, in una lettera dell’809 al monaco Arsenio, Teodoro definisce “moechosynodus”, il “Sinodo dell’adulterio” (Epist. I, n. 38, PG 99, coll. 1041-1042c). Il Sinodo dei vescovi riconobbe la legittimità del secondo matrimonio di Costantino, confermò la riabilitazione dell’egumene Giuseppe e anatemizzò Teodoro, Platone e il fratello Giuseppe, che fu deposto dalla sua carica di arcivescovo di Tessalonica. Per giustificare il divorzio dell’imperatore, il Sinodo utilizzava il principio della “economia dei santi” (tolleranza nella prassi). Ma per Teodoro nessun motivo poteva giustificare la trasgressione di una legge divina. Richiamandosi all’insegnamento di san Basilio, di san Gregorio di Nazianzo e di san Giovanni Crisostomo, egli dichiarò priva di fondamento scritturale la disciplina dell’“economia dei santi”, secondo cui in alcune circostanze si poteva tollerare un male minore – come in questo caso il matrimonio adulterino dell’imperatore.
Qualche anno dopo l’imperatore Niceforo morì nella guerra contro i Bulgari (25 luglio 811) e salì al trono un altro funzionario imperiale, Michele I. Il nuovo basileusrichiamò dall’esilio Teodoro, che divenne il suo consigliere più ascoltato. Ma la pace fu di breve durata. Nell’estate dell’813, i Bulgari inflissero a Michele I una gravissima sconfitta presso Adrianopoli e l’esercito proclamò imperatore il capo degli Anatolici, Leone V, detto l’Armeno (775-820). Quando Leone depose il patriarca Niceforo e fece condannare il culto delle immagini, Teodoro assunse la guida della resistenza contro l’iconoclastia. Teodoro infatti si distinse nella storia della Chiesa non solo come l’oppositore al “Sinodo dell’adulterio”, ma anche come uno dei grandi difensori delle sacre immagini durante la seconda fase dell’iconoclasmo. Così la domenica delle Palme dell’815 si poté assistere ad una processione dei mille monaci dello Studios che all’interno del loro monastero, ma bene in vista, portavano le sante icone, al canto di solenni acclamazioni in loro onore. La processione dei monaci dello Studios scatenò la reazione della polizia. Tra l’815 e l’821, Teodoro fu flagellato, incarcerato ed esiliato in diversi luoghi dell’Asia Minore. Alla fine poté tornare a Costantinopoli, ma non nel proprio monastero. Egli allora si stabilì con i suoi monaci dall’altra parte del Bosforo, a Prinkipo, dove morì l’11 novembre 826.
Il “non licet” (Mt 14, 3-11) che san Giovanni Battista oppose al tetrarca Erode, per il suo adulterio, risuonò più volte nella storia della Chiesa. San Teodoro Studita, un semplice religioso che osò sfidare il potere imperiale e le gerarchie ecclesiastiche del tempo, può essere considerato uno dei protettori celesti di chi, anche oggi, di fronte alle minacce di cambiamento della prassi cattolica sul matrimonio, ha il coraggio di ripetere un inflessibile non licet.

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SINODO: ampio il fronte di chi è fedele alla Dottrina cattolica

(Mauro Faverzani) Il fronte è ampio, solido e sempre più compatto. Per primo aveva fatto parlare di sé il libro dei Cardinali Burke, Brandmüller, Müller, Caffarra e De Paolis,Permanere nella verità di Cristo-Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, in cui già si dimostrava con chiarezza come – Sacra Scrittura e testi di Patristica alla mano – non sia assolutamente possibile consentire ai divorziati risposati l’accesso al Sacramento dell’Eucaristia, richiamando così la retta Dottrina cattolica in antitesi alla proposta formulata dal card. Kasper al Sinodo straordinario dello scorso ottobre. Ma chi pretendesse d’isolare gli autori, sminuendone l’importanza come se si trattasse delle uniche voci “fuori dal coro”, è stato ed è sempre più smentito dai fatti.
La stampa ha preannunciato, infatti, a giorni l’uscita di un nuovo volume, il cui titolo dovrebbe essere Matrimonio e famiglia, scritto questa volta da altri 11 Cardinali, nello specifico – secondo le anticipazioni mediatiche – le Eminenze Carlo Caffarra, Baselios Cleemis, Paul Josef Cordes, Dominik Duka, Willem Jacobus Eijk, Joachim Meisner, John Olorunfemi Onaiyekan, Antonio Maria Rouco Varela, Camillo Ruini, Robert Sarah e Jorge Liberato Urosa Savino. Il testo è stato curato dal prof. Winfried Aymans, esperto di Diritto Canonico presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco.
