lunedì 24 agosto 2015

Per scoprire il bello dell’umano

Fragilità e debolezza sono opportunità per scoprire il bello dell’umano

Al Meeting di Rimini, suor Maria Angela Bertelli, missionaria in Thailandia, e Timothy Shriver, chairman degli Special Olympics, spiegano che fragilità e debolezza sono “un trampolino per progredire nella conoscenza della propria umanità”


di Antonio Gaspari
Si è svolto ieri al Meeting di Rimini un incontro di quelli che stupiscono e commuovono. Protagonisti suor Angela Bertelli, missionaria saveriana in Thailandia, e Timothy Shriver, nipote di John e Robert Kennedy, chairman degli Special Olympics, le olimpiadi per persone che soffrono di disabilità fisiche e intellettive. Nel presentare l’incontro, Letizia Bardazzi, presidente dell’Associazione Italiana centri culturali, ha parlato di due testimoni che raccontano del “valore della fragilità e della debolezza come opportunità per conoscere la propria umanità e quella dell’altro”.
Suor Angela è la fondatrice della Casa degli Angeli, un centro di accoglienza per bambini disabili, orfani e rifiutati. La saveriana ha raccontato che, secondo il Buddismo Therawada, “l’uomo si salva da sé: ciascuno è il suo rifugio”. Non c’è dialogo con Dio e per tutti quelli che non ce la fanno, cioè i sofferenti, i non efficienti, i disabili, non c’è possibilità di riscatto. Inoltre è pensiero comune che la disabilità sia il risultato di un Karma negativo. “I problemi di questi bambini – ha raccontato – vengono visti come la punizione per il male fatto nella vita precedente e per questo vengono rifiutati da tutti”. Un rifiuto che si estende anche alle mamme, ai padri ed ai parenti dei piccoli sfortunati.
Dal 2008 insieme a 130 volontari La Casa degli Angeli accoglie e assiste tutte queste persone sofferenti.   Sono 15 i bambini, la metà dei quali abbandonati, insieme ai loro genitori, che godono della cura e dell’assistenza del centro. Per far capire il contesto sociale in cui si opera, la religiosa ha sottolineato che la gratuità con cui mamme e bambini vengono assistiti in Thailandia è unica, tanto che “la parola gratuità non esiste... Occorre formare una frase per spiegarne il concetto”.
“Vivere e testimoniare la gratuità” è, secondo suor Angela, “la bellezza del cristianesimo”. “Noi veniamo da una grazia enorme chi ha conosciuto Cristo ha conosciuto l’amore e la gratuità”, ha aggiunto. Alle mamme, la suora non chiede di cambiare religione, ma gli racconta questa bellezza: “Un Dio che si fa povero e debole è inimmaginabile ed io posso dire alle mamme che i loro figli da maledizione diventano grazia”. Le madri cominciano così a esprimere il loro amore senza vergogna e, di fronte alla bellezza di una tale accoglienza, cura e amore, c’è chi chiede di battezzare il figlio. Tutte queste esperienze suor Bertelli le ha raccolte in un libro dal titolo La casa degli angeli, pubblicato da ITACA.
In tutt'altro campo opera invece Timothy Shiver, direttore delle Special Olympics, evento mondiale creato mezzo secolo fa da sua nonna Eunice Kennedy, sorella maggiore di John e di Robert. Agli Special Olympics svoltisi quast’anno a Los Angeles hanno partecipato delegazioni di 170 Paesi, quattro milioni sono gli atleti iscritti e 70mila le gare di selezione con relative finali.
Shiver ha cominciato a riflettere sull’attenzione e la cura per i sofferenti, quando ha dovuto assistere sua madre Rose Kennedy. Un’esperienza che lo ha segnato. Nello sport ha trovato un percorso che potrebbe superare il muro di indifferenza, paura, discriminazione, timore che molta gente prova nei confronti delle disabilità mentali . “Non di tratta di paraolimpiadi – ha spiegato – bensì di Olimpiadi speciali per persone diverse”.
Attualmente il 2% della popolazione mondiale soffre di disabilità intellettive e “la disabilità - ha sottolineato Shriver - è una parola che li definisce in modo negativo e caratterizza solo una parte della loro umanità”. Il chairman ha osservato che purtroppo si tende a indicare il valore di ogni persona nella capacità di essere indipendenti nel guadagno e nel lavoro. “Una società in cui le parole ‘idiota’ e ‘ritardato’ sono le più usate per descrivere gente affetta da questa disabilità, è una società che attacca un’etichetta e non guarda alla totalità della persona”, ha affermato. E ha rimarcato che invece “nella debolezza c’è la presenza di Dio”, perché "nella debolezza che noi rifiutiamo c’è la forza per aprire la porta all’inclusione”. Quindi, ha concluso, "occorre lasciare andare la paura della vulnerabilità”, perché “sappiamo che sia nella bellezza che nella debolezza c’è la presenza di Dio”.

