venerdì 14 agosto 2015

Il fondamento trinitario della morale



di padre Giovanni Cavalcoli
L’etica cristiana comporta due elementi o momenti fondamentali, che si attuano in successione storica, che è la stessa storia della salvezza: il progetto originario del Padre di una vita umana felice e i mezzi per ripararlo e attuarlo successivamente alla sua distruzione a causa del peccato originale. Il Riparatore di questo progetto è il Figlio Gesù Cristo.
Questo progetto lo troviamo nell’evento della creazione dell’uomo, contenuto nella Genesi, che esprime l’originaria ed eterna volontà del Padre. Qui troviamo i fondamenti indistruttibili e perenni della morale.
L’etica edenica comprende cinque punti:
  1. Il culto divino;
  2. L’unione dell’uomo con la donna;
  3. La socialità;
  4. Il dominio delle passioni;
  5. Il dominio sulla natura.
Il progetto originario del Padre resta e vale anche dopo la devastazione compiuta dal peccato originale. La natura umana con i fini stabiliti da Dio resta la stessa. L’etica evangelica la conferma, la corregge, la purifica, la libera, la eleva alla figliolanza divina.
Occorre riparare i danni e ricostruire quanto è andato distrutto guardando all’ideale dignità del paradiso terrestre. Certo S.Paolo parla di “nuova creatura” e del dovere di “trasformarci” ad immagine del Figlio. Ma ciò va inteso non nel senso di un mutamento della natura, ma anzi come arricchimento e purificazione della stessa natura creata ad immagine e somiglianza di Dio.
Dunque, per ripristinare questo piano divenuto irrealizzabile dopo il peccato originale, occorre allora ascoltare e seguire il Figlio, ossia Cristo, il quale ci insegna come ricostituire quella condizione originaria e come riparare i danni, espiando il peccato, correggendo le cattive tendenze conseguenti al peccato, ed anzi indicandoci, sempre per volontà del Padre, una meta di umanità, quella dei figli di Dio e della risurrezione, superiore alle condizioni primitive dello stato di innocenza.
L’etica istituita da Cristo comporta indubbiamente un elemento di fatica, di sforzo, di penitenza, di rinuncia, di astinenza, di lotta, di mortificazione, di austerità, di pazienza, di sacrificio, di vittoria su se stessi e sul mondo, che non erano necessari e quindi non esistevano né erano previsti nello stato edenico, dove l’azione era solo facile, spontanea, piacevole, gioiosa e perfetta e la vita stessa era immortale.
Si tratta di raddrizzare una volontà distorta e indurita nelle cattive tendenze ed abitudini, di toglierci di dosso dei gravi pesi, di divincolarci da lacci che ci tengono prigionieri, di alzarci dopo esserci adagiati nel peccato. E tutto ciò indubbiamente richiede sforzo e a volte sofferenze sanguinose.
Riportare le cose a posto è possibile, ma è un lungo lavoro e molto costoso. “Entrate per la porta stretta”. “I violenti conquistano il regno di Dio”. “Se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo”. “Vi sono di quelli che si fanno eunuchi in vista del regno dei cieli”. “Chi ama la propria, la perde”. “Chi vuol esser mio discepolo, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. “Beati coloro che piangono!”. “Abbiamo lasciato tutto per seguirti”.
Cristo propone a tutti l’etica originaria universale, fondamento e condizione della perfezione umana come tale. Tutti quindi sono tenuti ad attenervisi. Tuttavia l’ordinazione di tutti i valori della propria vita a Cristo, espressa nel Vangelo con le parole “lasciare tutto”, nelle condizioni della vita presente, si può realizzare in due modi: in una forma comune, obbligatoria per tutti ed in una forma speciale, riservata solo ad alcuni, più perfetta, perché fondata su di una maggiore intimità con Cristo: quella della vita religiosa, basata sui consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza.
Mentre la forma comune è obbligatoria per tutti, la scelta religiosa è un dono speciale di Dio, fatto solo ad alcuni, come dice Cristo stesso, dopo aver accennato all’ideale religioso: “Non tutti possono capire questo discorso, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11).
Questi due livelli di vita cristiana dipendono dal fatto che esistono gradi di intensità del desiderio col quale aspiriamo a Dio come nostro sommo bene e fine ultimo. Vi sono alcuni che sentono più forte questo desiderio, e ne apprezzano di più il valore. Da qui consegue il fatto che costoro, per soddisfare il loro desiderio, si sentono pronti a fare rinunce o sacrifici maggiori, di quelli che sono disposti a fare coloro che sentono meno questo desiderio.
Il religioso lascia tutto per riavere da Dio cento volte tanto sin da adesso, in mezzo a tribolazioni nella vita presente e il premio nella via eterna. Questa è la ben nota promessa di Cristo. Veramente un buon affare, se ci è concesso di esprimerci in termini profani. Ma è Dio stesso Che dà al religioso i mezzi per combinare questo affare.
Tuttavia, nella storia della spiritualità cristiana questo elemento ascetico di disprezzo di sé e del mondo, e di distacco dalle cose terrene, di repressione delle passioni, di ricerca della sofferenza, di diffidenza verso le comodità, il piacere, la natura e il corpo, soprattutto nella vita religiosa e monastica, ha attirato in modo primario l’attenzione degli spiriti desiderosi di perfezione ed è emerso in primo piano, soprattutto per chi desiderava la santità e la piena sequela Christi.
Ed è successo, corrispettivamente, che l’ideale originario genesiaco di umanità insieme con quello della risurrezione, sono passati in qualche modo nell’ombra o in secondo piano. Il mezzo – la croce – acquistava tanta importanza, quasi da offuscare il fine – la risurrezione.