L’ottica di questa nuova opera dovrebbe essere prettamente pastorale, chiedendosi, ad esempio, come preparare al matrimonio coppie di fidanzati con pochi ricordi del catechismo ed imbevuti di secolarismo; oppure come sostenere chi resti abbandonato dal coniuge ed intenda rimanere fedele all’indissolubilità della promessa matrimoniale. Già da questo appare evidente come non si tratti di un terzo “partito” tra conservatori e progressisti al Sinodo, come qualcuno ha voluto maliziosamente intendere, bensì esprima concetti in perfetta sintonia non solo con le posizioni dei cardinali autori di Permanere nella verità di Cristo, ma con la Dottrina cattolica più in generale. Anche questo libro, come il precedente, sarà pubblicato in Italia dall’editore Davide Cantagalli di Siena. Il numero complessivo di cardinali che con i due libri, tra il Sinodo del 2014 e quello del 2015, hanno preso una ferma posizione a favore del matrimonio cristiano sale dunque a quindici.
Sulla stessa linea pare collocarsi un altro lavoro dato per imminente, scritto da undici autori, tutti Vescovi e Cardinali africani, per offrire il proprio contributo sui temi del Sinodo. Il titolo dovrebbe essere Nova patria Christi Africa.
Non solo: ecco ai primi di settembre disponibile il libro De Matrimonio dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici, associazione di diritto pontificio. Nove gli esperti di fama internazionale impegnatisi nella stesura: Danilo Castellano, ordinario di Filosofia del Diritto e già Preside della facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Udine (Italia); Ricardo Dip del Tribunale di Giustizia di São Paulo (Brasile); Brian McCall dell’Università di Oklahoma (Stati Uniti); Wolfgang Waldstein, emerito di Diritto romano e già Rettore dell’Università di Salisburgo (Austria); Bernard Dumont, direttore della rivista Catholica di Parigi (Francia); Alejandro Ordóñez Maldonado, Procuratore Generale della Repubblica in Colombia; José Maria Sánchez dell’Università di Siviglia (Spagna); Luis Maria de Ruschi del Tribunale Interdiocesano Bonarense (Argentina) e Miguel Ayuso dell’Università Pontificia Comillas di Madrid (Spagna), peraltro anche presidente dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici e coordinatore del testo. Copie ne sono state inviate al Papa, ai Cardinali ed ai Vescovi di tutto il mondo.
Tali giuristi, sulla base di argomentazioni rigorosamente razionali fedeli alla Dottrina cattolica, concordano nel ritenere che vi sia una stretta correlazione tra l’«evaporazione» del matrimonio come istituto giuridico di diritto naturale e l’«eclissi» della famiglia nella società, precisando come la proposta del Card. Kasper – sostenuta dalla Conferenza episcopale tedesca – di ammettere alla S. Comunione anche i divorziati risposati e gli omosessuali, «rappresenti la sfida più grave all’integrità della Dottrina cattolica, espressa dal XVI secolo ad oggi». Per questo, buona parte dei contributi si concentra sull’indissolubilità del matrimonio monogamico, eterosessuale e sussidiario come fondamento ed ultimo baluardo di quell’ordine sociale, che il laicismo intende distruggere, complici quei pastori, che – come ha sottolineato l’Arcivescovo Georg Gänswein, segretario personale di Benedetto XVI e Prefetto della Casa Pontificia di papa Francesco – «cedono allo spirito dei tempi e si lasciano guidare dal plauso umano». E se il n. 123 dell’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo parla di «un comune accordo sull’ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale per i fedeli divorziati risposati civilmente, che si trovino in una situazione di convivenza irreversibile», in realtà questo «comune accordo» semplicemente non c’è, né c’è mai stato, come ha osservato l’Arcivescovo Athanasius Schneider: «Dire che vi sia un ‘comune accordo’ circa il ‘cammino penitenziale’ non è corretto. L’unico documento pubblico, che permetta di individuare l’effettiva opinione dei Vescovi in merito è la Relatio Synodidel 2014. Lì si nota come il 40% dei membri del Sinodo abbia respinto tale ‘cammino penitenziale’», di cui peraltro non esiste «alcuna definizione precisa».
Ma lo schieramento dei Cattolici senza compromessi – provvidenzialmente vasto – ha in questi mesi prodotto anche altri contributi a sostegno della retta Dottrina. Ad esempio, il Vademecum dal titolo Opzione preferenziale per la famiglia – Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo, edito da Supplica Filiale e scritto da tre Vescovi, mons. Aldo di Cillo Pagotto, mons. Robert F. Vasa e mons. Athanasius Schneider.  Il testo fa il punto della situazione in modo chiaro, diretto ed esplicito, partendo dal presupposto – evidenziato dal Card. Jorge A. Medina Estévez nellaPrefazione – che la famiglia cristiana sia «per sua natura stessa, una realtà religiosa» e lo sia «sostanzialmente», il che spiega perché, in modo speciale, vada protetta, custodita, tutelata ed incoraggiata. 