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I martiri di oggi si raccontano: una catena ed un lucchetto come rosario

Torturati, offesi, vilipesi, ricattati, picchiati, ma i cristiani ad Aleppo in Siria e Erbil in Irak offrono la loro sofferenza per la salvezza anche dei persecutori

Coraggiosi, eroici, martiri dei nostri tempi, la loro testimonianza è ammirevole e commovente, una storia indelebile della fede cristiana che resiste e sopravvive nella persecuzione.
Giornata di grande intensità emotiva e di fede quella di ieri al Meeting di Rimini.
Padre Douglas Al-Bazi, parroco di Mar Eillia ad Erbil, in Iraq, e padre Ibrahim Alsabagh, francescano parroco della comunità di Aleppo in Siria, hanno raccontato le loro storie e quelle di popolazioni che stanno soffrendo  una persecuzione  più sanguinosa dei primi secoli.
Nel presentare l’incontro don Stefano Alberto, docente di teologia all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha commentato: “Proprio nella terra dove Dio, chiamando Abramo, ha destato la coscienza dell’uomo facendosi dare del Tu, si è manifestata una violenza cieca del fanatismo”.
Dopo aver ricordato che fino al 2003 in Iraq c’erano circa due milioni di cristiani e oggi ne sono rimasti poco più di duecentomila, padre Douglas Al-Bazi ha spiegato “Sono nato in questo paese e ho amici musulmani, noi cristiani siamo il sale di questo paese. Oltre tutto siamo la fascia più istruita della popolazione”.
Padre Douglas è stato rapito e torturato per nove giorni. La sua prigionia è stata durissima, è un miracolo che abbia avuto il coraggio di rimanere.
“Mi hanno spaccato il naso, - ha raccontato - colpito col martello in bocca e su una spalla e un disco della colonna vertebrale. Per quattro giorni sono stato lasciato senz’acqua. Tenevano alto il volume della televisione per non farsi sentire e mi colpivano ogni sera. Poi mi lasciavano incatenato con un lucchetto”.
Per sopravvivere e non perdere il senno e la fede, padre Douglas ha utilizzato dieci anelli della catena come Rosario e il lucchetto per il Padre nostro.
“Ci sono stati anche momenti di calma, - ha continuato - dove quelle stesse persone che mi picchiavano la sera poi mi interrogavano su come comportarsi con la moglie ed io dicevo loro di essere carini con lei”. 
Interrompendo il racconto padre Douglas si è rivolto alla platea: “Vi sembro spaventato? La stessa cosa si può dire della mia gente Gesù ci ha detto di portare la propria croce, ma l’importante non è questo ma seguire, sfidare, impegnarsi. Se ci distruggeranno in Medio Oriente, l’ultima parola sarà ‘Gesù ci ha salvato'”.
In maniera sobria e intensa padre Douglas ha confessato che prima o poi lo uccideranno, e comunque se questo accadrà – ha chiesto – “pregate per la mia gente, aiutate e salvate la mia gente. Non sono preoccupato tanto per me quanto per la mia gente”.
Commovente e appassionata la testimonianza di padre Ibrahim.
Il religioso francescano ha raccontato delle terribili condizioni in cui si sopravvive ad Aleppo: “Viviamo nell’instabilità, mancano le risorse alimentari, scarseggia l’acqua, siamo sotto i bombardamenti e le malattie si diffondono”.
“Vengono a chiederci l’acqua che noi prendiamo dal pozzo del convento. Cerchiamo di cogliere in tutto questo i segni dello Spirito, condividendo questa esigenza e altri mille problemi e aprendo a tutti, cristiani e musulmani”.
Per far capire lo spirito con cui i cristiani continuano a fare il bene in un clima infernale, Padre Ibrahim ha raccontato il commento di un musulmano che viene a prendere l’acqua: A guardare come la gente viene a prendere acqua, - ha detto - senza litigi, senza urlare, io mi meraviglio. Da altre parti ci si picchia e si grida. Voi siete diversi”.
E’ evidente che molti cristiani sognano di scappare, hanno paura. “Ma molti tra noi cristiani – ha spiegato il padre francescano - sono convinti che il Signore già ai tempi di san Paolo ha piantato l’albero della vita nel Medio Oriente. Noi non vogliamo portare via questo albero”.
Ad una donna che gli ha confessato il disagio e della preoccupazione per i tanti cristiani fuggiti, padre Ibrahim, ha risposto: “Non è stato forse il Signore che vuole cambiare la gente intorno a noi, perché il profumo di Cristo arrivi anche a loro? Non è un disagio, ma un compito che il Signore ci ha affidato”. 
Per quanto riguarda i francescani di Aleppo, padre Ibrahim ha detto: “Amiamo di più, perdoniamo di più, ma non ce ne andiamo”.
Nonostante le tristi condizioni e  le violenze del conflitto armato, padre Ibrahim ha parole di compassione e perdono.
“Non possiamo limitarci ad invitare a resistere. L’azione che portiamo è positiva: Gesù ci insegna nel Vangelo a elargire il perdono ai crocifissori anche quando non lo richiedono.”
Commosso fino alle lacrime, padre Ibrahim ha concluso “Non sappiamo quando finirà. La cosa importante è testimoniare Cristo. Testimoniare la vita cristiana amando, perdonando e pensando anche alla salvezza di chi ci fa il male. Offriamo la nostra sofferenza per la loro salvezza, preghiamo per loro.”
Zenit