La dura polemica contro l’edonismo, l’egoismo e la superbia pagani fu condotta spesso dagli apologeti, soprattutto nei primi secoli – pensiamo all’origenismo – alla luce di un Vangelo, che in certa misura aveva sposato il dualismo platonico, col suo caratteristico spiritualismo indubbiamente nobile e ammirevole, ma anche diffidente verso la dignità della materia e del senso, quasi che il male provenga dalla materia anzichè dallo spirito.
Nella lotta tra la carne e lo spirito poteva sembrare che il problema fosse liberarsi dalla carne piuttosto che sottometterla allo spirito e così nobilitarla, essendo l’uomo non un puro spirito, ma un soggetto composto di spirito e corpo.
Sappiamo poi, come nel corso dei secoli, questo spiritualismo rigorista ed esagerato sia stato mitigato e reso ragionevole[1] da un maggior presa di coscienza da parte dell’uomo della propria dignità umana terrena[2], sempre, s’intende, alla luce del Vangelo.
E’ stata, questa, l’epoca dell’Umanesimo cristiano fiorentino del sec.XV. Ma purtroppo è successo che in concomitanza con questa tendenza di per sè sana e compatibile con l’ascetismo[3], soprattutto col Rinascimento, sotto colore dell’umanesimo dell’Incarnazione, è risorta la visione pagana dell’uomo idolatrato, il cosiddetto “antropocentrismo”[4], che è sfociato nel panteismo e nell’ateismo moderni.
Il Concilio Vaticano II ci propone una sintesi equilibrata, veramente evangelica, di umanesimo e di spiritualità, conforme sia al carisma laicale che a quello religioso, ed assumendo quanto di positivo è sorto nell’antropologia della modernità.
Lutero aveva notato l’eccessivo e presuntuoso rigorismo della vita monastica del suo tempo ed aveva compreso che in fin dei conti il modello-base dell’etica era il progetto genesiaco, che non comprendeva la vita religiosa. Tuttavia ha trascurato il fatto che l’ideale religioso, introdotto da Cristo, è giustificato proprio dall’intento di ricostruire, per quanto possibile, la vita edenica nelle condizioni della natura decaduta.
Così Lutero non ha capito che la vita religiosa non è una prestazione esibizionistica e farisaica di bravura ascetica, ma è la risposta commossa e riconoscente di un’anima che avverte di aver ricevuto un dono speciale dallo Spirito Santo, Che si è degnato di abitare nella nostra povera e fragile umanità.
Nel progetto della Redenzione, dobbiamo aggiungere, il ritorno all’innocenza edenica avviene in una nuova modalità, che è quella di agire sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo. La natura umana ha una dimensione animale (nefesh oneshamà), che costituisce il campo delle passioni, e una dimensione superiore, spirituale (ruach), destinata a governare la prima e caratterizzante la natura umana rispetto al resto del mondo animale, che pertanto dev’essere sottomesso all’uomo. In tal modo lo Spirito Santo, rende l’uomo, come dice S.Paolo, un “corpo spirituale” e lo avvicina ancor più a Dio purissimo Spirito.
La presenza operante dello Spirito Santo, mandato dal Padre e dal Figlio, che è Spirito dell’Amore e della Verità, è una presenza intima dolcissima, rassicurante, liberante, tonificante ed entusiasmante, fa comprendere a fondo la volontà di Dio, fa regolare tutto sull’amore, rende gustoso il progetto evangelico, fa desiderare la visione beatifica, facilita l’obbedienza al Vangelo, alleggerisce il peso del dovere e della croce, rende soave il giogo di Cristo, dona la gioia nella sofferenza, spinge con forza, anzi fa correre verso la perfezione, purifica totalmente dal peccato.
L’uomo avverte che non ha tanto il compito di agire e di sforzarsi, quanto piuttosto di lasciarsi condurre, illuminare e fortificare dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo. Certo, il merito occorre; ma è lo stesso Spirito Santo che ce lo dona. Gli atti interiori sono più importanti delle opere esterne.
Volendo precisare il discorso, quasi a titolo di esempio, rispetto al valore della reciprocità uomo-donna, il modello edenico presenta due modalità: una, comportante la generazione e quindi il rifermento al matrimonio e alla famiglia (c.1); ed un’altra, nella quale questa reciprocità si apre genericamente ad una collaborazione al servizio dell’umanità (c.2). Il primo è racchiuso nella vita presente; il secondo si apre alla futura vita della risurrezione.
L’etica cristiana nelle condizioni della vita presente conferma da una parte il valore del matrimonio e dall’altra introduce una reciprocità uomo-donna aperta a tutte le vocazioni e che può avere una speciale realizzazione nella vita religiosa. Inoltre, come sappiamo, la condizione presente deve preparare la vita della futura risurrezione, nella quale la reciprocità non prevederà più la generazione, ma si attuerà in quell’apertura all’intera umanità, che è prefigurata sin dalla vita presente nel rapporto religioso-religiosa[5].
[1] Uno dei primi segni di questa visione saggia appare già col monachesimo benedettino, che mitiga gli eccessi orientali con la moderazione della sapienza romana.
[2] Per es.Giovanni Pico della Mirandola.
[3] Vedi per esempio l’umanesimo di un S.Antonino Pierozzi, Arcivescovo di Firenze o di un Savonarola.
[4] Vedi la condanna che ne fa il Papa nell’enciclica Laudato si’.
[5] Cf Conc.Vat.II, Perfectae caritatis, nn.1,12.