Così il Vademecum specifica quanto sia importante, per la difesa della morale naturale, contrastare le leggi divorziste, per evitare che, alla fine, vengano accettate come mentalità diffusa anche dai fedeli, simili «a morbo che si sparge per contagio», come scrisse Leone XIII. La crisi della famiglia – si legge – «è conseguenza di un processo di degradazione culturale e morale; non di rado accentuata dalla mancanza di una vita di preghiera al suo interno». Il che ha precise cause: egoismo, lussuria, adulterio, divorzio, aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, (dis)educazione sessuale, crisi dell’autorità generale, rinuncia educativa, pornografia e droga. «Questa situazione però non è conseguenza di un’inevitabile e inarrestabile evoluzione storica», pertanto è anche reversibile. Colpendo innanzi tutto l’apice, oggi rappresentato dall’ideologia gender: «Questa rivoluzione – lanciata nel settembre 1995 a Pechino con la IV Conferenza mondiale dell’Onu sulla Donna – progetta una pericolosa sovversione sessuale, culturale e sociale anticristiana, che si è insinuata anche in molti ambienti cattolici e che finora sembra preoccupare più i genitori che i pastori».
Il Vademecum ritiene che la Chiesa non abbia bisogno di alcun «aggiornamento», come preteso dalla linea kasperiana, bensì di «un’autentica riforma che riconduca il comportamento dei cristiani alla purezza dei costumi e all’integrità dottrinale». Del resto, «il numero di fedeli praticanti non cala, ma cresce, quando si chieda l’osservanza di certi precetti morali, come il numero delle vocazioni religiose non cala, anzi cresce, quando ai novizi venga chiesto un impegno più rigoroso».
Per questo è doveroso ricordare come i coniugi divorziati e risposati si trovino «in oggettivo stato di peccato mortale, stato che, se di pubblica notorietà, è aggravato dallo scandalo. La loro unione non può essere ammessa dalla Chiesa, né autenticata da alcuna cerimonia para-matrimoniale. Per essere perdonati e riammessi alla piena comunione ecclesiale, essi hanno il dovere di pentirsi della loro colpa e di risanare la loro situazione». Allo stesso modo, l’unione di due persone dello stesso sesso «non è secondo natura né aperta alla vita e, come tale, è moralmente illecita».
Principi fondamentali della Dottrina cattolica, che di questi tempi val la pena ribadire, come fa il Vademecum, ma come fa anche il volume Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, edito dalla Leonardo da Vinci e firmato da don Stefano Carusi, da mons. Antonio Livi e dal prof. Enrico Maria Radaelli. Il testo evidenzia bene come la linea kasperiana circa l’ammissione alla S. Comunione per i divorziati risposati e per le “coppie” omosessuali mini «alle fondamenta non soltanto il Sacramento del matrimonio, ma anche quelli della penitenza e dell’eucarestia». Da qui l’opposizione ad una protestantizzazione della Chiesa Cattolica e ad una deriva progressista della pastorale, miranti a svincolare la prassi dal dogma.
Un forte contributo in tal senso è giunto anche dalla recente pubblicazione di un altro testo fondamentale, Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II, curato dal Prof. Roberto de Mattei, che ne ha scritto l’Introduzione. Il merito dell’opera è principalmente quello di riproporre integralmente lo Schema, già approvato da Giovanni XXIII nel luglio 1962 ed inviato a tutti i Padri conciliari, benché poi «improvvidamente abbandonato» e riscritto secondo le tesi della “nuova” teologia progressista, tesi prevedibilmente interpretate sempre più, nel tempo, in senso difforme dalla morale tradizionale. Nella prospettiva del prossimo Sinodo sulla Famiglia è d’uopo tornarne a parlare, poiché – come si legge nell’Introduzione del Prof. de Mattei – se il Sinodo tacesse «la legge naturale», ignorasse «il fine primario del matrimonio», stendesse «un velo di silenzio sul peccato» e non mettesse in risalto «il valore della castità dentro e fuori il matrimonio», sarebbe destinato «al fallimento pastorale e alla distruzione della fede e della morale cattolica».
Per questo lo Schema si esprime con chiarezza contro i rapporti prematrimoniali, le unioni civili, l’adulterio, il divorzio, la pratica omosessuale, il cambio di sesso, la fecondazione assistita, l’indottrinamento ideologico nelle scuole e molto altro ancora.

Gli esempi potrebbero continuare. Ma tutto questo offre un quadro già abbastanza esaustivo di come chi si sia espresso a favore della retta e vera Dottrina cattolica senza compromessi sia tutt’altro che isolato o emarginato tanto al Sinodo quanto nella Chiesa. La fedeltà al diritto naturale ed alla Tradizione non è propria solo del Card. Burke o del Card. Sarah, dunque, ma anche di tutti coloro – e sono tanti – che hanno espresso non un’opinione, bensì una fedeltà all’insegnamento di Cristo. Che è immutabile.